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L’arte delle catacombe e i suoi simboli
La nascita dell’arte cristiana.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età altomedievale – Data: Marzo 5, 2023 0 commenti 14 minuti
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Durante i primi secoli del cristianesimo, quando la pratica del culto di Cristo era vietata, la Chiesa primitiva non ebbe modo di elaborare tipologie architettoniche da destinare alle proprie celebrazioni religiose. I cristiani, infatti, erano obbligati a riunirsi clandestinamente nelle case per pregare e per officiare, ossia dire la messa. Si dovette aspettare l’esordio del IV secolo, dopo l’Editto di Costantino, perché venissero costruite le prime basiliche cristiane, dette chiese.

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Per quel che concerne il rito funebre, i defunti vennero sepolti, a partire dal II secolo, nelle cosiddette catacombe. Queste furono solo cimiteri, peraltro non dissimili da quelli pagani; di norma non vennero utilizzate per riunirsi, anche se, probabilmente, vi si commemorarono i martiri in particolari occasioni.

Catacombe di Priscilla, II-V sec. Roma.

Fra ambulacri e cubicoli

Queste strutture consistono in vasti cimiteri sotterranei ottenuti scavando nella roccia lunghe gallerie, dette ambulacri (dal latino ambulacrum, da ambulare, ‘camminare’); gli antichi cristiani usavano chiamarle anche cryptae, dal greco ‘nascondere’, ‘coprire’. Gli ambulacri sono larghi in media 80-90 cm. Dentro le catacombe, i corpi dei defunti erano deposti (senza cassa) nei loci, o loculi (dal latino loculus, ‘posticino’), piccole nicchie rettangolari ricavate su tutta l’altezza delle pareti, disposte orizzontalmente nel senso delle gallerie e chiuse da lastre verticali (o muretti di mattoni).

Catacombe di San Callisto, II sec. Roma.

Sarcofagi di marmo o di terracotta erano ospitati negli arcosolii (dal latino arcus, ‘arco’, e solium, ‘urna’, ‘sepolcro’), grandi nicchie sormontate da un’arcata e in genere dipinte. Gli arcosolii potevano contenere anche una o più tombe a pozzo, scavate nella roccia e chiuse da lastre orizzontali (chiamate mense). Quelli che contenevano i corpi dei martiri erano oggetto di venerazione. Nelle gallerie delle catacombe si aprivano anche piccoli ambienti, quadrati, rettangolari, poligonali, rotondi, chiamati camere o cubicoli: erano tombe di famiglia ma talvolta ospitavano i resti dei martiri o dei cristiani più autorevoli. Sono queste, nel linguaggio odierno, ad essere chiamate cripte (nome poi adottato anche per gli ambienti sotterranei delle chiese).

Catacombe di Domitilla, IV sec. Arcosolio nel cubicolo di Orfeo. Roma.

Questi cimiteri sotterranei colpiscono ancora oggi l’immaginario collettivo sia per la loro complessità sia per l’estensione. Quasi sempre progettate con forme regolari, ossia a spina di pesce oppure a graticola, e divise in settori, aree e regioni, le catacombe si sviluppano sottoterra per chilometri, e potenzialmente sono estendibili all’infinito.

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Le catacombe a Roma e in Italia

Particolarmente numerose e importanti sono le catacombe di Roma, scavate oltre le Mura Aureliane; nel III secolo, si contavano nella città laziale venticinque catacombe, intitolate ai papi, ai santi o ai martiri che vi erano sepolti. Tra le catacombe più note e meglio conservate, vanno ricordate le Catacombe di San Sebastiano, quelle di San Callisto sulla Via Appia, di San Pancrazio sulla Via Aurelia, di Domitilla sull’Ardeatina e di Priscilla sulla Via Salaria. Nell’Italia meridionale, le catacombe più importanti erano quelle di Napoli, Avellino, Siracusa, Messina e Palermo. Anche in Italia settentrionale, in Francia, Germania, Spagna, Grecia, in Asia Minore e in Africa settentrionale si trovano numerosi cimiteri sotterranei.

Catacombe di San Gennaro, II-III sec. Napoli.
Catacombe di San Giovanni, IV sec. Siracusa.

