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La Cappella Cornaro e l’Estasi di Santa Teresa: da Bernini a Pascal
Un’arte teatrale per meravigliare e persuadere.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Seicento – Data: Gennaio 21, 2021 4 commenti 9 minuti
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Dopo la Riforma protestante, la Chiesa di Roma, arginata l’aggressione ideologica, si era impegnata in un’intensa attività di propaganda per ribadire i fondamenti della propria dottrina, consolidare la propria influenza laddove lo scisma non aveva ancora trovato proseliti e ricondurre i fedeli al culto e alla devozione. Già nell’ambito del Concilio di Trento, un ruolo particolare era stato affidato proprio all’arte, alla quale si era richiesto di «persuadere» i fedeli, convincerli che la strada indicata dai successori di Pietro era quella giusta, l’unica via per conquistare la vita eterna. La Cappella Cornaro e l’Estasi di Santa Teresa: da Bernini a Pascal.

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L’arte e soprattutto l’arte sacra dovevano essere in grado di suscitare meraviglia perché in tal modo la scena rappresentata, il miracolo mostrato sarebbero parsi talmente veri che i fedeli non avrebbero voluto dubitarne. In questo meccanismo lo spettatore certo intuisce l’inganno ma si lascia ugualmente catturare dallo spettacolo.

Molti artisti risposero all’appello della Chiesa; tuttavia, fu Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), indiscusso e incontrastato genio barocco, a interpretare, come pochi, con profonda sensibilità le indicazioni ecclesiastiche. Lo fece, appunto, meravigliando il suo pubblico. La teatralità fu la via maestra, la principale fra tutte le strade attraverso le quali Bernini perseguì la sua opera di propaganda cattolica. L’opera berniniana è stata spesso interpretata in chiave teatrale: una lettura esatta ma non univoca né conclusiva (e d’altro canto è fuorviante cercare di costringere Bernini in una sola formula). La teatralità non è mai stata il fine ultimo dell’arte berniniana; tutt’al più, l’artista ricorse alla spettacolarità per presentare al meglio il suo prodigio artistico.

Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria. A sinistra, si intravede la Cappella Cornaro.

La Cappella Cornaro

Fu sotto il pontificato di Innocenzo X, tra il 1647 e il 1652, che Bernini ebbe occasione di realizzare uno dei suoi più alti capolavori: la Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria a Roma, una delle più compiute e manifeste espressioni della teatralità berniniana. Nel 1647, il cardinale veneziano Federico Cornaro incaricò l’artista di progettare, nel transetto sinistro di quella chiesa, una cappella funeraria per la propria famiglia.

Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52. Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria.

Teresa d’Ávila

L’artista scelse, per decorare l’altare, un tema assai caro alla tradizione cattolica, quello dell’Estasi di santa Teresa, una santa cinquecentesca cui il committente era molto devoto. Teresa d’Ávila, figura tra le più importanti e significative della Controriforma cattolica, aveva fondato l’ordine dei carmelitani scalzi ed era stata testimone e protagonista, durante la sua vita, di straordinari fenomeni soprannaturali e mistici, che lei stessa descrisse in una suggestiva autobiografia.

Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52.

Per assicurarsi che i fedeli mantenessero della scena un punto di vista opportuno, Bernini inquadrò l’opera con una grande cornice architettonica, creando una sorta di proscenio teatrale, anzi trasformando letteralmente lo spazio della cappella in un teatro. “Mettere in scena” il miracolo, l’apparizione divina o anche solo l’evento storico era il sistema più efficace, e più moderno, per coinvolgere un pubblico diventato davvero di “testimoni”. Non a caso i committenti, ossia i membri della famiglia Cornaro, furono qui scolpiti in due palchetti laterali, quasi fossero degli spettatori che assistono idealmente al miracolo.

Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52.
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Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52. Veduta angolare.
Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, particolare della famiglia Cornaro che assiste all’Estasi di santa Teresa, nel palchetto di destra.
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Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, particolare della famiglia Cornaro che assiste all’Estasi di santa Teresa, nel palchetto di sinistra.

L’Estasi di santa Teresa

Il fulcro, visivo e spirituale, dell’intero complesso è il gruppo scultoreo con l’Estasi di santa Teresa, in cui la santa appare sospesa a mezz’aria su una nuvola, totalmente rapita: gli occhi socchiusi, la bocca semiaperta, le braccia abbandonate. Un serafino sorridente le scosta appena un lembo dell’ampia tunica, che nasconde un delicato corpo femminile, ed è pronto a trafiggerle il cuore con un dardo dorato, simbolo dell’amore divino.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa, 1647-52. Marmo e bronzo dorato. Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Cappella Cornaro.

L’immagine della donna appare assai conturbante e la sua espressione potrebbe risultare ambigua. Una certa parte della critica si è spinta a parlare, per questo capolavoro berniniano, di “erotismo sacro”. In realtà, Bernini si rifece fedelmente alle parole della stessa Teresa, la quale scrisse: «il dolore era così intenso che io gridavo forte; ma contemporaneamente sentivo una tale dolcezza che mi auguravo che il dolore durasse in eterno. Era un dolore fisico ma non corporeo, benché toccasse in una certa misura anche il corpo. Era la dolcissima carezza dell’anima ad opera di Dio».

