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Nell’antica civiltà romana, la basilica fu, assieme al tempio, uno degli edifici pubblici di maggiore importanza. Ogni città ne aveva almeno una, prospiciente al foro. Roma ne contava parecchie, tra cui la Basilica Emilia e la Basilica Ulpia. A differenza del tempio, la basilica svolgeva unicamente una funzione civile di tipo giuridico-amministrativo e non era un edificio di culto. La Basilica di Santa Sabina a Roma.
I magistrati vi esercitavano il proprio ruolo riunendosi nel tribunal, o tribunale, un’area rialzata rispetto al piano pavimentale e collocata, solitamente, in corrispondenza di una delle due absidi. In età imperiale, la basilica pagana assunse una connotazione di tipo vagamente sacrale, perché lo spazio destinato al tribunal accolse un’immagine dell’imperatore divinizzato (in genere si trattava di una grande statua), alla cui figura venivano tributati onori e venerazione.
Sempre in età imperiale, palazzi e ville vennero dotati di basiliche private, dove i proprietari, ovviamente personaggi di spicco dell’aristocrazia romana, ricevevano gli ospiti in udienze speciali. Si pensi, per esempio, a quella imperiale della Domus Flavia a Roma, la residenza degli imperatori o a quella della Villa romana del Casale a Piazza Armerina, di età tardoantica. Si trattava di aule rettangolari, non di rado precedute da un atrio, talvolta porticato, e concluse da un’abside, ricavata sul lato opposto a quello dell’ingresso. Lo spazio absidale, presso il quale si trovava un podio rialzato, diventava fulcro dell’asse visivo, che adesso era dunque longitudinale e non più trasversale, come avveniva nelle basiliche pagane annesse ai fori.
Nei primi secoli del cristianesimo, i cristiani non usavano né potevano costruire edifici di culto. Essi normalmente pregavano e celebravano l’eucarestia a piccoli gruppi, nelle abitazioni di quei confratelli che mettevano a disposizione l’ambiente più grande della propria casa (ecclesia domestica). Erano sacri sia il rito sia l’assemblea dei credenti, non il luogo di riunione. A partire dal IV secolo, dopo l’Editto di Costantino, i cristiani ebbero finalmente la possibilità di costruire dei templi.
Essi avevano bisogno di grandi ambienti in cui radunarsi: per celebrare i propri riti, per dibattere su questioni teologiche, per educare i nuovi adepti. In modo del tutto naturale, la scelta del modello tipologico da seguire cadde sulla basilica pagana. Questo edificio, infatti, rispondeva perfettamente alle esigenze pratiche della comunità cristiana e aveva acquistato, nel tempo, l’adeguato valore simbolico. Lo spazio absidale mantenne il suo ruolo di emergenza architettonica. Al posto del trono imperiale, esso ospitò l’altare dove, secondo i cristiani, è presente Cristo, sotto le specie del pane e del vino.
La tipologia della basilica cristiana iniziò a presentare caratteristiche comuni in tutti i territori dell’Impero solo dopo il V secolo. Normalmente, essa prevedeva una pianta longitudinale o “basilicale”, cioè sviluppata in lunghezza e di solito rettangolare. Tale spazio era percorso da colonnati, cioè file longitudinali di colonne o di pilastri, che lo dividevano in tre o cinque corridoi, detti navate: quella centrale, più larga e alta, era chiamata anche navata principale e le altre, più strette e basse, erano dette navate laterali, o minori o anche “navatelle”. Sui colonnati si impostavano trabeazioni o archi, a sostegno delle pareti e della copertura lignea, costituita da capriate o da travature. La navata centrale era conclusa da un’ampia abside, coperta da un catino absidale, che in pratica sarebbe una mezza cupola.
In molte chiese, le navate venivano fisicamente separate dal presbiterio, cioè dallo spazio riservato al clero dove si trovava l’altare. Ciò poteva accadere, per esempio, per mezzo di bassi parapetti, solitamente marmorei, detti “plutei” o “transenne”, che costituivano il recinto presbiteriale (o setto presbiteriale).
Nelle chiese cristiane orientali, il recinto presbiteriale sarebbe diventato, col tempo, una barriera ben più alta in forma di portico detto “pergula” o una vera e propria parete divisoria, decorata con immagini sacre e detta iconostàsi (dal greco tardo eikonòstasis, ‘posto delle immagini’).
Le pareti della navata centrale formano il cleristorio (o claristorio), ossia il corpo centrale soprelevato della basilica che sostiene la copertura. Si chiama così perché aperto da finestre che consentono alla luce di rischiarare la navata centrale. Tali finestre a volte sono piccole, altre volte assai grandi. L’etimologia del termine, che propriamente significa ‘piano luminoso’, è di origine inglese e deriva da clere (forma antica per clear, ‘chiaro’) e story (ossia storey, ‘piano’ di un edificio). L’equivalente italiano è ‘parete finestrata’.
