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Benozzo di Lese di Sandro noto come Benozzo Gozzoli (1420-1497), nato a Scandicci, si trasferì con la famiglia a Firenze quando era ancora bambino, nel 1427. Secondo Vasari, divenne allievo di Beato Angelico del quale (e di questo abbiamo la certezza) fu poi collaboratore, fra il 1438 e il 1444, nella decorazione del Convento e della Chiesa di San Marco. La Cappella dei Magi di Benozzo Gozzoli.
Sono stati attribuiti a Benozzo, sia pure su disegno di Angelico, ben tre affreschi: la Preghiera nell’Orto nella cella 34, l’Uomo dei Dolori nella cella 39, la Crocifissione con la Vergine e i Santi Cosma, Giovanni Evangelista e Pietro Martire nella cella 38. Fra il 1444 e il 1447, Benozzo entrò a far parte della bottega di Ghiberti, impegnata nella realizzazione della Porta del Paradiso.
Nel 1447, nuovamente con Angelico, si recò a Roma: prima, su invito di papa Eugenio IV, per la decorazione di una cappella del Palazzo Apostolico e in seguito, sotto Niccolò V, per lavorare alla Cappella Niccolina (1448). La collaborazione con Beato Angelico terminò nel 1449, con la Cappella di San Brizio del Duomo di Orvieto.
Dopo un periodo trascorso in Umbria e in Lazio, nel 1459 Benozzo tornò a Firenze, dove mise su famiglia (ebbe nove figli, due dei quali divennero pittori) e, soprattutto, dove ricevette da Cosimo il Vecchio dei Medici e dal figlio di lui, Piero, la più importante commissione della sua carriera: la decorazione della cappella privata di famiglia, nel piano nobile di Palazzo Medici, da quel momento nota come Cappella dei Magi.
Si trattava di un piccolo ambiente dedicato alla Santissima Trinità, progettato da Michelozzo, autore di Palazzo Medici, tra il 1449 e il 1450 e concluso entro la primavera del 1459. La cappella, secondo un disegno di derivazione brunelleschiana, presenta un ambiente principale a pianta quadrata che immette ad uno spazio più piccolo di eguale forma (detto scarsella) dotato di altare e a due minuscole sagrestie ai lati. Il modello è quello della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo del Brunelleschi. Dopo la ristrutturazione di Palazzo Medici ad opera dei Riccardi, questa cappella è l’unico ambiente rimasto quasi identico a come era stato concepito in origine.
Il soggetto principale del ciclo pittorico, concordato direttamente con Cosimo il Vecchio, è il Corteo dei Magi, o Cavalcata dei Magi, che occupa le tre pareti principali della cappella. Questo soggetto offriva il pretesto per celebrare un evento che aveva dato lustro alla famiglia Medici, ossia il Concilio ecumenico (1438-39) che da Ferrara si era trasferito a Firenze con l’intento (poi fallito) di riunificare la Chiesa latina con quella bizantina e soprattutto per impedire la conquista di Costantinopoli da parte del Sultano Maometto II, che fece invece cadere la città nel 1453.
Inoltre, evocava la consuetudine che i Medici avevano di sfilare per le strade di Firenze, il giorno dell’Epifania, vestiti da Re Magi. Era un modo per celebrare il lustro, la ricchezza, la potenza e il potere di quella famiglia, che garantiva il buon governo della Repubblica fiorentina.
I personaggi del lungo corteo procedono sullo sfondo di un paesaggio fiabesco, ricco di castelli e animato da scene di caccia, e hanno le sembianze di personaggi contemporanei. Ogni Re Magio occupa una parete ed è rappresentato secondo la tradizione: Gasparre, il più giovane, è in abito bianco, Baldassarre, l’uomo più maturo dalla pelle scura, è vestito di verde, mentre Melchiorre, il più anziano in testa al corteo, è in rosso. Il paesaggio, sostanzialmente ancora tardogotico, è fiabesco e fortemente dettagliato, con castelli, piante, animali e scene di caccia. Si riconoscono vari componenti della famiglia Medici e della corte medicea, oltre che dignitari italiani di rilievo, loro sostenitori politici e finanziari.
Il viaggio dei Magi parte dalla parete destra, rispetto all’altare, e si svolge in senso orario e in modo continuativo sulle altre due pareti. Nella prima parete, a destra dell’altare, Gasparre è tradizionalmente identificato con Lorenzo il Magnifico (benché sia davvero poco somigliante e assai idealizzato); dietro di lui seguono Piero il Gottoso e Cosimo il Vecchio (padre e nonno di Lorenzo), quest’ultimo a cavallo di una mula.
