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Nell’ottobre 1888, mentre si trovava ad Arles, il grande pittore olandese Vincent Van Gogh (1853-1890) realizzò la Camera da letto. Questo dipinto, che forma con il Caffè di notte una sorta di ideale dittico, è considerato uno dei suoi più grandi capolavori ed è certamente una delle sue opere più note. Si tratta della camera del pittore, al primo piano della sua casa di Arles.
Van Gogh descrisse il quadro in una lettera all’amico Gauguin e commentò: «mi è piaciuta molto l’idea di dipingere un interno con quasi niente dentro». Scrisse invece al fratello Theo: «Questa volta si tratta semplicemente della mia camera da letto; in questo caso deve farla soltanto il colore, e poiché con il suo effetto semplificante conferisce maggiore stile alle cose esso dovrà, nell’insieme, suggerire la calma del sonno».
Il pittore amava molto questo dipinto, che oggi si trova al Museo Van Gogh di Amsterdam, tanto che l’anno seguente, mentre si trovava confinato nel manicomio di Saint-Rémy, ne realizzò altre due versioni (oggi conservate, rispettivamente, a Parigi e a Chicago).
L’ambiente è rappresentato da un punto di vista ribassato, tipico di chi guarda stando seduto. A destra vi è il grande letto, vuoto ma rifatto. A sinistra si scorgono due sedie e un tavolino da toeletta posto in posizione angolare. Gli oggetti destinati all’igiene personale sono stati già usati e riordinati: la brocca è dentro il catino, privo di acqua.
Dietro al letto, un attaccapanni accoglie un cappello e altri indumenti. Alle pareti sono appesi cinque quadri: uno, sopra la testata del letto, rappresenta un paesaggio; gli altri quattro sono due disegni, appena abbozzati e non riconoscibili, e due ritratti. È l’unica volta che Van Gogh raffigura altri esempi di suoi lavori all’interno di un proprio dipinto. D’altro canto, sappiamo che l’artista appendeva in casa le tele che aveva appena ultimato e certamente anche la sua camera da letto ne conteneva alcune.
La finestra, decentrata sulla sinistra, è semichiusa e impedisce di vedere la piazza su cui la camera si affacciava. Due porte chiuse danno su altre stanze. Van Gogh sentiva di aver finalmente raggiunto, con quest’opera, uno stile più sicuro: «Mi sembra che l’abilità tecnica sia più semplice ed energica. Niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo colori uniformi in armonia». In effetti, le immagini degli oggetti sono ottenute con pennellate spesse e incisive, che segnano marcati contorni. I colori sono intensi e luminosi e la quasi totale assenza di ombre comunica un senso di luminosità intensa. La scelta dell’azzurro alle pareti non è realistica ma simbolica: l’azzurro, infatti, è il colore della meditazione e della malinconia e avrebbe dovuto suggerire, nell’intento del pittore, che quel luogo era preposto a tutelare il riposo e la tranquillità.
In verità, sebbene l’intento dell’artista sia stato quello di esprimere il senso del riposo assoluto, il quadro comunica una sensazione di vertigine claustrofobica. L’ambiente è mosso e traballante e appare trasfigurato dall’uso personalissimo e soggettivo che il pittore propone della prospettiva e dei colori; il punto di vista fortemente ribassato, le vertiginose linee prospettiche del pavimento, spezzate da alcune commettiture trasversali, che creano un effetto a imbuto, i quadri obliqui e disarmonici, che sembra stiano per cadere, i segni scuri che fanno da contorno ai mobili, l’uso di colori senza ombre creano una tensione da cui l’osservatore ricava un insopprimibile senso di angoscia.
Come già nel Caffè di notte, la sedia vuota in primo piano che guarda il letto dalla spalliera sproporzionata è la chiave per comprendere l’intento simbolico della minuziosa messa in scena, sapientemente orchestrata: l’artista si identifica nel grande letto solitario, la sedia che nessuno occupa è il calore umano che non arriva ed è metafora dell’attesa. Ancora una volta il vuoto e l’assenza pesano ben più della presenza. Quello che voleva essere un interno semplice e quieto, il rifugio in cui scappare e nascondersi per sottrarsi alle insidie del mondo (vedi, appunto, un caffè di notte) diventa a tradimento una prigione, dove l’artista urla il suo disagio.
«Per diversa strada – ha scritto magistralmente lo storico dell’arte Ernst Gombrich – [Van Gogh] era arrivato a un bivio simile a quello in cui si era trovato in quegli anni Cézanne. Entrambi fecero il passo decisivo abbandonando il proposito di imitare la natura. Le ragioni erano ovviamente diverse. Cézanne, quando dipingeva una natura morta, intendeva esplorare i rapporti di forme e colori, e accettava solo quel tanto di prospettiva esatta che poteva essergli necessario per quel suo particolare esperimento. Van Gogh voleva che la sua pittura esprimesse ciò che egli sentiva, e se la deformazione poteva aiutarlo a raggiungere lo scopo, avrebbe usato la deformazione».
Analisi accurata, chiara, densa. Il dipinto è una poesia. In una stanza, una vita caracollante tra attesa e resa.
Grazie mille!
L’articolo è accurato, ricco di dettagli e soprattutto non si limita alla semplice e superficiale descrizione dell’opera. Sono infatti riportate analisi dettagliate sul significato e il tutto è arricchito da citazioni appropriate ed esplicative alle volte dello stesso Van Gogh.
Grazie mille
Ben fatto,puntuale.
Molto interessanta, grazie
Fantastico!