Lorenzo di Giovanni, detto Lorenzo Monaco in quanto monaco dell’Ordine benedettino dei Camaldolesi, nacque forse a Siena intorno al 1370 e morì a Firenze nel 1423. Nel convento fiorentino di Santa Maria degli Angeli, dove entrò nel 1390, apprese l’arte della miniatura. Fu dunque un artista della generazione di Brunelleschi ed è considerato dalla critica come un vero alter ego di Ghiberti nel campo della pittura. Non aderì mai pienamente alla cultura rinascimentale, con la quale entrò anzi in aperta polemica, barricandosi in uno squisito misticismo; fu, per questo motivo, il più grande fra i cosiddetti “artisti di mediazione” fra Tardogotico e Rinascimento.
Le sue prime opere, tutte realizzate nel primo decennio del secolo, risentono fortemente della cultura tardotrecentesca fiorentina. Il segno di Lorenzo è infatti elegantissimo e gli accordi cromatici estremamente sofisticati. È soprattutto l’intensa caratterizzazione psicologica di questi suoi dipinti a colpire l’osservatore, evidente per esempio nella sua deliziosa Madonna di Edimburgo.
«Non si erano mai viste prima, in tutta la storia dell’arte fiorentina, Madonne altrettanto instabili, ipersensibili, nevrotiche quasi; con gli sguardi obliqui, i volti teneri e imbronciati, i gesti caratterizzati da una sensitività quasi maniacale», ha osservato lo storico dell’arte Antonio Paolucci. Tuttavia, Lorenzo Monaco assunse una posizione anomala anche all’interno del filone tardogotico, condividendo la fede nel valore della tradizione trecentesca ma non le finalità edonistiche di quello stile. La sua arte non fu mai né cortese né profana e l’eleganza delle sue forme fu finalizzata unicamente alla celebrazione dei valori cristiani. Per tutta la vita, egli concepì le proprie opere come prediche assai convincenti: nei suoi quadri, infatti, l’esaltazione della linea e del colore, perseguita a discapito della pienezza della forma, e la generale tendenza all’astrazione ebbero una funzione esclusivamente devozionale.
La sua Adorazione dei Magi del 1422 è palesemente lontana dalle ricerche in atto nella pittura fiorentina del primo Quattrocento: la Madonna, seduta umilmente a terra, presenta ai Magi il bambino benedicente, mentre San Giuseppe, raffigurato più in basso in primo piano, sembra assorto nei suoi pensieri. Alle spalle del gruppo si riconosce la capanna, ridotta a una complessa scatola architettonica di nudi archi a tutto sesto, all’interno della quale si scorgono il bue e l’asino; sulla parete esterna si staglia un coro angelico inginocchiato su una nuvola.
Il corteo dei Magi è distribuito lungo tutto il resto della tavola: i tre re offrono i loro doni dopo aver posato le corone; due sono inginocchiati, uno è in piedi e sul suo manto verde corrono scritte in arabo antico. Spiccano altri curiosi personaggi vestiti all’orientale, fra i quali anche un giovane ragazzo di colore; all’estrema destra, alcuni uomini a cavallo indicano turbati l’apparizione angelica. Il paesaggio all’orizzonte, formato da montagne taglienti, è aspro e arido, mentre nella lunetta centrale l’arcangelo Gabriele annuncia ai pastori la nascita del Messia.
L’opera nel suo insieme ripropone di certo lo schema generale della omonima pala di Gentile da Fabriano, dipinta negli stessi anni, e di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, ma ne respinge il fasto e l’eleganza cortese. Le figure sono senza dubbio fiabesche, aggraziate e persino leziose nelle loro vesti esotiche; ma tutto l’impianto compositivo appare fortemente semplificato. Lorenzo scelse probabilmente di aderire alla grande tradizione gotica delle immagini votive solo perché la reputava più adatta ad esprimere con efficacia il significato religioso della grande pagina evangelica.
Edimburgo Galleria degli Uffizi Galleria Nazionale di Scozia Lorenzo Monaco Pittori del Quattrocento Tempera