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L’attuale Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, edificata fra l’XI e il XII secolo (ma in buona parte fra il 1088 e il 1099), sorge sulle fondamenta di un precedente edificio paleocristiano, il quale era stato costruito per volontà di sant’Ambrogio, vescovo della città, nel IV secolo, ossia fra il 379 e il 386, quando la città romana di Mediolanum era ancora capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Questa basilica è oggi considerata, per importanza, la seconda chiesa della città di Milano, dopo il Duomo.
Ambrogio (339/40-397), nato a Treviri, in Gallia, da un’antica famiglia romana, e consacrato vescovo nel 374, fu il fondatore della Diocesi milanese e segnò, con il suo episcopato, la storia della città e della Chiesa. A lui si deve la fondazione di quattro basiliche milanesi, dette ambrosiane, intitolate agli Apostoli (poi a San Nazaro), alle Vergini (poi a San Simpliciano), ai Profeti (poi a San Dionigi, perduta) e ai Martiri (poi a Sant’Ambrogio stesso) e costruite in corrispondenza dei quattro punti cardinali della città, in modo da sovrapporre a Milano una croce ideale.
L’antica basilica paleocristiana di Sant’Ambrogio era stata eretta fuori dalle mura cittadine, in una zona in cui erano stati sepolti molti cristiani, martirizzati durante le persecuzioni romane, e per questo era stata chiamata Basilica Martyrum. Lo stesso Ambrogio vi traslò le reliquie dei santi martiri Gervasio e Protasio, uccisi nel II secolo d.C. Quando poi Ambrogio, divenuto santo, vi fu a sua volta sepolto, la chiesa gli venne dedicata, e così cambiò nome, assumendo quello attuale.
Di questo antico edificio oggi non resta quasi traccia, ma sappiamo era a pianta basilicale senza transetto, con tre navate, due colonnati sui quali si impostavano archi, una sola abside. Il tetto della navata centrale era sicuramente in legno a capriate con doppio spiovente, mentre le coperture delle navate laterali a spiovente singolo. Il suo aspetto non doveva essere differente da quello della Basilica di Santa Sabina a Roma, che ancora oggi mantiene le sue antiche strutture.
È rimasta, della basilica perduta, una parte della grande porta d’ingresso, oggi conservata presso il Museo diocesano di Milano; si tratta di alcuni frammenti delle imposte lignee, risalenti al IV secolo d.C. e intagliate a bassorilievi con Storie di Davide. Le figure rappresentate, per lo spiccato naturalismo, la scioltezza delle pose e la resa dei panneggi, richiamano con evidenza la tradizione imperiale romana; le teste e le mani sono state scalpellate via, forse in previsione di un restauro che poi non venne mai eseguito.
Risale alla storia paleocristiana della basilica anche il cosiddetto Sarcofago di Stilicone, risalente alla seconda metà del IV secolo d.C. e oggi incluso nel grande ambone romanico. Si tratta di un grande sarcofago lapideo, destinato a contenere più di una salma, decorato a bassorilievi su tutti i lati, ricomposto dopo che il crollo di una volta lo danneggiò gravemente nel 1196. Non abbiamo alcuna certezza che nel sarcofago sia stato veramente sepolto Stilicone, ossia il magister militium dell’esercito romano che alla morte di Teodosio I esercitò la reggenza dell’Impero Romano d’Occidente, per conto del giovane Onorio.
Sul lato anteriore, ossia quello lungo rivolto verso la navata centrale, un giovane Gesù imberbe, secondo l’iconografia ancora assai diffusa nel IV e V secolo, manda i discepoli a proclamare il Vangelo (Missio apostolorum). Il Messia, seduto in trono, tiene un libro nella mano sinistra e con la mano destra compie il cosiddetto gesto della parola, proprio di chi richiama l’attenzione degli astanti. Gli apostoli, a loro volta seduti, sono stretti fra loro come a formare una catena, tanto da sovrapporsi i piedi uno con l’altro.
