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L’arte egizia ebbe sempre una funzione religiosa e celebrativa. Volle esprimere dei concetti, affermare verità immutabili, ricordare eventi straordinari. I pittori egizi, per realizzare le proprie opere, seguirono sempre delle regole rigide e molto rigorose, rimaste immutate per secoli. Lo si comprende facilmente dai loro dipinti. La Caccia agli uccelli sul Nilo.
Nelle immagini egizie manca qualunque accenno di chiaroscuro, le figure sono completamente piatte, non hanno né volume né massa né consistenza corporea. Uomini e donne sembrano mostrati di profilo: in realtà, essi volgono il busto verso l’osservatore (curiosamente, però, uno dei seni delle donne è rappresentato lateralmente). I bacini sono invece mostrati di tre quarti. Le gambe sono viste di lato, una di fronte all’altra. I volti, infine, si presentano esattamente di fianco ma con l’occhio frontale.
La loro posizione ci appare, francamente, assurda; ma è questo il punto: non è una posizione. Non potrebbe esserla. Nessuno sta così. Ci sono, poi, altri aspetti interessanti da evidenziare. Gli uomini sono sempre più scuri delle donne, avendo la pelle di colore rosso-bruno; le donne hanno, invece, la pelle giallognola; i bambini sono nudi. Anche la colorazione della pelle, quindi, seguiva regole che troviamo ripetute quasi sempre: scuro per gli uomini, chiaro per le donne.
Gli oggetti che dovrebbero stare ammucchiati sono sempre ordinatamente impilati uno sopra l’altro, in un equilibrio tanto precario quanto improbabile.
Tutto questo dimostra che la pittura egizia non fu naturalistica, non riprodusse la vita in modo verosimile. Essa ebbe il compito di descrivere la realtà analizzandola elemento per elemento, al fine di ottenere un risultato chiaro, non equivoco. Chi osserva un dipinto egizio deve immaginare che l’artista, prima di disegnare la scena, ha guardato in direzioni diverse, ottenendo singole visioni (parziali ma non distorte), che poi ha ricomposto tutte insieme, in una sintesi per lui efficace.
La celebre scena comunemente nota come Caccia agli uccelli sul Nilo è, in questo senso, molto esplicativa. Proviene da una tomba della necropoli di Tebe, la cosiddetta TT52, posta sulla riva occidentale del Nilo di fronte a Luxor e scoperta nel 1889. Si tratta del luogo di sepoltura di Nakht, un uomo vissuto durante il Nuovo Regno e la cui identità non è stata, ancora oggi, completamente ricostruita. La datazione del sepolcro è infatti difficile, perché le iscrizioni stese sulle pareti non ci forniscono informazioni utili. Lo stile dei dipinti ha fatto però ipotizzare che Nakht sia vissuto a metà della XVIII dinastia e che sia morto attorno al 1410 a.C. La ricchezza della tomba, piccola ma preziosa, e la sua vivace decorazione pittorica testimoniano come egli sia stato, in vita, un personaggio assai influente: uno scriba o un sacerdote, forse anche un astronomo.
Oggi questo sepolcro è interdetto al pubblico, perché l’umidità portata dai visitatori al suo interno ha in parte danneggiato le immagini dipinte. Il dipinto venne infatti eseguito con la cosiddetta tecnica della tempera a secco: su pareti asciutte prima si realizza il disegno e poi si procede con la pittura, fissando i colori per mezzo di sostanze come colla, uovo, grassi animali o cera.
All’interno della sua tomba, Nakht è mostrato nella scena della pesca e della caccia agli uccelli. Questo tipo di rappresentazione, frequente nella storia artistica egizia, aveva lo scopo primario di celebrare la famiglia del defunto e, nel contempo, di fornire, attraverso la rappresentazione del cibo, una sorta di sostentamento magico per il corpo lì sepolto. Nakht è il personaggio maschile sulla sinistra, mostrato mentre sta scagliando un oggetto, una sorta di boomerang, verso un gruppo di uccelli che al centro della composizione sta spiccando il volo.
Secondo le convenzioni della pittura egizia, Nakht ha il volto di profilo ma l’occhio frontale; anche il suo busto è mostrato di fronte, mentre le sue gambe sono di profilo. Nonostante la convenzionalità di questa posa innaturale, il tallone sollevato della gamba posteriore tende a imprimere alla figura dell’uomo un certo slancio vitale. Alle spalle di Nakht riconosciamo la moglie. Ai suoi piedi si trova, invece, la figlia accovacciata e davanti a lui il figlioletto, che gli porge un altro boomerang.
Sulla parte destra della scena, in posizione simmetrica, vediamo un secondo gruppo familiare, verosimilmente imparentato con quello di Nakht. Sullo sfondo si scorge un esile colonnato verde, composto di canne lacustri, da cui provengono gli uccelli. In basso scorrono le placide acque del fiume Nilo, sulle quali Nakht e l’altro uomo stanno navigando.
Come sempre nella pittura egizia, la scena mostra una rappresentazione dello spazio del tutto simbolica e convenzionale. Gli artisti costruirono le immagini in modo da ottenere un loro sviluppo completo sul piano e vollero presentare ogni elemento dal punto di vista più caratteristico. Cosicché, l’acqua del fiume è mostrata come una striscia azzurra in basso, che però al centro si ribalta in verticale, in modo da far vedere bene i pesci; secondo l’artista egizio, rappresentare gli stessi pesci in una visione prospettica, e quindi ai nostri occhi più normale, li avrebbe fatti apparire deformati.
Allo stesso modo, il canneto è raffigurato come una sequenza regolare di elementi sviluppati in superficie, piuttosto che in profondità, anche se questo lo fa assomigliare a una palizzata.
I rapporti proporzionali fra le diverse figure non sono mai ricercati secondo regole ottiche (ciò che è più lontano dovrebbe apparire più piccolo) ma secondo un criterio compositivo che rispecchia le gerarchie sociali e religiose e che quindi mostra più grandi le figure ritenute più importanti. Nakht è molto più alto della moglie, che a sua volta è più alta dei figli. Inoltre, tutti i personaggi sono tendenzialmente allineati, uno vicino all’altro, per essere maggiormente riconoscibili.
Una rappresentazione più rispondente alla nostra visione della realtà avrebbe comportato una loro sovrapposizione: ogni cosa sarebbe risultata visibile solo parzialmente e questo avrebbe contrastato con la funzione religiosa-funeraria dell’opera. Un dipinto di questo tipo potrebbe, ai nostri occhi, risultare elementare e ingenuo ma si tratta di una ingenuità solo apparente: gli artisti egizi non ebbero il compito di “fotografare” la realtà ma di descriverla nel modo più preciso possibile, per conservarla in eterno. Non copiarono la natura, guardandola da un solo punto di vista: al contrario, scelsero per ogni oggetto o figura il punto di vista più caratteristico, perché tutto fosse perfettamente comprensibile.
Veramente interessante , mi è stato molto utile…
Mi fa molto piacere!