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Caravaggio e le apparizioni di Gesù: l’Incredulità di Tommaso e la Cena di Emmaus
Verso la conclusione del Vangelo.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Seicento – Data: Aprile 13, 2020 2 commenti 10 minuti
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L’episodio dell’incredulità di san Tommaso, apostolo di Gesù, è raccontata dal Vangelo di Giovanni (Gv 20, 19-25). Cristo, dopo la resurrezione, appare agli apostoli che si erano nascosti per timore di essere arrestati. Tommaso non era fra loro. Caravaggio: l’Incredulità di Tommaso e la Cena di Emmaus

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Quando gli amici glielo raccontano, lui non crede alle loro parole: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo, Gesù appare nuovamente e questa volta Tommaso era nel gruppo. Così, si rivolse all’apostolo dubbioso con queste parole: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».

L’Incredulità di Caravaggio

L’episodio evangelico venne magistralmente illustrato da Caravaggio (1571-1610) attorno al 1600, in una tela oggi conservata in Germania. L’opera gli venne forse commissionata dal banchiere Vincenzo Giustiniani, collezionista e suo grandissimo estimatore, giacché il dipinto è citato nell’inventario della sua pinacoteca privata già nel 1638. Oppure venne realizzata per altri, ad esempio per Ciriaco Mattei, e solo in seguito acquistata dal Giustiniani.

Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, 1600-01. Olio su tela, 107 x 146 cm. Potsdam, Bildergalerie.

Caravaggio affronta il soggetto approcciandosi con una inusitata modernità. Il taglio dell’immagine è fotografico, anzi, per certi versi “cinematografico”, con un’inquadratura di tre quarti dove si raccolgono quattro figure contro uno sfondo scuro. Cristo, ancora avvolto nel sudario, agguanta una mano di Tommaso e si infila un dito di lui direttamente dentro la ferita del costato, tanto da piegare un lembo di carne. Mai la frase «stendi la tua mano, e mettila nel mio costato» era stata interpretata in senso così letterale, con un tale, evidente e brutale realismo.

Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, 1600-01. Particolare.

Una luce intensa illumina il profilo ed il costato di Cristo e noi siamo portati a seguire lo sguardo timoroso e incredulo di Tommaso, sino a quel dito che ci fa verificare, assieme a lui, il Mistero di quella morte vinta dal Figlio di Dio. Le teste del Messia e dell’apostolo si avvicinano fino quasi a toccarsi, e formano con quelle degli altri due apostoli testimoni una croce ideale.

Anche questo senso di intima vicinanza tra Dio e gli uomini, di confidenza e di consuetudine che la superiore perfezione della divinità concede alla fragile e sciocca inadeguatezza dello spirito umano, viene colto e riportato da Caravaggio con sensibilità acutissima. Il “vedere” è qui coniugato con il “toccare”, l’esperienza visiva dello spettatore diventa tattile: Cristo non è astratta entità ma viva presenza, che si può incontrare nella vita quotidiana, inaspettatamente. Caravaggio: l’Incredulità di Tommaso e la Cena di Emmaus

Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, 1600-01. Particolare.

Milo Manara (1945), uno dei più grandi fumettisti italiani, ha scritto che «se ci fosse oggi Caravaggio, secondo me, farebbe del cinema perché la sua indole narrativa era eccezionale». In effetti, «Caravaggio utilizza la luce per far emergere i soggetti e i dettagli che lui “chiama” nella rappresentazione della realtà. Il fascio di luce è il vero protagonista del suo naturalismo, è l’occhio di Caravaggio sulla realtà, come l’obiettivo della macchina fotografica o della camera è l’occhio del regista che racconta la realtà scrivendo con la luce sulla pellicola fotografica (foto-grafia letteralmente vuol dire ‘scrivere con la luce’).

