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“Art Nouveau” era il nome di un negozio, aperto a Parigi dal mercante d’arte Siegfried Bing nel 1895, che forniva, come si legge in un suo manifesto pubblicitario, «installazioni moderne, mobili, tinture, tappeti, oggetti d’arte», ossia arredi d’avanguardia. Il termine Art Nouveau venne poi adottato per designare uno stile, un indirizzo di gusto internazionale (relativo all’architettura, alle arti figurative e agli arredi), situato cronologicamente tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale.
Art Nouveau e Secessioni
Il movimento dell’Art Nouveau, partito inizialmente dal Belgio, aveva come obiettivo principale quello di adeguare l’espressione artistica all’età moderna, coinvolgendo arte, architettura, grafica e decorazione all’interno di uno stesso processo creativo. Questo progetto trovò nei coevi movimenti secessionisti europei un valido supporto e soprattutto una comunione d’intenti sotto molti punti di vista.
Dai rispettivi approdi artistici, i paesi che avevano fondato i movimenti di Secessione accolsero e fecero loro gli intenti art nouveau, sviluppando in patria una propria versione del nuovo gusto. Difatti, quello che in Belgio e in Francia era definito Art Nouveau, in altri paesi trovò presto dei corrispettivi sotto altre denominazioni: il Modern Style in Gran Bretagna, lo Jugendstil o Sezessionstil in Austria e in Germania, il Modernismo o Stile Jòven in Spagna.
Seppur in ritardo rispetto al resto d’Europa, il nuovo gusto internazionale si affermò anche in Italia, dove prese il nome di Stile Liberty, dal nome di una ditta inglese, fondata da Arthur Lasenby Liberty nel 1875, che verso la fine del secolo diffuse prodotti conformi al nuovo indirizzo (spille, anelli e articoli del genere). Nonostante l’iniziale intenzione di rivolgersi a un pubblico vasto e non esclusivo, i prodotti art nouveau furono acquistati prevalentemente da clienti ricchi e di estrazione altoborghese; le forme nuove e sperimentali, i materiali ricercati, le tecniche di produzione impiegate li resero, infatti, esclusivi e costosi.
Proprio in virtù della sua vasta diffusione in molte aree geografiche, l’Art Nouveau non si configurò mai come un fenomeno omogeneo ma presentò marcate caratterizzazioni diverse da paese a paese. Per esempio: il decorativismo a coup de fouet (letteralmente, ‘a schiocco di frusta’) dell’area franco-belga si contrappose all’essenzialità del Modern Style britannico; il funzionalismo del Sezessionstil austro-tedesco apparve molto distante dall’espressionismo “moresco” del Modernismo catalano.
Non è semplice illustrare in un quadro esaustivo un fenomeno così complesso; tuttavia, si possono proporre alcuni esempi significativi che contribuiscano a fornire, quanto meno, un’idea generale dell’argomento. Questa “arte nuova” o “nuovo stile”, “stile moderno”, “stile giovinezza”, “stile floreale” rappresentò soprattutto l’aspirazione della società borghese, che si sentiva già proiettata verso il nuovo secolo, ad esprimere tutta la sua vitalità manifestando la propria energia fiduciosa.
Per questo motivo, gli artisti art nouveau dichiararono di volersi distaccare dallo storicismo, abbandonando l’atteggiamento eclettico e retrospettivo che aveva spinto i loro colleghi ottocenteschi a recuperare gli stili più illustri del passato, come il Classicismo, il Barocco, il Rococò. Essi proclamarono, con orgoglio, d’interessarsi soltanto alla realtà presente, per costruire un mondo futuro.
I più grandi architetti del movimento Art Nouveau furono i belgi Horta, per l’architettura, e Van de Velde, per l’arredamento e le arti applicate. Victor Horta (1861-1947) applicò ripetutamente il motivo della linea a “schiocco di frusta”: una linea avvitata, spiraliforme, flessuosa come i tralci di una vite. Raggiungendo una perfetta coerenza tra struttura e decorazione, applicò questo principio sinuoso sia agli elementi portanti sia a quelli decorativi.
Henry Van de Velde (1863-1957) assunse un ruolo determinante nella produzione delle arti decorative art nouveau. Disegnò le sagome dei mobili e stabilì l’andamento delle linee decorative prevedendo le posizioni che il cliente avrebbe assunto, considerando le sue esigenze di lavoro o di riposo, valutando le diverse occasioni di uso.
A Parigi, Hector Guimard (1867-1942) sperimentò, nelle sue entrate della Metropolitana, la commistione fra elementi decorativi di carattere floreale e quelli della tradizione rococò.
In Gran Bretagna, l’architetto-arredatore scozzese Charles Rennie Mackintosh (1868-1928) caratterizzò i suoi edifici con forme alte e slanciate, che favoriscono la dimensione verticale.
In Austria, Otto Wagner (1841-1918) ricondusse gli effetti plastici alla superficie, adottando disegni ornamentali invece dei consueti chiaroscuri; Joseph Maria Olbrich (1867-1908), autore a Vienna del Palazzo delle Esposizioni della Secessione, ricercò un monumentalismo di stampo esotico; Joseph Hoffmann (1870-1956) amò la complessa articolazione dei volumi.
In Italia, a Torino, emerse la figura dell’architetto Raimondo D’Aronco (1857-1932), che si ispirò ai modelli viennesi contaminandoli con soluzioni esotiche e orientaleggianti; a Milano, Giuseppe Sommaruga (1867-1917) progettò edifici caratterizzati da un’opulenta decorazione scultorea; a Roma, Gino Coppedè (1866-1927) concepì le sue opere con l’enfasi e la sovrabbondanza dei particolari decorativi mentre Ernesto Basile (1857-1932), nella nuova aula della Camera dei Deputati a Roma, frenò il suo linguaggio floreale e orientaleggiante per rispondere alle specifiche esigenze celebrative.
In Spagna operò l’architetto Antoni Gaudí (1852-1926), che fin dall’esordio mostrò un temperamento artistico molto ardito e assecondò il suo amore per gli effetti architettonici sensazionali. Grande ammiratore dell’architettura gotica, Gaudí definì gli spazi usando forme geometricamente complesse, policrome e riccamente decorate, ed elaborò uno stile molto personale e anticonvenzionale.
Non tutti gli architetti art nouveau riuscirono davvero ad affrancarsi per intero dallo storicismo e dall’accademismo. Se osserviamo con attenzione le loro opere possiamo riscontrarvi influenze neoclassiche, neobarocche, perfino neogotiche.
Al di là delle dichiarazioni programmatiche, infatti, l’arte nuova fu ben lontana dall’assumere posizioni di netta rottura con il passato. Già Viollet-le-Duc aveva formulato il principio del rispetto della funzione unito all’eleganza delle forme, concependo il Gotico non come semplice rivisitazione eclettica ma come formula stilistica e costruttiva; già William Morris e John Ruskin avevano elaborato la concezione di un’arte sviluppata in un rapporto diretto con la vita.
La vera novità proposta, a riguardo, dall’Art Nouveau fu la struttura, che a differenza dei modelli tradizionali imponeva la sua presenza e i suoi ritmi: gli ambienti interni non erano più spazi vuoti che la decorazione avrebbe riempito secondo le necessità ma erano essenzialmente determinati dalla presenza di struttura e decorazione come componenti inscindibili dell’architettura e considerare l’arredo come parte veramente integrante di essa.