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A partire dagli anni Sessanta e Settanta e fino ad oggi, in Europa così come nell’America del Nord e del Sud, le artiste hanno trovato sempre più spazio e possibilità di espressione nel campo dell’arte internazionale. Le artiste 13. Artiste pop e performers.
L’esperienza della Pop Art, per esempio, ha visto attive, negli anni Sessanta, due artiste che si sono impegnate a contestare e sovvertire le immagini sessiste delle donne, tipiche della cultura popolare di quegli anni.
Marjorie Strider (1931-2014) si è distinta per i suoi grandi dipinti di pin up in costume da bagno, le cui curve diventano tridimensionali. Questi “dipinti scultorei” dalle forme morbide risentivano dell’influenza di Claes Oldenburg, che della Strider è stato molto amico.
Nel suo Green Triptych (1963), per esempio, una formosa ragazza americana è ritratta in tre pose diverse; i seni e il sedere le escono materialmente fuori dal quadro, a rimarcare polemicamente che agli uomini, di una donna, pare interessare solo quello. «Stavo prendendo in giro le riviste per uomini», dichiarò l’artista commentando i suoi lavori. La Strider si è esibita anche in performances femministe, che hanno anticipato alcuni esiti della Body Art.
Rosalyn Drexler (1926) è artista e scrittrice (sua è la trasposizione letteraria del film Rocky). Come pittrice, ha realizzato immagini sature di colore, ispirate a riviste, poster e giornali. In una serie di quadri, che si intitola Love and Violence, ha denunciato apertamente la violenza fisica contro le donne. Le artiste 13. Artiste pop e performers.
Per esempio, in Put It This Way, del 1963, un uomo ben vestito sta violentemente schiaffeggiando una giovane donna. Le due figure sono in bianco e nero, come nei film degli anni Sessanta (quasi tutti di stampo fortemente sessista); lo sfondo blu elettrico rende la scena quasi irreale ma obbliga lo spettatore a soffermarsi sul suo contenuto.
Negli anni Settanta, le artiste hanno definitivamente colmato il gap che le aveva divise dai colleghi maschi, e soprattutto nell’ambito della Body Art. È infatti indubbio che le più importanti performers sono state, e sono, donne. Non è un caso. Le artiste, fatta finalmente breccia nella roccaforte dell’arte maschile, hanno infatti deciso di affrontare, in modo nuovo e radicale, il problema della rappresentazione di sé, liberandosi da stereotipi e pregiudizi, non di rado con intento di denuncia, quasi sempre rivendicando la propria autonomia e difendendo la propria identità. Spesso, le loro performances presentano il corpo femminile in termini sacrificali, come metafora di quanto accade drammaticamente nella realtà quotidiana.
Tra le performers più celebri, si distingue certamente l’artista serba Marina Abramović (1946), che in tanti anni di attività ha voluto affrontare con determinazione ogni tipo di prova fisica e psicologica.
Come lei, anche l’italo-francese Gina Pane (1939- 1990) ha proposto performances dalla spiccata componente masochistica, durante le quali ha messo alla prova la sua resistenza al dolore e al disgusto: spine conficcate nella carne, taglio della pelle con lamette, vermi e scarafaggi sparsi sul corpo.
La cubana Ana Mendieta (1948-1985) ha indagato il tema della violenza sulle donne. Ha mostrato il proprio corpo insanguinato o deformato, perché schiacciato contro lastre di vetro.
In una sua performance, Untitled (Rape Performance) del 1973, ha simulato un delitto con stupro, facendosi trovare su un tavolo, nuda, legata e ricoperta di sangue. Le artiste 13. Artiste pop e performers.