Di particolare importanza e pregio è la scena che decora il lato posteriore, rivolto verso la navata laterale, con Cristo e gli apostoli. Gesù è rappresentato al centro, con i cappelli lunghi e la barba, vestito di tunica e pallio, con la mano destra sollevata e la sinistra che stringe un rotolo. Alla sua sinistra, Pietro tiene una croce sulla spalla; alla destra del Redentore, Paolo compie il gesto dell’acclamatio, attraverso il quale l’apostolo dimostra meraviglia e deferenza. Formano due ali laterali gli altri apostoli. Inginocchiati ai piedi del Cristo, due fedeli tradizionalmente identificati con Stilicone e Serena.
Nel V secolo, dopo la morte di Ambrogio, la sua basilica subì alcuni interventi, ad opera del vescovo Lorenzo: venne elevato il pavimento del presbiterio e furono costruite due cappelle funerarie, isolate in prossimità dell’edificio, una delle quali, il cosiddetto Sacello di San Vittore in ciel d’oro, è giunta fino a noi con parte dell’antico rivestimento musivo. Dotata di una pianta trapezoidale e fornito di cripta (dove si trovavano le reliquie di san Satiro e san Vittore), un tempo presentava anche un’abside.
La cupola è interamente rivestita a mosaico, con un fondo oro uniforme che giustifica il nome della cappella. Al centro, entro un clipeo costituito da un festone con spighe e frutti autunnali (simbolo delle quattro stagioni, quindi del tempo e dell’eternità), campeggia il busto di San Vittore tra due croci.
Sulle pareti laterali si distribuiscono le figure di sei santi, su fondo blu: tra essi si riconosce anche Sant’Ambrogio, rappresentato in abiti civili, nella sua più antica raffigurazione conosciuta che la critica ritiene un ritratto abbastanza fedele.
La basilica di Sant’Ambrogio fu oggetto di alcuni interventi nel corso del IX secolo, durante la cosiddetta Età ottoniana. Sotto il vescovo Angilberto II, venne costruito il campanile di destra, detto dei monaci. Inoltre, si intervenne sulla zona absidale, realizzando, o forse in parte rifacendo, il grande mosaico dell’abside centrale con il Redentore in trono tra i martiri Protasio e Gervasio e con gli arcangeli Michele e Gabriele. Tale preziosa decorazione, danneggiata da una serie di dissesti strutturali che interessarono edificio tra il 1190 e il 1198, venne restaurata e probabilmente integrata nel corso del Duecento. La fascia inferiore, con le iscrizioni in nero su fondo oro, è invece un rifacimento ottocentesco.
Il mosaico absidale di Sant’Ambrogio è insomma il risultato di interventi che si sono succeduti nel tempo. Nella sua configurazione definitiva, rappresenta Cristo assiso in trono e benedicente, affiancato da Protasio (a sinistra) e Gervasio (a destra), a loro volta sovrastati, rispettivamente, da san Michele e san Gabriele arcangeli. Sotto la figura di Cristo, si trovano San Satiro (al centro) tra Santa Marcellina (a sinistra) e Santa Candida (a destra), rappresentati a mezza figura entro tondi. Ai lati si dispiegano due episodi della vita di Sant’Ambrogio: a sinistra, il santo appare durante il funerale di San Martino di Tours; a destra, egli è in piedi accanto a un altare, con la mano destra sulla guancia, colto da un sonno improvviso.
Sono di età ottoniana anche il Ciborio, ossia la grande edicola architettonica del presbiterio, e il sottostante Altare di Sant’Ambrogio. Il Ciborio, risalente al IX secolo, è costituito da quattro colonne romane di porfido rosso (materiale di spoglio), dai capitelli a cesti con volute angolari. La struttura superiore è a quattro fastigi timpanati, decorati con stucchi policromi: sulla parte frontale, Cristo consegna a san Pietro le chiavi del Paradiso e a san Paolo il Libro della Sapienza.
