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Nel 1972, al largo di Riace (in provincia di Reggio Calabria), un giovane sub dilettante fu l’involontario protagonista del ritrovamento di due originali greci di età classica, di straordinaria bellezza e perfettamente conservati, subito battezzati dalla stampa come i Bronzi di Riace. Restaurate ed esposte per alcuni mesi, prima a Firenze e poi a Roma, le statue trovarono, in seguito, la loro collocazione definitiva nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Le due opere sono state a lungo al centro di una sorta di giallo archeologico: forse affondarono con una nave oppure, più facilmente, furono gettate in mare, nel tentativo di alleggerire il carico e scongiurare un naufragio. Infatti, nel luogo del ritrovamento non c’era traccia dei resti dell’imbarcazione e neppure di altri oggetti. I due Bronzi, a lungo indicati semplicemente con le lettere A e B, sono riconducibili al tardo Stile severo, sia per le proporzioni slanciate (le gambe lunghe e affusolate, le spalle ampie, la testa piuttosto piccola), sia per la resa delle potenti muscolature, sia per il trattamento delle barbe e dei capelli; gli anni di produzione sono stati fatti oscillare fra il 480 e il 450 a.C.
La data più probabile è comunque il 455 a.C. L’analisi chimica di frammenti della terra usata per la fusione ha rivelato che il Bronzo A è stato sicuramente forgiato nel territorio di Argo, il Bronzo B, probabilmente, in quello di Atene. Gli autori sono rimasti per anni ignoti, nonostante le accurate analisi stilistiche e i numerosi tentativi di attribuzione. Recenti studi hanno proposto di attribuirli, rispettivamente, ad Agelada e Alcamene, autori della decorazione scultorea del Tempio di Zeus a Olimpia. Anche i soggetti delle statue non sono stati identificati con certezza, sebbene non manchino ipotesi interessanti.
Gli storici dell’arte sono infine divisi su un altro problema fondamentale: se le sculture appartennero fin dall’origine a un solo complesso monumentale oppure se furono accostate in età romana, sfruttando una casuale somiglianza. Dato l’analogo atteggiamento, i due Guerrieri di Riace potrebbero essere le opere superstiti di un monumento costituito da molte statue, dove anche gli altri personaggi, per noi dispersi, ripetevano lo stesso gesto in un ritmo pausato. D’altro canto, i due nudi hanno la medesima statura e presentano una stretta coincidenza delle singole misure. Con tutta evidenza, per garantire l’armonia della composizione, i due autori, che lavorarono separatamente, avevano trovato un accordo preliminare sul disegno, e deciso di rispettare le medesime dimensioni.
L’importanza e la qualità di queste opere, la provenienza accertata del Bronzo A, unite alle caratteristiche individuali dei personaggi rappresentati, fanno pensare a un legame con un celebre monumento che si trovava nell’Agorà di Argo, cioè il cosiddetto Gruppo dei Sette. Quest’opera scultorea celebrava una guerra combattuta da un drappello di guerrieri di Argo contro Tebe, una generazione prima della guerra di Troia. La spedizione si concluse drammaticamente per gli eroi di Argo: dei sette comandanti (Adrasto, Polinice, Tideo, Capaneo, Partenopeo, Mecisteo, Anfiarao) solo Adrasto sopravvisse; ma i loro discendenti, dieci anni dopo riuscirono a distruggere Tebe, disperdendone la popolazione.
L’impresa fu molto celebrata e anche i grandi tragici greci ne cantarono le vicende; persino Stazio, un poeta latino, ne fece oggetto di un poema epico, la Tebaide. La storia dei “Sette contro Tebe” suggerirebbe anche l’identità dei due controversi Bronzi, nei quali si potrebbero riconoscere il violento Tideo e il sofferto Anfiarao.
I Bronzi sono due figure maschili eroiche, completamente nude, di dimensioni leggermente superiori al vero (sono alte circa 2 metri). I due uomini, eretti, presentano una posizione ancata, con la gamba destra in tensione e l’altra avanzata, ma con entrambi i piedi ben poggiati per terra. Un tempo portavano elmo, scudo e lancia, purtroppo perduti in mare.
Il Bronzo A, Tideo, caratterizzato da un atteggiamento piuttosto minaccioso, è carico di fortissime tensioni compositive, segnate dall’avanzamento della gamba sinistra e dal volgersi della testa verso destra.