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Così come per un grande fotografo, anche per Caravaggio la luce offre una rappresentazione “condensata” della realtà, in grado di suggerire anche ciò che non vediamo. È un’istantanea che coglie l’unica immagine della realtà possibile, in grado di riassumere, dal punto di vista dell’artista, tutti i significati che essa porta con sé. È in questo effetto di ‘condensazione’ che va cercato il motivo dell’incredibile modernità del linguaggio visivo di Caravaggio» (V.Polito).

L’incredulità ebbe un successo straordinario e questo giustifica il gran numero di copie prodotte, alcune delle quali potrebbero essere attribuite allo stesso Caravaggio, che aveva l’abitudine di fornire ai collezionisti delle repliche dei propri lavori. Una versione è conservata agli Uffizi di Firenze, una in Spagna, a Madrid, e un’altra a Thirsk, nello York, in Inghilterra.

La Cena di Emmaus di Londra

Racconta l’Evangelista Luca (Lc 24, 13-53) che due discepoli di Gesù, dopo la Resurrezione, erano in cammino verso Emmaus, quando Cristo si unì a loro senza farsi riconoscere. E accompagnandoli, «cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Arrivati a destinazione, a cena, «Cristo prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.  Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista». Caravaggio: l’Incredulità di Tommaso e la Cena di Emmaus

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L’episodio culminante della Cena di Emmaus, quello della benedizione che diventa Rivelazione, venne riproposto da Caravaggio in due magnifici dipinti, uno conservato alla National Gallery di Londra e l’altro alla Pinacoteca di Brera a Milano.

Caravaggio, Cena di Emmaus, 1601-02. Olio su tela, 141 x 196 cm. Londra, National Gallery.

Nella versione londinese, un Cristo insolitamente imberbe e leggermente in carne, secondo l’antica iconografia paleocristiana, si trova tra i due discepoli e benedice il cibo. È proprio quel gesto che consente loro di riconoscerlo, come intuiamo dal loro atteggiamento stupito: l’uomo sulla sinistra afferra i braccioli della sedia e sta per balzare in piedi; l’altro, sulla destra, spalanca le braccia stupefatto, alludendo con tale postura all’atto della crocifissione.

Caravaggio, Cena di Emmaus di Londra, 1601-02. Particolare.

L’aspetto giovanile di Gesù, che richiama quello del Buon Pastore, ha in questo caso una chiara valenza simbolica, giacché rimanda al tema della rinascita e della vita eterna, collegato a quello della Resurrezione. Peraltro, non possiamo escludere che Caravaggio, riesumando una iconografia oramai desueta, abbia voluto rendere Gesù meno riconoscibile per noi, così come avvenne anche agli occhi dei suoi discepoli.

Caravaggio, Cena di Emmaus di Londra, 1601-02. Particolare.

Un quarto personaggio, chiaramente l’oste, guarda stupito senza comprendere cosa accade. Nei dipinti di Caravaggio sono spesso presenti personaggi di questo tipo, testimoni ottusi, che guardano senza vedere: giacché Cristo si manifesta a tutti, sta a noi saperlo e volerlo riconoscere. D’altro canto, nel quadro, intorno alla tavola, un posto è stato lasciato libero: è il nostro. Noi siamo seduti idealmente lì, con loro: saremmo stati, siamo in grado di riconoscere il Risorto? È questa la domanda, sospesa, che ci pone l’artista. Caravaggio: l’Incredulità di Tommaso e la Cena di Emmaus

La composizione del dipinto è meravigliosa: il gomito del personaggio a sinistra, le braccia spalancate di quello a destra, lo stesso braccio disteso di Gesù misurano lo spazio in modo esemplare. I colori dominanti, rosso, bianco e verde, rimandano alle virtù teologali (fede, speranza e carità) di cui sono simboli. La tavola imbandita presenta un inserto di natura morta di prodigiosa perfezione e verosimiglianza, con la bottiglia e il bicchiere di vino bianco «attraversati dalla luce, e riverberati nella parte inferiore dalla polla luminosa con cui quella luce interrompe l’ombra proiettata sulla tovaglia dai due recipienti» (F.Bologna).

