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Andrea d’Agnolo (1486-1530), soprannominato Andrea del Sarto per il mestiere del padre, fu un grandissimo pittore oltre che il celebrato maestro di Pontormo, Rosso Fiorentino e Vasari (che lo definì artista “senza errori”). Fondendo elementi apparentemente inconciliabili, egli seppe operare una sintesi mirabile fra la concezione spaziale e monumentalistica di Raffaello e di Michelangelo e la tecnica coloristica di Leonardo e dei veneti; per questo motivo è stato definito, forse ingiustamente, un artista eclettico.
Della ricchissima e affascinante produzione di Andrea fa parte un indiscusso capolavoro, la cosiddetta Madonna delle Arpie, dipinta nel 1517 e ora agli Uffizi.
Si tratta di un’opera ricca di complessi significati allegorici, dove gli inquieti personaggi si atteggiano in pose eleganti: la Vergine, che con il braccio destro sostiene il Bambino, tiene nella mano sinistra un libro, simbolo della sua sapienza; le sono accanto san Francesco, san Giovanni Evangelista e due angioletti.
Maria non volge lo sguardo all’osservatore ma tiene gli occhi bassi, visibilmente turbata; bellissima, sicura di sé, sembra tuttavia gravata dal peso di una grande responsabilità. Il Bambino che ella tiene in braccio si agita irrequieto, come se volesse scappare, e pare cercare la sua protezione. Anche gli angioletti ai suoi piedi mostrano di temere un pericolo imminente. Giovanni, dal canto suo, tiene un libro aperto e osserva pensoso un punto lontano all’orizzonte.
L’alto piedistallo su cui si leva la Madonna, dove leggiamo un’iscrizione che contiene la firma dell’artista e la data di realizzazione, è ornato da figure mostruose, che per tradizione sono state identificate come arpie (da cui il nome dell’opera), ossia i mitici mostri alati con corpo di uccello rapace e volto, busto e braccia di donna che rapivano i bambini e trascinavano le anime dei morti (e a volte anche i viventi) nell’Ade pagano.
Alcune sottili volute di fumo che circondano la Vergine riconducono l’intera scena al nono capitolo dell’Apocalisse, dove si legge: «Il quinto angelo suonò la tromba […]. Egli aprì il pozzo dell’abisso e dal pozzo salì un fumo, come il fumo della grande fornace». Da quel fumo, continua il testo apocalittico, uscirono delle cavallette, che si sparsero sulla terra tormentando gli uomini che non avevano «il sigillo di Dio sulla fronte». Gli esseri mostruosi che Andrea del Sarto dipinse sul piedistallo della sua Madonna rispondono quasi testualmente alla descrizione biblica di queste cavallette, che «avevano l’aspetto di cavalli pronti per la guerra. Sulla testa avevano corone che sembravano d’oro e il loro aspetto era come quello degli uomini. Avevano capelli, come capelli di donne, ma i loro denti erano come quelli di leone. Avevano il ventre simile a corazze di ferro e il rombo delle loro ali come rombo di carri […]. Avevano code come gli scorpioni e aculei». Il piedistallo, quindi, sarebbe il pozzo degli abissi che la Vergine, sorretta e aiutata dai due angioletti, tiene chiuso con atteggiamento fermo e deciso, al fine di sottomettere le forze del male.
Tra i grandi capolavori di Andrea del Sarto dobbiamo ricordare anche il bellissimo San Giovannino, realizzato intorno al 1528. Secondo Vasari, l’artista dedicò due quadri al Battista; questo, che si trova nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze, dovrebbe essere stato commissionato da Giovan Maria Benintendi, che poi lo donò al granduca Cosimo I dei Medici. Nella tavola, Giovanni è raffigurato molto giovane, a mezza figura e stagliato contro un fondo scuro. Guarda, come sospeso, in un punto indefinito alla sua destra ed è incantevole nella sua espressione malinconica. Se non fosse per i tradizionali attributi iconografici (la pelle di cammello, la croce fatta di canne legate) faremmo fatica a riconoscere in lui i segni della santità. Qui Giovanni è davvero solo un ragazzo, di tredici, quattordici anni al massimo, dal fisico asciutto e tonico, i lineamenti del volto decisi ma regolari, i capelli ricci e arruffati, poco abituati a frequentare il pettine. Un bel ragazzo, in definitiva, come tanti. Tiene con la mano destra la ciotola con cui battezzerà le folle e sembra meditare sul destino che lo aspetta: un destino di sacrificio, sino al martirio finale. Troppo, in apparenza, per questo adolescente.