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Che cos’è l’arte? Difficile rispondere a questa domanda, forse impossibile. Quanto meno è impossibile proporre una risposta univoca, giacché nel corso dei secoli la concezione di ciò che comunemente definiamo arte è mutata, in tutto o in parte, adeguandosi ai tempi, alle circostanze storiche, politiche, sociali, da cui certamente non possiamo prescindere se vogliamo provare a comprendere cosa gli artisti, ossia coloro che “fanno arte”, hanno voluto dire.
E d’altro canto, l’arte è mutata e muta anche nello spazio, e non solo nel tempo, giacché le espressioni artistiche europee, asiatiche, africane, americane sono state e sono influenzate da fattori ambientali, culturali, tradizionali che le rendono caratteristiche. Insomma, pretendere di formulare una opinione unitaria sulla questione “arte” è impensabile.
La parola “arte” deriva dal latino ars, artis, e a sua volta dal termine greco téchne, da cui noi abbiamo ricavato la parola “tecnica”. L’arte, per i Greci, aveva dunque a che fare con la produzione concreta di cose, di oggetti, e l’artista era qualcuno capace di creare qualcosa che in natura non si trova. Anche la parola latina ars può essere tradotta con professione, mestiere, abilità, talento, e certamente non a caso “arte” è la radice di parole come “artigianato”, “artefatto”, “artificiale” che rimandano a un mestiere, a un bagaglio di esperienze conoscitive e tecniche, alla realizzazione di qualcosa di utile, prima di tutto, di necessario alla vita di tutti i giorni.
Nella mentalità dei Greci e dei Romani, che hanno prodotto capolavori ancora oggi celebratissimi, l’arte è qualcosa che si lega al concetto di utile. Ovviamente, la sua definizione non si esaurisce qui, giacché esistono tantissimi ambiti di produzione di oggetti indiscutibilmente utili ma che nessuno definirebbe artistici.
Analizzando la sconfinata produzione di opere e immagini che oggi concordemente riconduciamo alla sfera dell’arte, notiamo che fin dai suoi esordi l’attività artistica si è legata indissolubilmente a quella della comunicazione. L’arte è una forma di linguaggio e ha senso solo nella misura in cui ha un interlocutore a cui rivolgersi. Essa è dunque utile e necessaria non semplicemente perché ci ripara dal freddo o ci permette di cucinare o ci aiuta a svolgere un lavoro con minor fatica: l’arte serve a esprimere concetti o sentimenti, trasmettere informazioni, mandare messaggi, insegnare o educare, convincere o dissuadere, al pari, e talvolta più efficacemente, del linguaggio parlato o scritto. E perché ciò avvenga è necessario che qualcuno stia lì, disposto ad ascoltare (metaforicamente, s’intende) quanto l’artista ha da dire a proprio nome o per conto di altri.
Secondo una opinione molto diffusa e radicata nella mentalità comune, tutto ciò che afferisce alla sfera artistica dev’essere anche bello, deve allietare gli occhi e lo spirito. Fra tutte le funzioni dell’arte, quella di produrre il bello sembrerebbe essere la prioritaria, tanto da far scivolare in secondo piano la sua dimensione puramente utilitaristica: purché sia bella, un’opera d’arte può essere anche del tutto inutile, priva di scopo apparente. Potremmo osservare che quell’opera d’arte creata anche al solo scopo di allietare con la sua bellezza ha comunque uno scopo, dunque è utile.
L’equivalenza arte = bellezza non può identificare l’arte in sé: prima di tutto perché bisognerebbe stabilire a monte che cosa si intende per “bello”; in secondo luogo, perché non sempre l’obiettivo della bellezza è stato perseguito dall’arte nella storia dell’uomo. Ci sono stati momenti in cui il tema della bellezza artistica è stato percepito come del tutto secondario e altri in cui si è scelto addirittura di produrre opere non belle, secondo il giudizio comune, al fine di farle risultare più efficaci da un punto di vista comunicativo.
Accettando le categorie correnti di “bello” e “brutto”, insomma, non è necessario che un’opera d’arte sia bella per godere del crisma dell’artisticità. Non rappresentare qualcosa di bello non necessariamente qualifica un’opera come brutta in sé: la sua bellezza come opera può anzi risiedere nella bruttezza di ciò che rappresenta.
Quando ci troviamo di fronte a un’opera d’arte dobbiamo sempre contestualizzarla, ossia tenere conto del contesto in cui è stata prodotta. In caso contrario non sarà possibile capirla. Potremo apprezzarla ugualmente, se le sue forme o i suoi colori appagheranno il nostro senso estetico, ma senza dubbio il nostro approccio rimarrebbe assai superficiale.
Ogni singola opera d’arte è il risultato di molti fattori: le esigenze di chi l’ha commissionata e pagata e dunque la sua funzione (religiosa, funeraria, celebrativa, encomiastica, decorativa); il linguaggio artistico con cui è stata realizzata, frutto a sua volta di un gusto estetico dominante in quel preciso periodo storico; la tecnica di realizzazione e anche le capacità tecniche dell’artista; la volontà dell’artista di fornire un proprio contributo personale (culturale, sentimentale, sociale, politico, teologico) e la possibilità concreta di farlo, giacché non sempre agli artisti è stato permesso di esprimersi liberamente.
Conoscere la personalità di un artista e il suo livello culturale, quando possibile, aiuta a comprendere più a fondo la sua opera. A questo serve la storia dell’arte: a inserire ogni singola opera in un contesto complesso, svelarne i misteri, rivelarne le caratteristiche, far conoscere il come e il quando ma soprattutto far capire il perché quella certa opera è stata realizzata, e perché in quel suo particolare modo e non in un altro.