L’Altare di Sant’Ambrogio, commissionato da Angilberto II allo scultore Vuolvino, è invece uno dei più preziosi capolavori di oreficeria dell’intero Alto Medioevo: interamente rivestito in oro, argento, pietre preziose e smalti, un tempo si trovava sopra le reliquie dei santi Ambrogio, Gervasio e Protasio, poi trasferite nella cripta scavata nella seconda metà del X secolo. Tale cripta, tuttavia, non aveva l’aspetto di quella attuale, che è frutto di un intervento sette-ottocentesco. Non si esclude che un ambiente ipogeo potesse trovarsi anche sotto l’antica chiesa ambrosiana.
La trasformazione della Basilica di Sant’Ambrogio, da paleocristiana a romanica, iniziò dopo il 1080, quando si decise di ricostruire il corpo longitudinale. La copertura a volte sarebbe stata invece eseguita solo dopo il 1117, a seguito di un crollo parziale della struttura provocato da un terremoto.
I Milanesi erano molto legati alle basiliche ambrosiane e per questo, quando ristrutturarono quella di Sant’Ambrogio, vollero conservare l’impianto planimetrico originario e persino l’estensione e l’ingombro dell’edificio paleocristiano.
Per questo motivo, questo capolavoro romanico presenta in impianto inconsueto per l’architettura di quel periodo: pianta basilicale, a tre navate, senza transetto, con ampio quadriportico d’ingresso, in cui la campata quadrata viene adottata come elemento generatore di un sistema modulare geometricamente rigoroso. Ad ogni campata quadrata della navata centrale corrispondono due campate quadrate delle navate laterali, ciascuna delle quali presenta una superficie e un volume pari a un quarto di quelli della corrispondente campata centrale.
L’impianto planimetrico, insomma, rispetta i rapporti proporzionali 1:2 e 1:4 e richiede un sistema alternato nella distribuzione dei piedritti, con i pilastri a fascio maggiori, sui quali si impostano i costoloni delle volte centrali, che si alternano ai pilastri a fascio minori, che invece sostengono le volte delle navatelle.
La facciata, estremamente suggestiva, è a capanna, con due spioventi decorati da archetti pensili che abbracciano tutta la larghezza dell’edificio. Presenta un doppio livello di arcate: le tre inferiori del portico, di eguali dimensioni, che si congiungono a quelle del quadriportico antistante (leggermente più alte) e quelle superiori, decrescenti, della loggia; attraverso quest’ultima, filtra la luce che illumina internamente parte della chiesa. Ogni arco presenta una decorazione a doppia ghiera.
Nonostante la presenza di due torri, la facciata della Basilica di Sant’Ambrogio non può definirsi propriamente “turrita”, secondo la tipologia diffusa in Europa e nel Sud Italia: le due torri, infatti, realizzate in tempi differenti, si innalzano in posizione simmetrica rispetto alla chiesa ma non sono allineate al prospetto.
Il campanile di destra, detto dei monaci, è di età ottoniana e risale al IX secolo; quello a sinistra, detto dei canonici, fu costruito entro il 1128. Più alto del precedente, il campanile dei canonici è decorato con lesene e cornici marcapiano ad archetti pensili; gli ultimi due piani, inclusa la loggia trifora, sono un’aggiunta del XIX secolo su disegno dell’architetto Gaetano Landriani.
Il quadriportico, detto di Ansperto, ossia il cortile (porticato sui quattro lati) che precede la chiesa, risale circa al 1098. Ha le medesime dimensioni dell’edificio, del quale si presenta come un’ideale prosecuzione, protesa verso la città. I suoi pilastri, arricchiti da semicolonne, presentano capitelli decorati con motivi vegetali e a intreccio e con raffigurazioni di animali, spesso fantastici.