Coraggiosissima ed estrema è l’arte della guatemalteca Regina José Galindo (1974), che affronta i temi dell’ingiustizia sociale, della discriminazione di sesso e di razza, degli abusi perpetrati dai regimi, dei genocidi. Le sue performances sono un grido di dolore e, insieme, un atto di denuncia dei tanti crimini commessi nel mondo e soprattutto nella sua terra. Identificandosi con le vittime dei soprusi, si è inflitta punizioni aberranti, umilianti, dolorose: nel 2005 ha subìto 279 frustate, tante quanto il numero di donne uccise in Guatemala nei primi mesi dell’anno; nel 2006 si è fatta innaffiare nuda dagli idranti usati dalla polizia; nel 2007 si è fatta torturare da un uomo che l’ha immersa in un catino d’acqua fino quasi a farla affogare.
È del 2013 una delle sue più toccanti performance: La verità. Mentre leggeva le testimonianze delle donne picchiate, seviziate, violentate dai soldati durante la guerra civile in Guatemala, un dentista, ogni dieci minuti e per oltre un’ora, le ha somministrato un’anestesia dentale. Ma lei, nonostante le labbra gonfie e la lingua addormentata, ha continuato, sia pure biascicando, a denunciare quegli orrori.
Non tutte le performers si sono espresse, o si esprimono, attraverso azioni traumatiche o violente. Alcune preferiscono proporre operazioni più marcatamente intellettuali. La tedesca Rebecca Horn (1944), per esempio, è diventata famosa soprattutto per le sue cosiddette “estensioni corporali”, ossia vestiti-sculture che si presentavano come prolungamenti artificiali di parti del suo corpo. Le artiste 13. Artiste pop e performers.
La performance Ventaglio-corpo-bianco, del 1972, prevedeva per esempio l’uso di un vestito dotato di due gigantesche ali-ventagli. Altre estensioni più famose sono state, sempre negli anni Settanta, Unicorno, un lunghissimo corno bianco legato sulla testa tramite cinghie, Maschera di matite, una maschera-gabbia composta da sei cinghie orizzontali e tre verticali da cui fuoriuscivano alcune matite nere, Guanti-dita, guanti le cui dita si estendevano sino a terra grazie ad allungamenti in balsa e tessuto, e infine Guanti di piume, formata da piume attaccate a ciascun dito con anelli di metallo che trasformavano le mani in ali di uccello. Le piume, in particolare, erano materiali molto amati dalla Horn, che ne ha fatto ampio uso anche negli anni Ottanta e Novanta. Le artiste 13. Artiste pop e performers.
La genovese Vanessa Beecroft (1969) crea, ancora oggi, suggestivi tableaux vivants (‘quadri viventi’), mettendo in scena sé stessa o gruppi di giovani donne, che occupano uno spazio o si muovono seguendo precise coreografie. Le modelle sono nude oppure vestite succintamente e spesso indossano vistose parrucche; restano immobili o compiono movimenti molto lenti.
L’intento è quello di ricordare la condizione delle donne che per millenni, trattate come oggetti, bambole o manichini, sono state costrette al silenzio e a nascondere le proprie angosce e i propri dolori. In ogni circostanza, le sue performances sono segnate da una misteriosa rarefazione dell’immagine che rende manifesto il carattere profondamente intellettuale di tutta l’operazione artistica. Le performances della Beecroft sono spesso intitolate, o meglio “firmate” con le iniziali del suo nome seguite da numeri. Le artiste 13. Artiste pop e performers.
Nella performance del 2003, intitolata VB52, alcune modelle seminude sono rimaste sedute attorno ad un lungo tavolo di cristallo e hanno consumato cibo monocromatico: bianco (uova, cavoli, pane e latte), arancio (mandarini e carote) e poi verde, rosso e viola (melanzane e prugne).
Mi accorgo di conoscere pochissimo della Pop Art e soprattutto delle performances.
Trovo molto interessanti e stimolanti queste artiste. Mi è difficile accettare la violenza anche come mezzo di comunicazione, mi spaventa non avrei mai il coraggio di agire come la Abramoviç o la Pane. Seducente mi appare l’espressione dell’artista genovese. L’artista più vicina è la guatelmalteca: l’esposizione personale è estrema la sua immersione nell’attuale profonda.
Grazie mille per la riflessione.