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Nella Roma del primo Seicento non fu solo Caravaggio a dettar legge in campo artistico. Insieme a lui, negli stessi anni e a volte anche nelle stesse chiese, operò Annibale Carracci (1560-1609), uno dei più grandi riformatori nella storia della pittura italiana. Carracci, nato a Bologna, esordì nella sua città natale dipingendo scene di genere con uno stile fortemente naturalistico.
Mentre Caravaggio iniziava il suo apprendistato a Milano, Annibale, di undici anni più grande, era già diventato un maestro affermato. Aveva infatti dipinto una serie di grandi pale d’altare, per chiese di Bologna e di altre importanti città dell’Italia settentrionale, ed era diventato un caposcuola. Nel 1582, poco più che ventenne, aveva infatti fondato, con il fratello Agostino e il cugino Ludovico, l’Accademia “del naturale” poi chiamata “dei Desiderosi” («per lo desiderio ch’era in tutti d’imparare») e infine “degli Incamminati”, per marcare il senso del percorso che ogni allievo doveva compiere se voleva maturare artisticamente.
Tale scuola divenne in pochissimo tempo la più importante in Emilia a cavallo fra i due secoli. I tre giovani artisti sollecitarono i propri discepoli a esercitare la pratica dell’osservazione dal vero (da cui il primo nome della scuola) e a recuperare i valori della tradizione pittorica lombarda. Allo stesso tempo, essi esortarono a ignorare gli ampollosi esempi della pittura manierista e indicarono come modelli di riferimento solo i grandi artisti del Rinascimento maturo: Raffaello, Michelangelo e più ancora Correggio e Veronese.
Le opere bolognesi di Annibale, compiute tra il 1583 e il 1585, si inseriscono a pieno titolo in questo filone così coraggiosamente naturalistico. Il mangiafagioli, oggi conservato a Roma presso la Galleria Colonna, riprende un soggetto di ascendenza fiamminga e francese. Un giovane popolano è intento a mangiare voracemente una zuppa di fagioli, mentre con la mano sinistra, ancora sporca di terra, stringe un grosso pezzo di pane, pronto ad addentarlo. La scena è ambientata in una casa o forse in una taverna; in realtà, dell’ambiente si scorge soltanto la finestrella da cui proviene la luce.
L’intonaco scrostato testimonia la povertà o l’incuria del proprietario. Sulla tavola si distribuiscono, assieme al pane e alla scodella di fagioli, alcune cipolle, un piatto di pizza rustica farcita con verdure e un orcio di vino bianco. La povera mensa imbandita è dunque anche un’occasione per presentare una sobria natura morta.
Il ragazzo certo non si distingue né per l’eleganza dei modi (il brodo gli cola dal cucchiaio) né per la cura della persona (le unghie sono lunghe e nere). Tuttavia, pur mantenendo una rigorosa adesione al dato reale (il suo mangiafagioli non presenta alcuna forma di idealizzazione), Carracci scelse di non connotare la sua scena con elementi buffoneschi o grotteschi, come spesso capitava in analoghi soggetti di popolani proposti dai pittori cinquecenteschi. Il suo contadino, sorpreso come in una istantanea fotografica mentre sta mangiando per conto suo, è solo un pover’uomo che aspira a consumare tranquillo il suo pasto e l’artista, così concependolo, gli garantisce, pur non nascondendo la sua rozzezza, una certa dignità.
La bottega del macellaio, dipinta nello stesso periodo, mostra alcuni macellai ritratti accanto alle carcasse degli animali. L’opera, vivacemente naturalistica, propone un soggetto piuttosto diffuso nella pittura fiamminga. In primo piano, un garzone sta per tagliare la testa a un capretto; accanto a lui, un secondo ragazzo cerca faticosamente di appendere al gancio un mezzano di vitello; al centro, dietro il bancone, un macellaio dispone ordinatamente le bistecche sul banco, mentre l’altro, vestito con un grembiule bianco, pesa la carne da vendere al cliente, che cerca nel borsellino i soldi con cui pagare.
Scene di genere come questa già circolavano nella Bologna del tardo Cinquecento; tuttavia, gli altri artisti tendevano a ridicolizzare i loro personaggi, spesso mostrati brutti e ghignanti, come se intendessero sollecitare il pubblico acculturato a prendere atto della propria superiorità sociale e morale. Con tutta evidenza, invece, Annibale esalta, nel proprio dipinto, la dignitosa serietà di ogni lavoro, anche quello del macellaio, tradizionalmente considerato sgradevole. Non a caso, egli evitò una registrazione troppo analitica dei dettagli, dimostrando grande capacità di sintesi, e scelse una tela di grandi dimensioni, laddove, invece, i quadri con questi soggetti erano di norma piuttosto piccoli.
Non sfugge, infine, che le vesti dei macellai sono pulite e non lorde di sangue come la logica imporrebbe: questo a conferma che l’artista intendeva riscattare e nobilitare questi personaggi, quasi presentandoli come i protagonisti di una storia sacra o mitologica.
Ottima spiegazione, grazie.
Grazie mille per l’apprezzamento!