La presenza del quadriportico, elemento diffuso nell’architettura paleocristiana ma raro in quella medievale, dimostra con il suo significativo cambio d’uso il valore laico attribuito a questa basilica. Nel precedente edificio del IV secolo, infatti, esso era destinato ad accogliere gli adulti non ancora battezzati. Ma siccome da tempo i fedeli ricevevano il battesimo alla nascita, il nuovo quadriportico romanico di Sant’Ambrogio fu concepito come una piazza protetta, un vero e proprio foro medievale, dove i milanesi potevano radunarsi per incontrarsi e discutere, in occasione di assemblee religiose o civili. Dalla loggia superiore della facciata, le cariche cittadine parlavano alla folla, mentre il vescovo dava la sua benedizione ai fedeli.
L’interno della basilica presenta una navata centrale doppia rispetto a quelle laterali, divisa in quattro campate quadrate, tre delle quali sono coperte da volte a crociera costolonate, mentre l’ultima si apre nel tiburio a pianta ottagonale. Le navate laterali si dividono invece in otto campate coperte a crociera, il cui lato misura la metà di quello delle campate centrali.
Lo possiamo verificare ammirando le magnifiche pareti della navata centrale: ogni arco longitudinale di ciascuna volta comprende due archi delle navate laterali e due archi dei matronei. Tutto il sistema di copertura è sostenuto da possenti pilastri a fascio, cioè da piedritti formati da molte colonne addossate e riunite in un solo blocco. Anche i matronei, sostenuti dalle navatelle, sono articolati in otto campate coperte a crociera: la loro presenza conferisce all’ambiente l’aspetto di un’ampia aula a due piani, quasi di un ambiente a sala. Le arcate delle navate laterali e quelle dei matronei contrastano efficacemente le spinte della navata centrale, trasferendole sul robusto perimetro esterno, soprattutto in corrispondenza dei contrafforti. Tutte le navate terminano con un’abside.
Ogni cosa contribuisce a fare della Basilica di Sant’Ambrogio l’esempio più emblematico e compiuto di Romanico lombardo. Con le sue volte, i suoi possenti pilastri, i suoi corridoi oscuri, la nudità delle sue pareti, la chiesa partecipa a pieno titolo alla formazione e all’evoluzione di quel linguaggio artistico internazionale che identifica l’architettura romanica soprattutto con la potenza e la forza delle murature.
La Basilica di Sant’Ambrogio è infatti un organismo plastico, dalle navate alla facciata: un articolarsi di masse, un vigoroso equilibrio di forze e controspinte, un consapevole esempio di grandiosità costruttiva. Questo edificio esalta i materiali che lo costituiscono e si esalta attraverso di essi: è costruito con elementi dai materiali semplici, ossia mattoni rosso vivo, spesso disposti a spinapesce; conci in pietra chiara per gli archivolti degli archi e gli archetti pensili; colonne, basi, fusti e capitelli di pietra da taglio chiara, usata anche nei costoloni delle volte; intonaco bianco a coprire le pareti.
Null’altro decora questo austero monumento: non i mosaici, non gli affreschi, non le vetrate, nemmeno stoffe e arazzi o paliotti in oro e argento o inserti smaltati. Alla nuda sobrietà della materia, sapientemente lavorata e nobilitata dall’uomo, si affida l’estetica di un’architettura orgogliosamente austera.
La luce, scarsa e soffusa, in quanto proveniente solo dal tiburio e dalle finestre della facciata, lambisce le nude e poderose strutture, evidenziando gli angoli e i profili, chiaroscurando i bassorilievi, esaltando la cadenza ritmica dei piedritti, i giochi d’archi dei costoloni, e così facendo conferisce all’edificio tutto, quasi fosse essa stessa materiale da costruzione sapientemente utilizzato, una maestosa solennità.
Belle fotografie ed esauriente descrizione.
Mi ha invogliato a leggere/vedere gli altri articoli pubblicati.
Comp’limenti: un ottimo lavoro!
Bellissima dal vero e magnifica attraverso le vostre immagini
Ho cercato a lungo un testo che fornisse i canoni dello stile romanico e qui ho trovato quello che desideravo. L’illustrazione delle tecniche costruttive aggiunge altro valore così come la qualità delle fotografie. L’esposizione dei vari punti è approfondita e gradevole. Un ottimo lavoro