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Durante l’Alto Medioevo, la terra del Friuli visse un periodo di grande stabilità politica e di intensa fioritura artistica, soprattutto sotto il ducato del duca Ratchis, o Rachis, duca del Friuli dal 737 d.C. e Re dei Longobardi, e in seguito Re d’Italia, dal 744 al 749 d.C. e dal 756 al 757 d.C. L’Altare del duca Ratchis.
Ratchis, mecenate e cultore delle arti, commissionò a un artista locale, rimasto purtroppo ignoto, un altare che oggi porta il suo nome: l’Altare del duca Ratchis, appunto, una delle pochissime opere d’arte longobarde ad essere giunte integre fino a noi, e una delle più importanti opere di scultura della cosiddetta Rinascenza liutprandea, quel periodo della storia dell’arte longobarda riconducibile al decennio 730-740.
L’altare, di forma parallelepipeda, è composto da quattro lastre di pietra d’Istria, decorate a bassorilievo molto appiattito. Il paliotto, ossia la lastra frontale, e le due lastre laterali presentano scene con figure; la lastra posteriore, che non era visibile ai fedeli al momento della celebrazione eucaristica, è invece decorata da due grandi croci e con un motivo a intreccio che funge da cornice. Lungo i bordi superiori delle lastre corre una epigrafe latina.
Il paliotto, essendo la parte dell’altare più in mostra, presenta il soggetto principale, ossia un Cristo in Gloria o Cristo in Maestà (Majestas Domini). Gesù è rappresentato frontalmente, seduto, vestito da sacerdote (indossa una stola) e con la mano di Dio posata sul capo.
Lo affiancano due serafini, dotati di sei ali ciascuno. Queste tre figure sono contenute in un’aura di luce a forma di mandorla. La mandorla viene di norma rappresentata liscia; qui, tuttavia, si presenta con l’aspetto di un festone, tanto da essere definita “mandorla arborea”.
Quattro angeli posti ai lati sorreggono il primo gruppo e, per lo scopo, sono rappresentati simbolicamente con mani molto grandi e possenti (altrimenti non potrebbero sostenere il “peso di Dio”). Gli spazi tra le figure sono riempiti da fiori, stelle e piccole croci, motivi che non hanno alcuna evidente relazione con la scena. Essi hanno una funzione puramente decorativa, quasi che l’autore avesse il timore, per una forma di horror vacui (‘paura del vuoto’), di lasciare troppe zone libere.
Il lato sinistro ospita una scena della Visitazione, cioè dell’incontro fra la Madonna e sua cugina Elisabetta, futura madre di san Giovanni Battista. Maria, già incinta di Cristo, è segnata da una croce profondamente incisa sulla fronte. Sia la Vergine sia Elisabetta hanno proporzioni decisamente fuori dalla norma: le grandi teste sono assottigliate verso il mento (sono infatti dette a “pera rovesciata”), i capelli non si distinguono dal panno che li ricopre, gli occhi sbarrati sono privi della più elementare espressione.
Le braccia, lunghissime ed elastiche, quasi disossate, tendono a intrecciarsi, come a formare un fiocco. L’abbraccio diventa un nodo, che lega e stringe le donne in un comune destino: quello di perdere i propri figli, destinati al martirio. Le gambe sono corte, i piccoli piedi appaiono entrambi di profilo. Lo scultore ha tentato di richiamare una vaga e generica ambientazione: tre linee curve alludono agli archi di un portico, una pianta stilizzata rimanda al giardino di un chiostro.
Sul lato destro si trova una Adorazione dei Magi. Vediamo la Madonna (identificata da una croce sulla fronte) e il Bambino seduti su un alto trono di legno, di profilo ma con il volto frontale. I Magi, caratterizzati da tipiche vesti asiatiche, sono più piccoli e camminano nel vuoto; un angelo che vola sulle loro teste è rappresentato semplicemente in posizione orizzontale.
Controversa è l’identificazione della figura femminile alle spalle della Madonna, che secondo alcuni è un’ancella, secondo altri la moglie di Ratchis. Ma, come si noterà, in tutto l’altare le figure sacre sono sempre mostrate con il volto frontale, ad eccezione dei Magi, che sono interamente di profilo in quanto personaggi “storici”. La donna posta dietro la cattedra di Maria presenta una posizione rigorosamente frontale, a parte i piedi, che sono visti di lato e rivolti verso la Madre e il Figlio; è difficile, allora, che si tratti di una figura reale. L’immagine deve rivestire un ruolo puramente simbolico e potrebbe rappresentare la Chiesa.
Il linguaggio figurativo utilizzato dall’autore dell’Altare del duca Ratchis mostra con evidenza la contaminazione tra l’espressione barbarica, la lunga tradizione italica tardoantica definita “plebea” e la tradizione aulica bizantina. Si tratta di un’arte rustica, dotata di uno schematismo apparentemente ingenuo, dove ogni forma si è tradotta in segno calligrafico. Tutto è diventato decorazione piatta e gioco di linee, ogni dettaglio superfluo è stato abbandonato.
I personaggi hanno dimenticato la loro consistenza corporea e persino la loro natura organica: con le loro marcate deformazioni, le mani enormi, le gambe e i piedi microscopici, le teste globulari con gli occhi sbarrati e inespressivi, appaiono oggettivamente mostruosi. Anche i panneggi, non verosimili, sono ottenuti attraverso combinazioni di curve che rispondono solo a un intento puramente decorativo.
Le scene sono semplificate e prive di ambientazione spaziale; la prospettiva è stata sostituita da una gerarchia dimensionale (di stampo tardoantico e bizantino) per cui le figure più importanti (Gesù, la Madonna) sono raffigurate più grandi di quelle “minori” (i Magi, Elisabetta, gli angeli).
Lo stile di questa celebre opera è, insomma, molto distante dal naturalismo antico dell’arte greca e romana e persino dalla stilizzazione paleocristiana e bizantina.
Questo antinaturalismo così marcato non è frutto di improvvisazione o di imperizia tecnica: al contrario, esso è finalizzato a sottolineare con forza il valore sacro e simbolico dell’opera.
Un tempo, tutte le lastre, e in particolare il paliotto, erano colorate con smalti policromi e probabilmente ornate anche di lamine d’oro. Una parte di questa antica colorazione è ancora oggi visibile ad occhio nudo; sono state tuttavia rinvenute tracce di smalto anche negli occhi e nelle capigliature dei personaggi, nelle ali degli angeli, nelle barbe dei Magi, nelle croci, nelle decorazioni. I colori erano il giallo, il rosso, il verde e l’azzurro. Questa vivacissima cromia doveva rendere l’altare simile a uno scrigno prezioso, a un’opera di oreficeria. L’impatto visivo con l’opera risultava, insomma, assai diverso da quello attuale.
Una accurata descrizione con splendide immagini.
Mi affascinano queste sculture del cristianesimo altomedievale. Vi sento la fede delle origini che spirava nella sua austera sacralità.
La rappresentazione del divino così apparentemente ” ingenua”, ha una profondità, come lei fa notare, che rinvia all’idea dell’incommensurabilità di Dio. Egli sfugge ai nostri metri, alle nostre misure.
molto interessante grazie
Grazie a Lei per l’apprezzamento!
Professor Nifosi’ che meravigliosa idea “l’arte svelata”! Per me è una bella opportunità di conoscere e approfondire argomenti che mi interessano attraverso la sua narrazione precisa e appassionata. Grazie
Grazie a Lei per l’apprezzamento
Mi piacciono molto queste opere d’ arte, davvero stupende!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Descrizione accurata e ben fatta. Grazie