L’arte è dunque figlia del proprio tempo e di quel tempo costituisce una vivida testimonianza. Perché, allora, è possibile apprezzare un’opera d’arte a distanza di secoli? Che abbiamo a che fare noi con gli antichi Greci? Con i Romani? Con gli uomini del Medioevo? Quegli uomini vissuti così tanto tempo fa parlavano lingue diverse, vestivano in modo diverso, avevano stili di vita differenti dai nostri. Insomma, se è vero che l’arte è sempre stata contemporanea (contemporanea al pubblico per cui è nata e a cui voleva rivolgersi) come può anche essere universale?
Ciò accade perché l’arte, normalmente, non si risolve unicamente nella sua funzione di documento o testimonianza di un preciso contesto storico. Essa, in quanto forma di comunicazione, affronta temi, argomenti, problemi, esprime pensieri, concetti, aneliti di fede, sentimenti, aspirazioni, ansie, paure che fanno parte della dimensione umana e che dunque sono sovrastorici: non appartengono al singolo o alla singola epoca, o almeno non del tutto, ma ad ognuno di noi.
L’arte, dunque, ci aiuta a capire che la civiltà umana è progredita (per certi aspetti) ma che il cuore dell’uomo è rimasto sostanzialmente lo stesso. Se impariamo a decifrare il linguaggio con cui un artista si è espresso scopriamo di avere tanto in comune con lui e che questi ha continuato a parlare ai suoi posteri e ancora oggi parla a noi. Le opere d’arte – antiche, moderne o contemporanee – hanno sempre svolto il ruolo di specchio fedele della vita dell’uomo.
Esse hanno svolto tale ruolo utilizzando processi creativi che a volte si sono rivelati costanti, perfino lineari, e che altre volte si sono intrecciati, diventando addirittura ciclici. Insomma, se guardiamo alle opere d’arte del passato con attenzione e spirito libero, scopriremo che queste non sono affatto “passate” ma che sono, invece, ancora attuali, perché esprimono concetti che siamo perfettamente in grado di comprendere, comunicano qualcosa che ancora appartiene al nostro quotidiano. L’arte nella storia, insomma, non appartiene esclusivamente all’ambito della storia: al contrario essa ci fornisce utili strumenti di riflessione sul presente: l’oggi si fonda su ciò che è stato ieri e del quale noi siamo debitori molto più di quanto non appaia a un approccio superficiale.
Nel 2016, l’artista sudafricano William Kentridge (nato nel 1955) ha realizzato a Roma un fregio di 550 metri, intitolato Triumphs and Laments, sui muraglioni del Lungotevere, costituito da ottanta figure alte fino a dieci metri, attraverso le quali ha raccontato la storia della città, dalla Lupa capitolina ai nostri giorni, citando episodi come il famoso bacio fra gli attori Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella Fontana di Trevi (richiamo al film del 1960, La dolce vita, di Federico Fellini), o gli assassinii del politico Aldo Moro e dello scrittore e regista Pier Paolo Pasolini. Quest’opera, realizzata oggi sui muri urbani per raccontare la vita nel suo svolgersi, allo stesso modo dei dipinti rupestri delle grotte preistoriche o dei lunghi fregi del Partenone ad Atene o dell’Ara Pacis a Roma, ci offre lo spunto per una breve riflessione.
Quando si sente parlare di arte contemporanea, ma questo vale più in generale per tutta l’arte del Novecento, si è spinti istintivamente a pensare a qualcosa di incomprensibile, bizzarro, alieno dalla storia dell’arte e da tutto ciò che di bello è stato prodotto nei millenni. C’è chi pensa che la nostra contemporaneità abbia ucciso l’arte. Nulla di più falso. Il Novecento ha certamente creato nuovi linguaggi, come in fondo è successo più volte nei secoli scorsi, ma non per questo ha snaturato il senso, il ruolo, la funzione dell’arte stessa.
L’arte è tutt’altro che morta, anzi, essa non è forse mai stata così viva e pulsante quanto ai nostri giorni. Ed è ugualmente errato ritenere che l’arte contemporanea abbia rinnegato in toto il passato, spinta da uno spirito gratuitamente distruttivo o da una pervicace volontà di dissacrare tutto e di stupire ad ogni costo con idee astrusamente bizzarre. Infatti, non solo l’arte ma tutti i linguaggi visivi di oggi, il cinema, la fotografia, la grafica, la pubblicità, i fumetti, e anche il nostro senso estetico si nutrono costantemente di tutto quanto è stato prodotto dall’uomo negli scorsi millenni.
L’arte di oggi continua a specchiarsi, idealmente, in quella di ieri e tante volte vi si riconosce. Tra ieri e oggi non vi è sempre distanza temporale e ideale: in questo avvincente processo ciclico l’arte si riscopre, talvolta, uguale a ciò che era. Il passato è modernissimo, anzi ancora contemporaneo. E anche quando quello specchio ideale è deformante e l’immagine riflessa appare distorta e apparentemente irriconoscibile, non per questo il soggetto che si specchia è mutato. Alcuni artisti amano raccontare e raccontarsi, spiegare e spiegarsi, rivelare e rivelarsi con linguaggi nuovi: ma ciò che raccontano, spiegano e rivelano oggi non è poi così diverso, nella sua essenza, da ciò che altri hanno detto prima di loro. L’arte, insomma, continua a parlare della vita e del cuore dell’uomo.
Interessanti appunti per numerose riflessioni sul concetto di arte e sulla sua validità storica-temporale.
Grazie mille per l’apprezzamento
Professore la ringrazio per questo articolo; molto utile per far riflettere anche gli alunni su questo concetto solo in apparenza semplice.
Grazie di cuore