Le catacombe e il cinema

Molti miti e credenze riguardano le catacombe: la convinzione più antica e diffusa (e falsa) è che i cristiani usassero riunirsi o rifugiarsi in questi luoghi durante le persecuzioni. In realtà, le catacombe furono semplicemente dei cimiteri, privi di grandi spazi, dove i cristiani si recavano unicamente per seppellire i propri morti. I soldati romani si guardavano bene da tentare di catturarli in tali circostanze: avrebbero corso il rischio di perdersi nei labirinti dei loro ambulacri.

Catacombe di Priscilla, II-V sec. Planimetria del primo piano. Roma [disegno di A. Ferrua].
Complici di questa fake sono alcuni romanzi ottocenteschi ambientati nell’antica Roma e che vedono i cristiani come protagonisti. Anche il cinema fu sempre affascinato dalle vicende dei primi martiri, ricostruite con molta fantasia: sicché sia i film hollywoodiani sia i primi kolossal italiani hanno creato la mitologia del primo cristianesimo cui oggi siamo ancora legati.

Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, II sec. Roma.

Pensiamo solo a film come Fabiola, del 1948, tratto dall’omonimo romanzo storico Fabiola o la Chiesa delle catacombe del cardinale inglese Nicholas Wiseman e finanziato dal Vaticano, dove si racconta di una storia d’amore e di martirio ambientata nella Roma imperiale. In Quo vadis, film americano del 1951, tratto dall’omonimo romanzo di Henryk Sienkiewicz (premio Nobel per la letteratura 1905) e candidato a 8 premi Oscar, il protagonista assiste a una predica di San Pietro proprio dentro una catacomba.

Locandina del film Fabiola (1948) di Alessandro Blasetti.
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Locandina del film Quo Vadis (1951) di Mervyn LeRoy.

Le prime immagini cristiane

All’interno delle catacombe comparve la cosiddetta arte paleocristiana (I-V secolo d.C.), la più antica forma d’arte legata alla storia del cristianesimo. Le sue prime testimonianze vennero infatti realizzate proprio in questi luoghi di sepoltura per i cristiani (e di culto per i martiri), dove si abbellivano le pareti con raffigurazioni legate al nuovo credo: soprattutto, scene tratte dall’Antico Testamento e affascinanti decorazioni.

Il repertorio decorativo degli affreschi (tralci, uccelli, amorini) era mutuato dalla coeva pittura pagana e i soggetti erano scelti perché facilmente associabili ai nuovi concetti espressi dal culto cristiano. Tra i principali motivi decorativi compaiono immagini dal significato simbolico, espresse con uno stile piuttosto compendiario, ossia affrettato e grossolano, anch’esso ispirato alla pittura romana tardoantica.

Particolare delle decorazioni parietali delle Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, a Roma.

Nell’arte del tardo Impero romano, infatti, il naturalismo del linguaggio classico-imperiale aveva lasciato il posto a uno stile fortemente schematico. Come ha scritto efficacemente lo storico dell’arte Arnold Hauser (1892-1978), «le opere del Basso Impero, specie quelle del tempo di Costantino, anticipano già essenzialmente l’arte paleocristiana: lo stesso impulso a spiritualizzare e ad astrarre; la stessa predilezione per la forma piatta, incorporea come un’ombra; la stessa tendenza alla frontalità, alla solennità, alla gerarchia; la stessa indifferenza alla vita organica e vegetativa; la stessa insensibilità per tutto ciò che è soltanto caratteristico, singolare e pittoresco; in breve la stessa volontà artistica diretta all’ideale anziché al sensibile, che troviamo negli affreschi delle catacombe, nei mosaici delle chiese romane, nei codici miniati paleocristiani».

Catacombe di Commodilla, IV sec. Roma.

Un’arte romana cristianizzata

Già l’arte romana tardoantica aveva bandito la tridimensionalità, la caratterizzazione fisionomica, il modellato dei corpi e dei panneggi, la narrazione storica, sostituendoli con la stilizzazione. Ecco perché la critica più aggiornata preferisce considerare la prima arte cristiana (o paleocristiana) come “arte romana cristianizzata”, cioè come un settore dell’arte tardoantica, con la quale condivise lo svolgimento storico, i limiti cronologici, il contesto geografico e i caratteri stilistici. L’unico elemento davvero connotativo dell’arte cristiana va ricercato nelle tematiche.

