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In Italia, all’inizio del XX secolo, non si sviluppò mai un vero e proprio movimento espressionista. Probabilmente la cultura italiana, per secoli devota al culto del bello classicamente inteso, ebbe difficoltà ad accettare un’arte così lontana dai canoni estetici tradizionali. Vi furono però artisti italiani che si accostarono all’Espressionismo, realizzando una poetica molto personale, e che non a caso vissero e operarono all’estero, soprattutto a Parigi. È il caso di Amedeo Modigliani (1884-1920), pittore e scultore livornese, appartenente alla cosiddetta École de Paris, ‘la Scuola di Parigi’. Con questo termine, coniato nel 1920 dal pittore e critico André Warnod (1885-1960), si raggruppano per convenzione alcuni artisti stranieri attivi a Parigi tra gli anni Dieci e Trenta e che la critica fatica a collocare in questo o quel movimento.
Modigliani nacque da una famiglia ebrea di umili condizioni. Ebbe una infanzia difficile, aggravata dalle precarie condizioni di salute: dopo un attacco di febbre tifoide, avuto all’età di quattordici anni, e uno successivo di polmonite a sedici anni si ammalò di tubercolosi; soffrì anche di una grave forma di depressione. Dopo aver compiuto i suoi studi a Firenze e a Venezia si stabilì nella capitale francese nel 1906. Qui assorbì gran parte delle suggestioni estetiche diffuse all’inizio del secolo, traendo ispirazione da Cézanne e da Toulouse-Lautrec, dalla scultura negra e dall’Art Nouveau, da Picasso e dal Cubismo. Queste composite fonti di ispirazione si univano alla sua sconfinata ammirazione per i senesi del Gotico e del Rinascimento e per i Manieristi toscani. In lui agirono, contemporaneamente, inclinazioni populiste e decadenti, umanitarie e aristocratiche. Così lo ricordò il collega Maurice de Vlaminck: «Era un aristocratico. La sua opera intera ne è la testimonianza più possente. La grossolanità, la banalità, la volgarità ne sono escluse». Tipico pittore maledetto, malato, drogato, alcolizzato, si sentiva spinto, allo stesso tempo, verso un estetismo raffinato e verso l’indagine più attenta della verità umana. Il suo mondo pittorico, popolato da operai, intellettuali, ragazze, servette, bambini, è caratterizzato da un linguaggio espressionista che non è mai smaniato; nelle sue opere si coglie una passione segreta, una specie di fuoco interiore che egli sopiva, imprigionandolo in un elegante involucro stilistico, costringendolo in una sua forbita cadenza.
I ritratti di Modì (così lo chiamavano gli amici francesi) ci presentano personaggi colti con affettuosa meditazione. Nel dipingerli, l’artista dispiegò una gamma sorprendente di sentimenti: ironia, affetto, simpatia, amore. Proprio tale ricchezza sentimentale gli permise di non inaridirsi nella sigla figurativa che si era inventato e che adottò per ogni opera. Per esempio, nel Ritratto di Jeanne Hébuterne, sua compagna nella vita, si può constatare quanto la linea dell’artista, che si traduce nelle volute di un arabesco floreale, sia fluida e armoniosa. Tale formulazione stilistica, sempre misurata, ricorda molto da vicino (anche per il gusto delle deformazioni) la pittura della tradizione rinascimentale toscana ed emiliana, da Botticelli a Pontormo a Parmigianino. Di quest’ultimo, in particolare, Modigliani ripropose la nitidezza del disegno e soprattutto l’affusolamento dei corpi, ricercando forme delicatamente assottigliate, tanto che le figure dai lunghi ed esili colli e dalle spalle strette e discendenti sono poi divenute identificative dell’arte del livornese.
Tra il 1917 e il 1918, Amedeo Modigliani realizzò una serie di nudi femminili, tra cui il Nu couché (Nudo sdraiato detto anche Nudo rosso), considerato tra i più belli del Novecento. Si tratta probabilmente di un ritratto di Jeanne Hébuterne. Esposto dalla mercante d’arte ebrea Berthe Weill nella sua galleria parigina, dove si tenne la prima personale dell’artista livornese, l’opera dovette essere ritirata per offesa alla pubblica decenza: eppure oggi è giudicata di una incantevole poesia.
La figura femminile, dipinta con una calda tonalità bruciata, è sdraiata su un divano rosso ricoperto di cuscini, uno dei quali è blu acceso e le sostiene il busto e la testa. I colori densi e splendenti mettono in risalto le forme del corpo e il viso allungato, dove spiccano la chioma corvina e i grandi occhi truccati ma privi di pupille (una scelta ricorrente in Modigliani, che rende la donna ancora più misteriosa ed enigmatica). Le braccia della modella ricadono all’indietro, sensualmente abbandonate; il suo grande corpo giacente domina l’intero spazio della tela. La figura è tagliata crudamente sopra le ginocchia, a un polso, al gomito di un braccio. Il quadro è diviso, idealmente, in tre parti lungo la diagonale. Il nudo occupa lo spazio principale, quello centrale, ed è impostato lungo una morbida curva, concava verso il basso. Si noti come nella composizione non compaia mai la linea retta: il nudo, i tratti del volto, i particolari dello sfondo sono tutti costruiti da curve, tracciate con grande rigore costruttivo, che tendono e allungano i contorni. Le forme stilizzate, ottenute con un minimo di chiaroscuro ed emergenti da uno spazio dal carattere quasi bidimensionale, idealizzano e sublimano la realtà, esaltandone l’incanto, mentre la loro flessuosa voluttà aderisce intimamente all’erotismo estetizzante dell’artista.
Modigliani fu anche scultore. Nel 1909, dopo essersi trasferito dal quartiere di Montmartre a quello di Montparnasse, strinse amicizia con Brancusi, che gli fece scoprire la forza espressiva della scultura primitiva. Modì produsse una serie di sculture, alcune delle quali furono esposte al Salon d’Automne del 1912; tuttavia, poiché la sua tubercolosi non gli consentiva di respirare la polvere, egli abbandonò presto sia la scultura in pietra sia quella in legno. L’artista realizzò un nudo in piedi e circa ventiquattro teste femminili, segnate dallo stesso linguaggio essenziale e raffinatissimo della sua pittura: idoli assorti e distaccati, capaci di comunicare un senso di mistero insondabile.
I volti presentano infatti profili allungati, occhi ovoidali privi di pupille, arcate sopracciliari marcate e nasi lunghissimi che, come disse il suo amico scultore Zadkine, «scorrono simili a frecce verso la bocca». Come si vede, il primitivismo della scultura di Modigliani è ricchissimo di suggestioni culturali che vanno ben oltre l’apprezzamento dell’arte “negra”: non sfuggono infatti i richiami all’arte cicladica e all’arcaismo greco.
La tragica vita di Modigliani si concluse in modo altrettanto tragico. Nel 1920, per l’aggravarsi della sua malattia, l’artista, in preda al delirio, fu ricoverato d’urgenza in ospedale dove morì. Al suo funerale si raccolsero tutti i membri della comunità artistica di Parigi, stretti intorno alla sua amatissima Jeanne, incinta di nove mesi del loro secondo figlio, che non reggendo al dolore si uccise il giorno dopo gettandosi dalla finestra. Oggi Modigliani è considerato come uno dei più grandi artisti del XX sec., le sue opere sono esposte nei più grandi musei del mondo e raggiungono valutazioni superiori ai 15 milioni di euro. Nu couché, è stato venduto nel 2003 per quasi 27 milioni di dollari.