Le finestre del cleristorio erano in genere schermate da vetri colorati oppure da lastre di alabastro. Ogni finestra si apriva in corrispondenza dell’intercolunnio (detto anche luce), ossia dello spazio libero fra due colonne, misurato in corrispondenza degli estremi più vicini dei diametri inferiori dei fusti, immediatamente sopra alle modanature della base. Tutte le pareti, e soprattutto l’abside, erano ricoperte da affreschi o mosaici.
A differenza delle basiliche pagane, quelle cristiane presentavano uno o tre o cinque ingressi su un lato corto. Quelle più importanti, tra cui l’Antica Basilica di San Pietro, erano precedute da un quadriportico, uno spazio aperto quadrato o rettangolare circondato sui quattro lati da portici (da cui il nome); un semplice portico di fronte alla facciata era detto nartece (dal greco narthex, ‘scrigno’). Più propriamente si chiama esonartece (dal greco èxo, ‘fuori’) il portico esterno alla facciata, ossia quello più comune; un portico interno è invece detto endonartece (dal greco èndon, ‘dentro’).
Le basiliche più importanti potevano presentare un corpo trasversale o transetto, destinato a diventare, nel tempo, sempre più comune, tanto da trasformare la pianta rettangolare della basilica in quella cruciforme, ossia a croce, della più tipica chiesa cristiana. Grazie all’utilizzo del transetto, infatti, sarebbero comparse la pianta a croce latina immissa, con la navata centrale che procede oltre i bracci trasversali, quella a croce commissa (a “T”) con il transetto che conclude l’edificio, e quella a croce greca con i quattro bracci uguali.
L’incrocio fra la navata principale e il transetto, nelle chiese a pianta cruciforme, è detto crociera. È bene chiarire che la tipologia della chiesa a croce rappresentò un’eccezione nei primi secoli del cristianesimo; infatti, gli edifici con transetto si diffusero, in Italia e in Europa, soltanto a partire dall’VIII secolo.
Esisteva una seconda tipologia di basilica, quella detta “circiforme” o “a deambulatorio”, che ricordava la struttura del circo. Si presentava, infatti, come un’aula allungata con i colonnati che giravano attorno all’abside, creando un corridoio continuo detto deambulatorio (dal latino tardo deambulatorium, e da deambulare, ‘camminare’).
Era circiforme l’antica Basilica Apostolorum, poi rinominata Basilica di San Sebastiano, costruita per volere dell’Imperatore Costantino nel IV sec. d.C. in onore degli Apostoli Pietro e Paolo. Questi edifici avevano prevalentemente funzione funeraria, anzi erano veri e propri cimiteri coperti: ospitavano infatti le tombe dei martiri e dei santi ma vi erano seppelliti anche personaggi di rango. Spesso accoglievano mausolei monumentali, come nel caso del Mausoleo di Santa Costanza annesso alla Basilica di Sant’Agnese.
Le più antiche basiliche cristiane sono state demolite (come nel caso della Basilica di San Pietro) o variamente modificate nel corso dei secoli; tra quelle che in parte mantengono l’antico splendore, ricordiamo la Basilica di Santa Maria Maggiore e la Basilica di Santa Sabina, entrambe costruite a Roma nella prima metà del V secolo, e quelle di Sant’Apollinare in Classe e di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, risalenti alla prima metà del VI secolo.
La Basilica di Santa Sabina venne costruita fra il 422 e il 432, sul colle Aventino e sulla casa della santa (una matrona romana poi canonizzata), per iniziativa del sacerdote Pietro di Illiria. Fortemente rimaneggiata nel corso dei secoli, deve il suo aspetto attuale al restauro condotto dall’architetto Antonio Muñoz tra il 1914 e il 1937.
La chiesa presenta una pianta rettangolare, senza transetto, divisa in tre navate da due colonnati (con 24 colonne corinzie di spoglio, scanalate) ed è conclusa da un’abside centrale. I colonnati sostengono una elegante sequenza di archi, sui quali si stende un fregio di età romana in marmi policromi.
Santa Sabina è, probabilmente, il primo edificio paleocristiano in cui l’architrave rettilineo venne sostituito dagli archetti direttamente impostati sulle colonne: una soluzione estranea al mondo antico greco-romano, ma che divenne invece consueta nell’architettura paleocristiana e fu ereditata dal primo Rinascimento. La navata principale, più alta, è illuminata da ampie finestre ricavate nel cleristorio.
Come altre basiliche paleocristiane, anche quella di Santa Sabina venne costruita facendo ampio ricorso a materiali di spoglio, tra cui le 24 colonne bianche di marmo (appartenenti, probabilmente, al Tempio di Giunone Regina che sorgeva nelle vicinanze) e altre otto colonne di età romana, quattro di marmo bianco e quattro di granito. Si definisce “materiale di spoglio” tutto quel materiale edilizio che proviene da altri edifici, abbandonati e in rovina o demoliti proprio per ricavarne parti riutilizzabili. In pratica, tali edifici antichi sono stati “spogliati”, da cui il nome. Infatti, si considerò più rapido ed economico riutilizzare elementi architettonici già finiti piuttosto che ricavarne di nuovi dai materiali grezzi (talvolta rari e costosi), la cui lavorazione richiedeva sempre l’intervento di artigiani specializzati o di artisti.