Non dimentichiamo che pur rifiutando le convenzioni pagane in nome della loro fede, i cristiani furono comunque cittadini di cultura e di educazione romana. Inoltre, sino alla metà del IV secolo, gli artisti rispondevano senza distinzione a committenze pagane e cristiane. La comune maestranza artistica non aveva necessità di elaborare per le due parti un diverso linguaggio stilistico perché il registro iconografico di epoca tardoantica assecondava entrambe le esigenze. La continuità artistica fra paganesimo e cristianesimo risultò, insomma, del tutto naturale.

Banchetto liturgico fra cristiani, II sec. Affresco. Roma, Catacombe di San Callisto.

Un’arte simbolica

I primi artisti cristiani accolsero lo stile, le forme e talvolta i soggetti della pittura romana tardoantica per rappresentare immagini dal contenuto intensamente spirituale, per rispondere alla nuova esigenza di rappresentazione dell’invisibile attraverso il visibile. Nel tempo, la religione cristiana manifestò sempre meno interesse per la realtà sensibile e la bellezza terrena; all’arte furono affidate nuove funzioni, tra cui quella fondamentale di alludere a una realtà diversa da quella quotidiana, perché trascendente e metafisica.

Particolare delle decorazioni parietali delle Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, a Roma.

La scelta del simbolismo paleocristiano è giustificata dalla teologia e anche dalla storia. Per un certo tempo, il cristianesimo rimase legato alle proprie radici culturali giudaiche, che gli impedivano perentoriamente di rappresentare Cristo, in quanto Figlio di Dio e Dio egli stesso, in forma umana.

L’arte ebraica è detta infatti aniconica, perché, rispettando le parole della Bibbia, ha il divieto di rappresentare Dio, che è perfetto e infinito: «Quando il Signore vi parlò dal fuoco sul monte Oreb, voi non vedeste nessuna sembianza; state perciò bene attenti, perché è in gioco la vostra stessa vita: non dovete perdervi a fare statue che rappresentino un dio sotto forma di uomo o di donna» (Deuteronomio, 4, 15-19).

Un’altra ragione più pratica, circa la scelta di una comunicazione fatta di simboli che alludevano alla figura e alla dottrina di Gesù, è legata alla natura segreta e clandestina della pratica del culto: sino all’emanazione dell’Editto di Milano, voluto da Costantino nel 313, l’esplicita dichiarazione del proprio credo religioso costava ai cristiani una sicura condanna a morte.

La croce-àncora, dalle Catacombe di Domitilla, Roma.

I primi simboli cristiani: croce, àncora, pesce, vite

Il primo simbolo per eccellenza del Cristianesimo fu, ovviamente, la croce, il patibolo al quale venne inchiodato Gesù.

Un altro simbolo cristologico molto antico e diffuso fu il pesce, spesso rappresentato in forma molto schematica. La tradizione è legata a una frase greca (Iesûs Christòs Theoû Uiòs Sotèr), che in italiano suona “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore”, le cui prime lettere di ogni parola compongono l’acrostico greco IXTHYC (ichtùs), che significa appunto ‘pesce’.

Forma schematizzata del pesce, simbolo di Cristo, con l’acrostico greco IXTHYC.

Questa immagine fa anche riferimento alla chiamata degli apostoli, ai quali Cristo disse: «vi farò pescatori di uomini». Ricorda, ancora, il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuto da Gesù e l’episodio evangelico della pesca miracolosa. Il pesce si accompagnava talvolta alla croce, all’immagine del pane, che insieme al vino è cibo del banchetto eucaristico. Una valida testimonianza di questo soggetto è quella ritrovata all’interno delle Catacombe di San Callisto, a Roma. Altre volte, troviamo il pesce assieme ai simboli di salvezza dell’àncora (talvolta cruciforme) e della barca degli apostoli.

Pesce e pane eucaristico, particolare della decorazione pittorica, inizio III sec. Affresco. Roma, Cripta di Lucina, Catacombe di San Callisto.
Ancora cruciforme con i pesci, dalle Catacombe di Domitilla, Roma.