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa, 1647-52.

Certamente, da grande interprete, Bernini seppe giocare sulla sottile differenza che può passare fra estasi e voluttà. La prima è propria dell’anima, la seconda dei sensi. Ma se l’estasi è di natura contemplativa, in certi casi essa può prendere, travolgere, coinvolgere anche i sensi, diventare vero amore fisico per Dio.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa, 1647-52. Particolare del volto di Santa Teresa.

Il coinvolgimento dello spettatore

Leggendo l’opera con quest’ottica si vede come nulla sia lasciato al caso, si verifica in quale modo magistrale Bernini riesca a coinvolgere lo spettatore, creando una fitta rete di rapporti per attirarlo verso la santa e dunque verso Dio. Persino le pieghe delle vesti sono assolutamente funzionali allo scopo, l’artista arriva ad utilizzarne il panneggio come amplificatore dei sentimenti, come una proiezione all’esterno dei moti avviluppanti dell’animo: il saio di Teresa sembra infatti materia palpitante che si contorce e che brucia, è l’anima della santa divorata dall’estasi amorosa. La corta tunica dell’angelo, invece, è un guizzo di fiamma veloce, è il fuoco dell’amore divino.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa, 1647-52. Particolare della veste di Santa Teresa.

La luce alla bernina

Una luce proveniente dall’alto, attraverso una finestra nascosta e schermata da vetri gialli, illumina il gruppo scultoreo; è una luce naturale radente, calda, morbida, dorata, che valorizza al massimo la qualità dei materiali, rendendo ancora più lucido il marmo e conferendogli maggiori effetti di sericità. La luce naturale si rifrange poi sui raggi in bronzo, che rievocano la luce divina che investe la santa, creando suggestivi effetti simbolici: sembra quasi che la luce naturale si sia solidificata, cambiando la propria natura e diventando luce divina.

Il fedele sa, attraverso la lettura dei Vangeli e delle vite dei santi, che Dio talvolta si rivela agli uomini: un’opera così concepita può trasmettergli una forte emozione, renderlo testimone di un evento soprannaturale e in tal modo convincerlo, persuaderlo che eventi di questo genere sono possibili e non sono soltanto un’invenzione letteraria. Questa particolare soluzione berniniana venne chiamata “luce alla bernina”.

Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52. Effetti della luce “alla bernina”.

Il pensiero di Pascal

L’immaginazione berniniana e dunque l’immaginazione barocca esprimono, sul piano teologico, l’ideologia della salvezza. D’altro canto, della necessità di persuadere i fedeli alle giuste cause del cristianesimo fu convinto anche il filosofo e teologo francese Blaise Pascal (1623-1662). Come si può ricavare da molti dei suoi Pensieri (pubblicati postumi nel 1670), Pascal riteneva non opportuno difendere la religione cristiana seguendo un metodo razionale e logicamente conseguente. Chi ha perso la fede non può essere riconquistato con le tradizionali argomentazioni intorno all’esistenza di Dio e all’immortalità dell’anima.

Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52. Effetti della luce “alla bernina”.

Secondo Pascal, il discorso teologico deve prima persuadere che dimostrare, e ciò può accadere solo se questo riesce ad attrarre chi ascolta, a suscitare in lui un interesse. Il teologo deve saper toccare mente e cuore dei suoi interlocutori, con parole adatte al pubblico cui si sta rivolgendo. Bisogna «far desiderare che la religione sia vera, e poi dimostrare che è vera».

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Pascal sosteneva che la volontà, e non l’intelletto, «è uno dei principali organi della credenza» (Pensieri, 228). La volontà crede che qualcosa sia vera o falsa in base al gradimento che prova per essa; l’intelletto giudicherà secondo quanto la volontà gli ha mostrato. I ragionamenti intellettuali accolgono o al contrario respingono ciò che è piaciuto o dispiaciuto, condizionati dall’amore o dall’avversione suscitati dalla volontà.

Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52. Particolare della volta con lo Spirito Santo e il trionfo angelico.

Una chiave di lettura

«Io credo non che la cosa spiaccia per le ragioni che si trovano in un secondo tempo, bensì che queste ragioni vengano trovate solo perché la cosa spiace» (Pensieri, 230). Ecco, quindi, una chiave di lettura importantissima per comprendere l’arte e l’architettura del Barocco, che sono affascinanti, coinvolgenti, rassicuranti, perfino ammalianti, e come tali persuasive. Pascal propose di “scommettere” sull’esistenza di Dio (se scommettiamo su Dio e Dio esiste vinciamo tutto, altrimenti non perdiamo nulla): l’arte barocca riuscì a rendere quella scommessa interessante.


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  1. Domani andrò a visitare l’opera e farò tesoro di quanto letto. Certamente tra i migliori commenti, il più completo ed esaustivo. Complimenti!

  2. Io la prima volta che vidi l’opera a tutta pagina su un libro di storia dell’arte, pensai: se si potesse fotografare il visodi una donna all’apice di un orgasmo, sicuramente avrebbe quell’espressione

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