Assieme a loro sono due dignitari italiani, Sigismondo Malatesta e Galeazzo Maria Sforza, signori rispettivamente di Rimini e di Milano, che furono in quegli anni ospitati dai Medici. Si riconoscono anche il filosofo Marsilio Ficino, l’umanista Cristoforo Landino, il poeta Luigi Pulci e lo stesso Benozzo, dal cappello rosso con firma (Opus Benotii) che guarda verso lo spettatore. In terza fila sfilano alcuni noti dignitari bizantini dalla lunga barba. Il personaggio raffigurato con un berretto rosso e un fregio decorato in oro è Enea Silvio Piccolomini, ossia papa Pio II.
Non stupisce il rilievo riservato al giovanissimo Lorenzo, cui venne concesso di impersonare un Re Magio mettendo in ombra tutti gli altri componenti della famiglia, inclusi il padre e il nonno. Ma Cosimo, oramai anziano e prossimo alla fine, era ben consapevole che non sarebbe stato il figlio Piero il Gottoso, debole di carattere e tormentato dalla gotta, a mantenere alto il buon nome della famiglia bensì proprio il nipote Lorenzo, futuro Magnifico, che già da ragazzino brillava per intelligenza e temperamento.
Nella parete successiva, quella di fondo e frontale rispetto all’altare, Baldassarre, il personaggio barbuto su bianco destriero, ha il volto dell’Imperatore di Bisanzio, Giovanni VIII Paleologo; le tre ragazze a cavallo accanto sono state per lungo tempo identificate con le figlie femmine di Piero, nonché sorelle di Lorenzo e Giuliano dei Medici: da sinistra, Nannina, Bianca e Maria. Oggi, tuttavia, sono molti a sollevare dei dubbi circa la loro identità.
Infine, nella parete a sinistra rispetto alla scarsella, è raffigurato Melchiorre in sella a una mula bianca. Egli ha le sembianze del Patriarca di Costantinopoli, Giuseppe. È lui a guidare il corteo e a precedere i suoi due illustri compagni, essendo prossimo a raggiungere il Bambino, presente nella pala d’altare. È preceduto da Giuliano dei Medici, fratello minore di Lorenzo, che porta un leopardo con sé sul cavallo. Sono presenti anche alcuni dignitari bizantini. In primo piano, si notano animali esotici, linci e falconi.
Sulla parete dell’altare, sopra le porte delle sagrestie, si trovano affrescati I pastori in attesa dell’annuncio. La scarsella è invece decorata, al suo interno, con Angeli adoranti e, un tempo, con i simboli dei quattro Evangelisti. Successive manomissioni li hanno ridotti a due, l’aquila di san Giovanni e l’angelo di san Matteo. La pala d’altare era un’Adorazione del Bambino di Filippo Lippi, oggi conservata a Berlino e qui sostituita da una copia.
La cappella rivela altri dettagli preziosissimi, dal soffitto intagliato e dorato alle tarsie lignee lungo le pareti e sulle porte; il pavimento è magnificamente decorato con marmi preziosi: il solo grande disco di porfido antico, fatto venire appositamente da Costantinopoli, costò ai Medici quanto l’intero compenso dato all’artista per l’esecuzione dell’intero ciclo di affreschi.
Benozzo dimostrò, con quest’opera, di essere in possesso di una grande perizia tecnica. Le figure ad affresco sono ritoccate a secco, per ottenere i dettagli più minuti dei gioielli, dei tessuti, delle bardature dei cavalli, dei frutti, dei fiori, delle piume degli uccelli.
L’oro, applicato in foglie, fa brillare le figure alla luce delle candele. Grande uso venne fatto del preziosissimo e costosissimo blu lapislazzulo, ancora oggi perfettamente conservato perché utilizzato, a secco, con ogni attenzione.
Lo stile di Benozzo, pur dipendendo in parte da quello del suo maestro Beato Angelico, con il quale condivise una costante ricerca di grazia ed eleganza, rivela uno spiccato gusto per la narrazione e la rievocazione raffinata e fiabesca, un’attenzione compiaciuta per il particolare, l’amore per i colori fulgidi e i materiali preziosi. Tutte componenti, queste, che rendono la sua pittura estranea al clima di sostanziale sobrietà che invece caratterizzava l’arte del secondo Quattrocento fiorentino, configurandola come una tardiva espressione della cultura tardogotica.
e’ sempre un’ attivita’ molto piacevole ed istruttiva ascoltarla, professore!
Grazie mille! Mi fa molto piacere
Molto interessante, soprattutto per i collegamenti sia artistici che storico-culturali.
Grazie mille per l’apprezzamento!