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Amor sacro e Amor profano, capolavoro del Rinascimento veneto, venne dipinto da Tiziano Vecellio (1488/90-1576) negli anni 1514-15. Le circostanze della sua commissione sono legate al matrimonio fra un esponente di un’importante famiglia veneziana e la figlia di un eminente giurista padovano. Si tratta di una delle allegorie rinascimentali più studiate dagli iconologi che, tuttavia, non sono ancora venuti a capo del suo reale significato.
Il titolo con il quale l’opera oggi è universalmente conosciuta resta del tutto convenzionale e viene mantenuto solo perché diventato familiare al grande pubblico. Ma tale titolo (mutuato da un inventario della Galleria Borghese e adottato nel 1792 da Giuseppe Vasi nella sua Guida di Roma) non è stato l’unico, nel tempo, ed ha avuto dei precedenti: Beltà disornata e beltà ornata del 1613, Tre Amori del 1650, Amor profano e Amor divino del 1693, Donna divina e donna profana del 1700.
In primo piano, sullo sfondo di un paesaggio tranquillo, reso con straordinaria sensibilità cromatica, domina un sarcofago marmoreo antico, utilizzato come vasca, la cui forma allungata accompagna il formato rettangolare e orizzontale della tela. Ai lati estremi del sarcofago sono morbidamente appoggiate due donne, mentre al centro Cupido (Eros per i Greci) gioca con l’acqua.
La donna a sinistra, il cui sguardo, rivolto fisso all’osservatore, rivela un carattere fermo e deciso, è sontuosamente vestita.
Il suo abito bianco, dall’ampia scollatura che lascia intravedere le spalle nude, è stretto in vita da una cintura dorata. Le maniche, una rossa e una bianca, si gonfiano all’altezza dei gomiti in elaborati panneggi. La sericità e i riflessi perlacei di questo vestito risaltano contro il fondo scuro degli alberi. La donna porta dei corti guanti alle mani e stringe con la destra un mazzolino di fiori; i suoi biondi capelli, raccolti morbidamente sulla nuca, ricadono davanti, morbidi e fluenti, sulle spalle scoperte.
La figura femminile di destra è invece completamente nuda, appena coperta da un panno bianco stretto intorno ai fianchi e da un ampio drappo di colore rosso brillante tenuto con la spalla sinistra.
Seduta precariamente sul sarcofago, incrocia pudicamente le gambe e benché mostri frontalmente il suo corpo generoso allo sguardo dell’osservatore, volge teneramente la testa verso l’altra donna, porgendoci il profilo delicato del suo volto.
Lo stile usato da Tiziano, che risente ancora dell’insegnamento di Giorgione, è un magnifico esempio di tonalismo veneto, in cui i colori, caldi e luminosi, si sfaldano dolcemente l’uno nell’altro senza essere contenuti dai rigidi confini delle linee di contorno.
L’opera potrebbe avere un significato filosofico-morale di stampo neoplatonico. Secondo il grande critico d’arte novecentesco Erwin Panofsky, Tiziano, seguendo il Neoplatonismo di Marsilio Ficino e di Pietro Bembo (quest’ultimo grande amico dell’artista), si sarebbe rifatto al Convito di Platone, nel quale il filosofo greco distingue due Amori e due Veneri: quella Celeste, dea dell’amor divino e della bellezza ideale, e quella Terrena, o Volgare, l’amore umano e sensuale.
Le due donne di Tiziano sono identiche, dunque gemelle; quella di destra, nuda come la verità che non ha bisogno di ornamento, sarebbe Venere Celeste che tiene la fiamma del divino amore (o della carità, della conoscenza o dell’illuminazione spirituale); l’altra, vestita e con un cesto portagioie presso di sé, sarebbe la Venere Terrena, mentre Cupido avrebbe la funzione di intermediario. La nudità della Venere Celeste, in questo caso, non avrebbe nulla di sensuale o erotico; al contrario, essa sarebbe un’espressione di purezza e incarnerebbe l’ideale classico di bellezza.
Tale interpretazione sarebbe confortata dai differenti scorci di paesaggio visibili sullo sfondo del dipinto. A sinistra si scorge, infatti, una città all’alba, che si contrappone al villaggio a destra, mostrato al tramonto: un’evidente metafora dello scorrere del tempo.
Inoltre, il profilo montuoso e il cavaliere diretto al castello dal grande torrione cilindrico, che si trovano alle spalle della Venere Volgare, alluderebbero al carattere secolare e profano di questa; invece, la distesa pianeggiante di un ambiente lacustre con le greggi al pascolo e la chiesa, che si ammirano alle spalle della Venere Celeste, farebbero riferimento alla natura spirituale di quest’ultima.
Non tutti gli studiosi concordano con la diffusa interpretazione di Amor sacro e Amor profano di Tiziano. Le loro perplessità nascono dall’analisi dei bassorilievi che ornano il sarcofago, al centro del dipinto, e che non sembrano corrispondere al tradizionale significato filosofico-morale dell’opera.
Tali bassorilievi potrebbero essere ispirati da un’opera letteraria molto nota e apprezzata all’epoca: il Sogno di Polifilo di Francesco Colonna. La parte destra della decorazione sembrerebbe infatti rappresentare Marte che picchia Adone, rivale in amore, mentre Venere accorre in suo soccorso (scena derivata proprio dal Sogno di Polifilo). Il bassorilievo della parte sinistra illustrerebbe, invece, il Ratto di Proserpina: notiamo infatti una fanciulla ghermita da un uomo, e un’altra figura femminile, seminascosta dalla vegetazione, che si lancia per proteggerla, identificabile con la madre di lei, la dea Cerere.
Adone, amato da Venere, e Proserpina, amata da Plutone (due miti gemelli dell’antichità), furono entrambi destinati a trascorrere una metà dell’anno sottoterra, e la natura, durante questi mesi, non dette frutto. Il dipinto potrebbe insomma rimandare al tema naturalistico e mitologico del ciclo delle stagioni e del loro continuo avvicendarsi. Le due donne di Tiziano sarebbero, dunque, Proserpina e Venere, entrambe presentate come allegoria della terra, nuda durante l’inverno e riccamente vestita durante la buona stagione.
Questa interpretazione legherebbe, a sua volta, il soggetto dell’opera ai temi del matrimonio e della prosperità familiare. Ricordiamo, infatti, che il quadro fu commissionato come dono nuziale dal patrizio Niccolò Aurelio (all’epoca segretario del Consiglio dei Dieci e dal 1523 Gran Cancelliere di Venezia) per la futura sposa Laura Bagarotto (figlia di un importante giureconsulto); e agli osservatori più attenti non sfuggirà la presenza dei due conigli a sinistra sullo sfondo, che simboleggiano la fertilità di una coppia di sposi.
Anche il bacile poggiato sul bordo della fontana, tipico elemento di corredo utilizzato dopo ogni parto, può essere interpretato come auspicio di futura maternità, mentre la coroncina di foglie di mirto che la Venere Terrena porta sul capo simboleggia l’unione coniugale.
In questa chiave di lettura matrimoniale, le due figure femminili richiamerebbero il carattere di ogni buona sposa, che la mentalità del tempo voleva sensuale nella dimensione privata della vita di coppia e invece pudica e casta nelle relazioni pubbliche. Un tema, questo, che ritroviamo affrontato anche nella Venere di Urbino dello stesso Tiziano.
Ogni livello di lettura non esclude l’altro; anzi è assai probabile che l’artista abbia voluto giocare, per fare colpo sull’autorevole committente, con questa sovrapposizione di significati.