Caravaggio, Cena di Emmaus di Londra, 1601-02. Particolare.

La canestra di frutta in primo piano, emule dell’omonimo capolavoro caravaggesco dell’Ambrosiana, sporge come quella dal bordo del tavolo, creando un effetto d’ombra di forte impatto visivo e dall’evidente effetto tridimensionale. Le mele bacate alludono alla precarietà dell’esistenza, al tema del memento mori (“ricordati che devi morire”) e d’altro canto da sempre la mela è simbolo del peccato originale. Morte e peccato che Cristo ha sconfitto con il suo sacrificio e con la sua resurrezione. L’uva, come il pane, è simbolo eucaristico; la melagrana simboleggia la morte e la resurrezione. Caravaggio: l’Incredulità di Tommaso e la Cena di Emmaus

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Anche il pollo, con quelle sue zampe tese e annerite, potrebbe alludere al tema della morte. Non sfugge che l’ombra proiettata dalla canestra sulla tovaglia bianca, assume la sagoma di un pesce, antichissimo simbolo di Cristo (infatti, in greco ikthus significa pesce ed è l’acrostico paleocristiano della frase Iesus Kristos theon Ulios Soter, ossia Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore).

Caravaggio, Cena di Emmaus di Londra, 1601-02. Particolare.

La conchiglia appuntata al petto del discepolo di destra indica con chiarezza che questi era un pellegrino, e per tale motivo viene da molti indentificato con san Giacomo, fratello più anziano di Giovanni, direttamente collegato al pellegrinaggio di Santiago de Compostela, in Spagna, istituito successivamente alla morte di Cristo. L’altro sarebbe invece Cleofa, ma qualcuno vuole riconoscervi san Luca stesso.

La Cena di Emmaus di Milano

La versione milanese della Cena di Emmaus è posteriore a quella londinese, ed è databile attorno al 1606. Fu quasi certamente realizzata da Caravaggio quando era nascosto nei feudi dei suoi protettori Colonna, subito dopo essere scappato da Roma per l’assassinio di Ranuccio Tomassoni e prima di trovare ospitalità a Napoli. Secondo quanto ci riferisce il Bellori, suo biografo, fu commissionata dal marchese Patrizi.

Caravaggio, Cena di Emmaus, 1606. Olio su tela, 141 x 175 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.

Rispetto a quella del precedente londinese, la composizione di questa cena è molto più semplice e meno concitata. Il pane è già stato spezzato e tra un istante Cristo, qui tornato adulto e barbuto, sparirà. I due discepoli si stupiscono, ma con gesti più contenuti; l’oste guarda incuriosito quel cliente così bizzarro ai suoi occhi mentre, accanto a lui, una vecchia cameriera si avvicina per porgere una pietanza.

La mensa è povera, manca quella certa opulenza della cena di Londra: notiamo, oltre al pane, la brocca del vino, due piatti, un bicchiere. L’ambiente e buio, come di consueto in questa fase della pittura caravaggesca, e la gamma cromatica del dipinto tende al monocromo, con tinte giocate tra gli ocra e i marroni. I rossi sono scomparsi, i verdi divenuti terrosi. Anche Cristo è per metà in ombra.

Caravaggio, Cena di Emmaus di Milano, 1606. Particolare.

Nel 1601, quando dipinse la versione di Londra, Caravaggio era all’apice della sua carriera, voleva dimostrare la sua tecnica, la sua competenza teologica: ora era un fuggiasco su cui pendevano una taglia e una condanna a morte; il suo animo era fosco, e anche nell’espressione stanca di Cristo, in questo dipinto, cogliamo un’intensa malinconia. È indubbio che questa versione è gravata da un senso di precarietà e di pessimismo dal chiaro sapore autobiografico.

Bildergalerie Caravaggio (Michelangelo Merisi) National Gallery Olio Pinacoteca di Brera


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