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Agli inizi del XX secolo, il mondo si preparava a un profondo cambiamento; il Novecento si apriva fra drammatiche contraddizioni, configurandosi per tanti versi come “diverso” da tutti quelli che lo avevano preceduto. Una serie di scoperte in campo scientifico stava rivoluzionando non solo i settori di applicazione specifica ma anche il “comune sentire”: la medicina, le scienze naturali e la fisica, in particolare, stavano facendo intravedere altre realtà, oltre quella che, sino ad allora, era comunemente conosciuta. Le Avanguardie artistiche del Novecento.
In Francia, i coniugi Curie avevano isolato il radio; in Inghilterra, il fisico Ernest Rutherford aveva studiato la radioattività; in Germania, il fisico Max Planck aveva rivoluzionato concettualmente l’interpretazione fisica dei processi di scambio energetico. In Svizzera, il fisico tedesco Albert Einstein aveva formulato la teoria della relatività, dimostrando che spazio e tempo non sono entità assolute, tra loro distinte e indipendenti. Sconvolgendo le concezioni della fisica classica, Einstein pose il tempo come quarta dimensione, che si andava ad aggiungere alle tre spaziali (altezza, lunghezza, larghezza).
Un’altra teoria che ebbe immediate e notevoli conseguenze per l’arte come per la letteratura fu la psicoanalisi dell’austriaco Sigmund Freud, che minò la convinzione dell’assolutezza della percezione razionale, dimostrando l’esistenza di zone sommerse e attive nel profondo della psiche di ciascun individuo. Le teorie della relatività, della indeterminazione e della probabilità si divulgarono rapidamente, fuori dalle ristrette “mura della scienza”, negli ambienti letterari e anche l’arte volle aprirsi a un universo di nuove ricerche e sperimentazioni.
Artisti, letterati e intellettuali erano ben consapevoli di tutti quei cambiamenti in atto e con le loro opere, gli scritti, gli interventi vollero dar voce a dubbi, speranze, angosce, entusiasmi di una società piuttosto disorientata. Non a caso, il travagliato esordio del XX secolo vide l’affermazione quasi contemporanea, in meno di un decennio (1905-11), di ben quattro movimenti artistici: Espressionismo, Cubismo, Futurismo e Astrattismo, accomunati dalla volontà di ricercare nuove strade e nuovi strumenti espressivi, di mettere in discussione secolari convinzioni estetiche, di contestare il principio che l’arte fosse prima di tutto una finestra aperta sul mondo. Ad essi si aggiunse, nel 1916, un quinto movimento, il Dadaismo, che si caratterizzò per i suoi aspetti provocatori e radicali.
Questi cinque movimenti, spesso profondamente diversi fra loro, per esempio nelle rispettive posizioni nei confronti della guerra o della filosofia positivista, si definiscono Avanguardie artistiche, o anche Avanguardie storiche, perché furono aspramente polemici nei confronti delle tradizioni consolidate e oppositori dell’ordine sociale e culturale costituito. Il termine è desunto dal linguaggio militare: le avanguardie, in guerra, sono quelle unità di soldati che hanno il compito di precedere il resto dell’esercito in movimento e quindi di esporsi per prime al nemico.
Il primo dei movimenti ad esordire fu l’Espressionismo; il termine non si riferisce direttamente a uno specifico movimento letterario, artistico, musicale o a un gruppo di artisti che vi aderirono ma intende definire, in generale, un fondamentale orientamento della storia culturale europea, collocabile tra il 1900 e il 1920 ca. I due movimenti pittorici con cui di fatto si identifica l’Espressionismo, entrambi fondati nel 1905, sono quello tedesco denominato Die Brücke (1905-13), che ebbe come principale esponente Kirchner, e quello francese dei Fauves (1905-8), il quale contava tra i suoi fondatori Matisse.