Il braccio destro è abbassato ma non abbandonato, poiché la contrazione del bicipite e la tensione dei tendini mostrano che la lancia, oggi perduta come lo scudo, non era poggiata con la punta a terra, come se il guerriero fosse in stato di riposo, ma tenuta sospesa, dunque prossima ad essere scagliata. È possibile che, un tempo, il bronzo apparisse leggermente ambrato (ossia giallo-rossastro come l’ambra), a seguito della sua lucidatura, e quindi la figura presentasse, nel suo complesso, una diversa colorazione.
Il volto dell’eroe, incorniciato dai riccioli che spuntano dall’elmo, ha l’espressione di un predatore che si appresta alla caccia. La sua vivacità è accentuata dalla leggera policromia, ottenuta con l’uso di altri materiali: avorio per i bulbi oculari, lamina di rame per le labbra (come per i capezzoli), argento per le ciglia e i denti. La durezza dell’espressione e la dentatura in vista, che dà risalto all’apertura delle labbra rosse, richiamano apertamente il carattere di Tideo l’antropofago, cruento divoratore dei cadaveri dei nemici che il poeta latino Stazio descrive «rozzo, feroce, selvaggio», «smodato nell’ira» e «macchiato di sangue fraterno».
Alla primordiale violenza di Tideo si oppone la riflessiva umanità del Bronzo B, Anfiarao, che stempera la tensione in una posa più pacata, nel movimento appena accennato della testa, nella muscolatura meno prepotentemente plastica.
In questa figura, infatti, lo spostamento del busto, di lato e all’indietro, va oltre la necessità di ristabilire l’equilibrio alterato dalla posizione della gamba libera; anche il bicipite del braccio destro è appena contratto. Il guerriero, con tutta evidenza, non impugnava l’asta con l’energica decisione del suo compagno ma la teneva bilanciata, come se esitasse a sferrare l’attacco mortale. La titubanza e l’espressione allarmata di Anfiarao sono spiegate dalla sua storia. Egli era infatti dotato di capacità profetiche: sapeva quindi che sarebbe morto nell’impresa, inghiottito dalla terra con il suo carro e il suo auriga.
I Bronzi di Riace sono giustamente diventati delle statue-simbolo, l’espressione più esemplare del concetto di bellezza sviluppatosi in Grecia. La bellezza maschile, nella mentalità greca, si identificava completamente con l’armonia di un corpo muscoloso: l’avvenenza di un uomo era determinata dal possesso di un fisico atletico, capace di esprimere forza, vigore e salute. Come scrisse il poeta greco Pindaro, cantando le imprese di un atleta: «era bello alla vista, la bellezza confermò sul campo».
In altri termini, se gli atleti vincevano, se i guerrieri si distinguevano in battaglia, la loro bellezza era ancora più apprezzata. Ecco perché nell’arte greca, e nel caso particolare dei Bronzi di Riace, la nudità assunse significati così profondi. Per gli artisti, non si trattava di mostrare solo le proprie conoscenze anatomiche, la padronanza della tecnica. La perfezione del corpo era uno strumento per rappresentare l’essenza più alta dell’uomo. Nella rappresentazione classica del nudo risiedeva anche un’ispirazione essenzialmente religiosa: l’immagine di un corpo perfetto era certamente la più gradita agli dèi, e in quella essi si riconoscevano.
Così, gli atleti e i guerrieri dotati di corpi perfetti erano privilegiati, in quanto vicini alla divinità e dunque superiori agli altri. Ecco, allora, perché i due guerrieri di Alcamene e Agelada diventano l’espressione di valori che sono estetici ma anche morali: perché, in Grecia, la bellezza maschile non era ritenuta solo una qualità ma una vera e propria virtù.
Grazie davvero
I tuoi contributi sono preziosi
Ivana
Grazie di cuore. Mi fa molto piacere ricevere questo apprezzamento!
Descrizione sintetica, efficace, aggiornata… ottima analisi per gli studenti e per chi vuole conoscere al meglio la storia dell’arte, senza fronzoli ma andando dritto al sodo!
Grazie mille per l’apprezzamento!
Atre Svelata mi sta aiutando a studiare, complimenti per l’impegno a scrivere su questi reperti sia storici che artistici, veramente bravissimo!