Anche la pianta della vite è un simbolo antico e molto diffuso nell’arte cristiana. Il motivo decorativo dei tralci con l’uva era tradizionalmente legato al culto pagano di Bacco, dio del vino. Divenne poi emblema del Cristo, grazie alle parole che egli stesso pronuncia nel Vangelo: «Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto» (Giovanni, 15, 5). Ritroviamo una testimonianza di questo soggetto nella pianta della vite che decora la volta dell’ambulacro del Mausoleo di Santa Costanza a Roma. Le immagini dell’uva e del vino rimandano peraltro direttamente alla Passione di Gesù e al sacramento dell’eucarestia.

Putti che vendemmiano, IV sec., particolare. Mosaico. Roma, Mausoleo di Costanza.

L’agnello

Tra i simboli più conosciuti del Cristo certamente c’è quello dell’agnello. Già nella tradizione ebraica l’agnello era considerato una creatura pura ed era offerto a Dio durante la Pasqua. Il sacrificio dell’agnello è infatti legato alla memoria della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto.

Agnello che benedice i pani, metà del IV sec. Affresco. Roma, Catacombe di Commodilla.

L’Antico Testamento racconta che prima della liberazione, ogni famiglia ebrea sacrificò un agnello per ordine di Dio e macchiò con il suo sangue gli stipiti e l’architrave della porta di casa. «E quand’io vedrò il sangue passerò oltre, e non vi sarà piaga su voi per distruggervi, quando percuoterò il paese d’Egitto» (Esodo, 12, 1-28). Dall’Antico Testamento, il simbolo dell’agnello e del suo sacrificio viene mantenuto anche nel Vangelo, dove leggiamo in riferimento a Cristo: «Ecco l’Agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo» (Giovanni, 1, 29). Come l’agnello pasquale dell’Antico Testamento, Gesù venne sacrificato per la salvezza del popolo di Dio.

Agnello mistico, Sarcofago del Mausoleo di Galla Placidia, inizio VI sec. Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia.

La prima arte cristiana rappresenta l’animale, spesso, con l’aureola, a volte con una croce o con lo stendardo simbolo della Resurrezione. Talvolta è raffigurato in sosta su un monticello, dal quale sgorgano i quattro fiumi del Paradiso, come accade per l’Agnello mistico scolpito su un sarcofago nel Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

L’immagine dell’agnello non va confusa con quella della pecora, che ha invece un altro significato simbolico: essa, che normalmente fa parte di un gregge, rappresenta il fedele, in riferimento alla parabola della pecorella smarrita.

Mosaico della croce, V-VI sec. Mosaico. Napoli, Catacombe di San Gaudioso. Nel mosaico sono presenti i simboli della croce, della vite con l’uva e delle pecore.

Storie dell’Antico Testamento

Le prime scene figurate furono invece tratte dall’Antico Testamento. Gli artisti, in genere, scelsero le pagine che più marcatamente rimandavano all’azione salvifica di Cristo, come il Peccato Originale di Adamo ed Eva, il Diluvio Universale, il Sacrificio di Isacco, Daniele nella fossa dei leoni e, soprattutto, la storia del profeta Giona.

Peccato Originale di Adamo ed Eva. Affresco. Roma, Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro.
Sacrificio di Isacco, 300-350. Affresco. Roma, Catacombe di Via Latina.
Daniele nella fossa dei leoni, Affresco. Roma, Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro.

L’avventura leggendaria di Giona rimanda al tema della Resurrezione, in quanto questo profeta sopravvisse per tre giorni nel ventre di un grande pesce che lo avrebbe risputato illeso su una spiaggia. La scena in cui viene buttato in mare, con il mostro marino pronto a divorarlo, compare in molti affreschi cimiteriali (Catacombe di San Callisto, Catacombe di Priscilla, Catacombe di Domitilla, Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro) e anche nel Sarcofago di Giona, già al Museo lateranense di Roma, risalente al III secolo. Lo ritroviamo, fuori dal contesto catacombale, anche nei bellissimi mosaici pavimentali del Duomo di Aquileia, del IV secolo.

Giona gettato dalla nave, III sec. Affresco. Roma, Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro.
Giona gettato dalla nave, particolare del Sarcofago di Giona, 300 ca. Marmo, 66 x 223 x 19 cm. Roma, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano.
Giona ingoiato dal mostro marino, IV sec. Mosaico. Duomo di Aquileia.


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