Contemporaneamente, nel 1907, Pablo Picasso dipingeva un quadro del tutto diverso da quelli che avevano segnato la sua carriera precedente: Les demoiselles d’Avignon, una delle opere più sconcertanti del primo Novecento. La tela sancì l’esordio di una nuova visione artistica, tesa a sconvolgere tutte le regole tradizionali della pittura. Con la sua forza primitiva, l’azzardata deformazione delle figure, l’arbitrio del colore e l’apparente disarmonia della composizione, Les demoiselles d’Avignon è un esempio quanto mai rappresentativo del furore istintivo e cerebrale che segnò l’esordio del Cubismo. Questo movimento concluse le sue ricerche essenziali nel 1914.
Il Futurismo nacque ufficialmente nel 1909 con la pubblicazione sul «Figaro» del Manifeste du Futurisme, redatto dallo scrittore Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944). Per certi versi il Futurismo fu il più politicizzato dei movimenti d’Avanguardia; non rinnegava come gli altri movimenti la filosofia positivista, anzi ne esaltava i traguardi e sosteneva il fronte bellico con energia ed esaltazione. Nel Manifesto redatto da Marinetti, si celebrava infatti il culto del coraggio e dell’audacia, l’amore del pericolo, il mito della velocità e soprattutto si incitava il pubblico alla lotta contro il passato: «noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie», era il proclama di Marinetti.
Il Futurismo esaltò il movimento aggressivo, «l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno» e perfino la guerra, «sola igiene del mondo». E proprio la guerra, nel 1916, concluse l’esperienza del Primo Futurismo uccidendo Boccioni e Sant’Elia, che con Balla erano stati tra i suoi più importanti protagonisti.
Nel 1911 Vasilij Kandinskij e Franz Marc fondarono a Monaco il movimento Der Blaue Reiter (in tedesco, ‘Il Cavaliere azzurro’), attivo fino al 1916. Questi due artisti, aprendo la stagione dell’Astrattismo, rifiutarono la rappresentazione della realtà e orientarono la loro ricerca in una direzione “non-figurativa”, ricercando la forma pura. Le ricerche dell’arte astratta proseguirono in Olanda, con il Neoplasticismo, fondato fra gli altri da Piet Mondrian nel 1917 e attivo sino al 1925. Questo movimento sostenne la necessità di un astrattismo rigorosissimo, basato sull’uso esclusivo di rette ortogonali in combinazione con il bianco, il nero e i colori primari.
Anche le ricerche degli artisti legati all’Astrattismo russo condussero all’adozione di forme geometriche; le cosiddette Avanguardie russe (Raggismo, Suprematismo e Costruttivismo) già dagli anni immediatamente precedenti la grande guerra mostrarono questa marcata tendenza, che tra il 1915 e il 1918, con Malevič, si tradusse nella formulazione di un’arte composta essenzialmente da triangoli, rettangoli e quadrati monocromi.
Il Dadaismo, che si propose come uno dei movimenti culturali di rottura più radicali del XX secolo, ebbe inizio verso il 1916, contemporaneamente in Europa e negli Stati Uniti, e fu attivo sino al 1924. Abbandonando le tecniche tradizionali e sostenendo, provocatoriamente, che per volontà dell’artista qualunque oggetto può avere valore artistico, per la prima volta i dadaisti, capitanati da Duchamp, stravolsero il significato e la funzione assunti per secoli dall’arte, preparando il terreno culturale per le nuove rivoluzioni dell’arte contemporanea. Tristan Tzara, lo scrittore francese fondatore del gruppo insieme al pittore romeno Marcel Janco, chiarì bene questo concetto: «Dada ha cercato non tanto di distruggere l’arte e la letteratura, quanto l’idea che ce ne si era fatti». In altre parole, l’arte dadaista, così irriverente e arbitraria, non ebbe come scopo la negazione dell’arte in sé ma la negazione dell’arte intesa come istituzione.
È stata distrutta l’arte , i dipinti si possono mettere anche sotto sopra. MODERNITA’