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Nell’arte cristiana è chiamato Bacio di Giuda un episodio della Passione di Cristo. Giuda raggiunse Cristo nell’Orto degli Ulivi, dove il Maestro si era recato per passare la notte in preghiera, e lo baciò, rivelandone l’identità ai soldati del Sinedrio affinché lo arrestassero. Nell’Oriente antico il bacio era un segno di saluto, ma anche un’espressione di amore, di amicizia e persino di venerazione. Questi significati furono stravolti da Giuda, che scelse di tradire Cristo proprio baciandolo.
L’episodio del Bacio di Giuda, noto pure come Arresto di Gesù, è riportato da tutti i Vangeli canonici. La sua iconografia prevede normalmente una scena tumultuosa, con le figure di Cristo in atteggiamento di tranquilla o angosciata accettazione, di Giuda che lo bacia o si appresta a baciarlo, dei soldati del Sinedrio che si affollano per catturare il Cristo, degli altri apostoli che tentano di difenderlo, di Pietro che impugna la spada e taglia un orecchio a un soldato.
Molti artisti si sono cimentati a dipingere questo episodio così importante della passione e nel contempo così iconograficamente complesso. Certamente magistrale, a distanza di così tanti secoli, è l’interpretazione che ne ha fornito Giotto (1267-1336), nella Cappella degli Scrovegni di Padova.
Era il 1303 quando il ricchissimo banchiere Enrico Scrovegni fece edificare, a Padova, un piccolo ambiente a una sola navata, detto Cappella degli Scrovegni, e chiese a Giotto, ormai quarantenne e all’apice della sua fama, di affrescarla. Il grande artista, che si trovava già in città (chiamato, forse, dai francescani della Basilica di Sant’Antonio) accettò l’incarico e si dedicò all’impresa fino almeno al 1305, anno in cui la cappella fu consacrata. Ricoprì l’intera superficie muraria con più cicli di affreschi, a grandi scene figurate, con le Storie di Anna e Gioacchino (i genitori della Madonna), le Storie della Vergine e le Storie di Cristo. Il ciclo è concluso da una grande raffigurazione del Giudizio Universale, dipinto sulla controfacciata.
Affrontando gli innumerevoli soggetti sacri, Giotto trovò più di un pretesto per rappresentare la vita reale con risultati di eccellente naturalismo. Lo spazio immaginato è verosimile, le architetture dipinte creano ambienti concreti in cui gli uomini vivono e di cui vale la pena mostrare i bauli, le panche, le mensole, i letti, le tende, le coperte a righe; i personaggi s’impongono in quello spazio, con la forza plastica dei loro corpi.
Questo specchio della vita non è fine a sé stesso: con i suoi affreschi, Giotto volle calare l’evento divino in una dimensione quotidiana che l’osservatore medievale poteva facilmente riconoscere e sentire propria. Nelle Storie di Cristo, in particolare, il dramma si dispiega con grande pathos, anche se Giotto non forza mai la mano; il movimento, la violenza, la passione, i gesti, gli sguardi non sono solo espedienti artistici, non servono ad assecondare una voglia di teatralità.
Nel Bacio di Giuda, per esempio, il rumore della gran folla sembra sfumarsi quando si osserva il dettaglio dei due protagonisti. Mentre tutti intorno si agitano, Gesù non reagisce, non dice nulla, resta immobile. Si limita a guardare Giuda, che lo avvolge con il suo mantello nell’abbraccio traditore. Anzi, lo fulmina con lo sguardo, tanto che Giuda esita a baciarlo, resta come bloccato, con le labbra protese, in una smorfia che lo rende goffo. A quei tempi, si era soliti rappresentare questa scena ponendo Gesù in posizione frontale, con il volto rivolto all’osservatore.
Il Redentore, così, risultava come estraneo a quell’evento, già proiettato nella sua dimensione divina. Non per Giotto, che vuole invece sottolineare il dramma tutto umano del tradimento di un amico e della delusione e della sofferenza che questo comporta. Gesù guarda Giuda, perché è con lui e con la sua coscienza che, in quel momento, sta facendo i conti.
In alto, sopra la massa compatta e rissosa di apostoli e soldati, si agita una selva di bastoni, lance e torce. Riconosciamo, a destra, una torcia a cesto, tipica di quei tempi. Giotto non perde mai l’occasione per raccontarci come vivevano nel Trecento e di quali oggetti si circondavano. Sulla sinistra, vediamo Pietro mettere mano al coltello e tagliare un orecchio a Malco, servo del Sommo Sacerdote, che nemmeno si è accorto di quanto sta accadendo: come in un fermo-immagine, o in un rallenty, si vede il padiglione mozzato cadere giù. Un uomo incappucciato ci mostra le spalle.
Sono importantissime, nelle sapienti composizioni di Giotto, queste voluminose figure di schiena perché accentuano la nostra percezione dello spazio dipinto (stanno tra noi e quanto accade, quindi segnano un “davanti” e un “dietro”) e soprattutto aiutano a proiettarci “dentro” la scena, come se fossimo accorsi a vedere cosa stava succedendo e avessimo trovato qualcuno davanti. Noi siamo quindi invitati a partecipare a quel fatto, il quale è appunto un fatto, non lo sterile racconto di un libro: qualcosa che realmente è accaduto e che ha cambiato la storia. Anche la nostra.
Molto interessante il commento!