Da un antico tempio che si riteneva oramai “inutile”, non potendo più servire al culto cristiano, si potevano invece ricavare colonne, capitelli, rivestimenti marmorei, blocchi di pietra, pietre lavorate, tegole, decorazioni. La perdita dei grandiosi edifici greci e romani non è dunque legata, se non solo in parte, all’azione distruttiva del tempo o a eventi cataclismatici come terremoti o incendi, ma proprio a questa sistematica operazione di demolizione condotta, per secoli, dalla civiltà cristiana. Peraltro, poco ci si curava, all’epoca, dei risultati estetici: spesso i materiali di spoglio provenivano da più edifici, erano dunque eterogenei e venivano accostati arbitrariamente. Le colonne erano talvolta perfino di altezze differenti e dovevano essere dotate di plinti, alla base, per arrivare tutte a una medesima quota.
L’interno di Santa Sabina presentava, in origine, un ciclo di immagini con Scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, di cui non si ha più traccia, e una sontuosa decorazione in opus sectile, che assemblava figure ottenute da marmi pregiati. Oggi, questo prezioso rivestimento marmoreo è andato quasi interamente perduto. Ne resta una pallida testimonianza nei pennacchi fra le arcate della navata centrale. Sulla controfacciata si può ancora ammirare, sotto la pentafora, ossia la sequenza di 5 grandi finestre, una lunga scritta in lettere d’oro su fondo azzurro che ricorda la data della fondazione, il fondatore e il pontefice sotto il quale venne costruita la chiesa.
Ai lati dell’iscrizione si trovano le personificazioni delle due Ecclesiae, quella ex gentibus, sorta dai pagani, e quella ex circumcisione, nata dalla conversione degli Ebrei. Un tempo, sopra la pentafora si dispiegavano le 4 figure apocalittiche del Tetramorfo (leone, bue, aquila e angelo), poi divenute simboli degli Evangelisti; alle estremità della fila di finestre si ammiravano San Pietro e San Paolo.
Le altre immagini della chiesa, attualmente presenti, sono frutti di successivi restauri. L’arco trionfale dell’abside presenta un affresco novecentesco ispirato a una copia antica dei mosaici originali andati persi: quindici clipei, con Cristo, profeti e papi e, alle estremità destra e sinistra, la Gerusalemme e la Betlemme celesti, dalle quali nove colombe spiccano il volo. L’affresco del catino absidale risale al 1560 ed è opera di Taddeo Zuccari; è assai probabile che l’artista tardorinascimentale vi abbia riproposto la composizione del mosaico originario. Anche la Schola Cantorum, che si trova in prossimità del presbiterio, non è originale ma una ricostruzione del 1936, ispirata a quelle altomedievali del IX secolo.
All’esterno, la facciata della chiesa, molto sobria, è arricchita da un portico. Il campanile in laterizio, innalzato direttamente all’interno della navata sinistra, sacrificando un ingresso alla chiesa, venne costruito nel XIII secolo e poi modificato nei secoli. Il chiostro, a pianta rettangolare, è considerato tra i più belli di Roma: le sue gallerie sono divise in campate da pilastrini quadrati in mattoni.
Si accede all’interno della Basilica di Santa Sabina attraverso un portale ligneo, inquadrato da una ricca cornice marmorea. Tuttavia, l’opera certamente più importante dell’intera basilica è il portale laterale in legno di cipresso, la cosiddetta Porta lignea, risalente al V secolo e quindi contemporaneo alla costruzione della chiesa.
Gli stipiti di questo portale sono ricavati da cornici di età romana; i suoi 18 pannelli scolpiti a rilievo (ma un tempo, quelli originali erano in tutto 28) raffigurano Scene dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Il primo pannello a sinistra raffigura Cristo in croce tra i due ladroni e costituisce la più antica rappresentazione della Crocifissione giunta fino a noi. Non si tratta di una immagine realistica: Gesù non sembra propriamente inchiodato alla croce, che peraltro non compare (sullo sfondo riconosciamo delle mura cittadine). Il Messia è, inoltre, molto più grande dei due ladroni, che al suo cospetto sembrano dei bambini. Lo stile, seppure ispirato alla tradizione tardoantica, ha un tono abbastanza rustico e popolare.
Grazie. Molto interessante.Mi ha aiutato nella comprensione e ammirazione delle basiliche paleocristiane.
Davvero molto chiaro e ben documentato. Grazie
Grazie infinite! Molto chiaro e sintetico, pur nella complessità.