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Caravaggio e le tele per la Cappella Contarelli

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Nel 1599, il cardinale Francesco Maria Del Monte procurò a Caravaggio (1571-1610), che a quell’epoca era un suo protetto, il primo impegno ufficiale: la decorazione della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Il francese Mathieu Cointrel, italianizzato in Matteo Contarelli, aveva acquistato nel 1565 questa piccola cappella e aveva progettato di decorarla con Storie di san Matteo, l’apostolo di cui portava il nome. Ma Contarelli morì nel 1585, quando i lavori non erano ancora iniziati.

La cappella passò in eredità ai Crescenzi che inizialmente affidarono la decorazione al Cavalier d’Arpino. Poi, consigliati da Del Monte, loro amico, si rivolsero a Caravaggio e gli commissionarono due grandi tele, con la Vocazione di San Matteo e il Martirio di San Matteo.

Cappella Contarelli, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma. Veduta grandangolare.

La Vocazione di san Matteo

La Vocazione di san Matteo ricorda il momento in cui Gesù convinse Matteo, un ebreo che faceva l’esattore delle tasse per conto dei Romani, a lasciare tutto e seguirlo per diventare suo apostolo. Caravaggio immagina l’episodio all’interno di un ambiente seicentesco, probabilmente una taverna, dove cinque uomini vestiti secondo la moda dell’epoca sono seduti attorno a un tavolo e contano del denaro.

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Olio su tela, 3,22 x 3,40 m. Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli.

A destra, due estranei abbigliati all’antica sono facilmente identificabili con Gesù e Pietro. Entrambi indicano l’uomo seduto al centro, chiaramente Matteo, che stupito porta una mano al petto come a voler rispondere: “Dici a me?”.

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Particolare con Cristo e Pietro.

Il gesto di Cristo

È giusto un attimo cruciale, quello che Caravaggio riesce a cogliere: l’attimo dell’esitazione, del dubbio, in cui l’uomo deve decidere se rispondere sì o no. Il gesto di Cristo è una citazione della Creazione di Adamo di Michelangelo nella Sistina, ma la mano di Gesù è quella del primo uomo, sia pure speculare, e non di Dio Padre: d’altro canto, Cristo è il “nuovo Adamo”, venuto a riscattare l’umanità che di quella prima creatura è discendenza.

Michelangelo, Creazione di Adamo, dalla volta della Cappella Sistina, 1511. Affresco. Roma, Palazzi Vaticani.

Pietro riproduce il gesto di Gesù, ma più debolmente, con atteggiamento più incerto. L’apostolo non è citato dai Vangeli, in riferimento a questo episodio. Eppure, l’artista volle inserirlo nella scena, per indicare che la Chiesa, di cui Pietro è il massimo rappresentante, ha un ruolo fondamentale nell’azione salvifica di conversione.

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Particolare con il volto di Cristo.

Un fascio di luce squarcia il buio della stanza, dirigendosi al volto di Matteo e diventando il vero motore dell’episodio evangelico. Anche volendo immaginare che alle spalle di Gesù si trovi una finestra aperta, senza dubbio quella luce è di origine divina, è il simbolo della Grazia che redime gli uomini.

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Particolare con san Matteo.

Un evento biblico nel quotidiano

L’opera apparve subito rivoluzionaria: Caravaggio aveva trasferito l’episodio sacro in un quotidiano che i suoi contemporanei potevano perfettamente riconoscere, grazie agli abiti, ai cappelli piumati, agli oggetti (le monete, la penna, il calamaio, il libro aperto), allo stesso locale. Attualizzandolo, egli rese universalmente valido l’evento biblico, spingendo il fedele a riflettere sul fatto che Dio, in qualunque momento o luogo, può chiamare a sé un uomo qualsiasi, anche un peccatore.

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Particolare con i due ragazzi.

Due personaggi, il giovane gagliardo dalle maniche a strisce visto di spalle e il signorino dalla giubba gialla e rossa, si voltano verso il Redentore: forse anche loro sono pronti ad accogliere l’offerta di salvezza. Gli altri, all’estrema sinistra, restano invece sordi e indifferenti alla voce di Gesù.

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Particolare con il ragazzo giovane.
Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600. Particolare con i due uomini.

Il Martirio di San Matteo

La scena del Martirio di San Matteo è più complessa della Vocazione: ha infatti un carattere brutale che la rende più simile a un assassinio che a un martirio. L’esecuzione del santo è presentata quasi come un delitto di strada ed è ambientata all’interno di una struttura architettonica che ricorda quella di una chiesa, come attesta la presenza di un altare con la croce.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Olio su tela, 3,23 x 3,43 m. Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli.

Caravaggio, dunque, decise di attenersi alla Leggenda Aurea secondo la quale san Matteo sarebbe stato assassinato dopo una celebrazione eucaristica. Tutti i personaggi sembrano disposti sopra il palcoscenico di un teatro, un espediente che Caravaggio amava adottare per aumentare il pàthos della raffigurazione e coinvolgere maggiormente gli spettatori.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Particolare con il sicario.

Al centro della scena il vecchio santo, sorpreso mentre battezzava alcuni uomini sul bordo di una grande vasca, è già stato colpito e ferito dal suo carnefice, un robusto giovane mezzo nudo che sicuramente si era introdotto nel gruppo fingendosi cristiano.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Particolare con san Matteo.

San Matteo

Matteo, caduto per terra, alza una mano in cerca di difesa: la stessa mano nella quale un elegantissimo angelo adolescente si precipita a porre la palma del martirio. Lo sguardo della vittima e quello del suo assassino, che gli sta sferrando il colpo mortale, s’incontrano in un istantaneo, muto colloquio.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Particolare con l’angelo.

Come già nella Vocazione, un fascio di luce colpisce violentemente uno dei protagonisti, in questo caso l’aguzzino, che per certi versi è presentato dall’artista come il vero protagonista dell’opera: è infatti soprattutto sui peccatori che si posa lo sguardo misericordioso di Dio.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Particolare con il ragazzino in fuga.

Tutto intorno, i testimoni dell’omicidio si ritraggono spaventati, i loro movimenti denunciano apertamente il terrore e l’orrore, un ragazzino fugge in preda al panico. Sono i “moti dell’anima”, cui tanta importanza aveva dato Leonardo. E in effetti, c’è qualcosa, nella concitazione dei gesti e nella multiforme varietà delle espressioni, che rimanda alla Battaglia di Anghiari.

Leonardo da Vinci, Studio di testa per la Battaglia d’Anghiari, 1504-5. Budapest, Museo di Belle Arti.

Riconosciamo nel gruppo anche Caravaggio, ritrattosi sul fondo a sinistra; lo sguardo sconfortato dell’artista è la più efficace testimonianza del suo profondo pessimismo esistenziale.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Particolare con l’autoritratto di Caravaggio.

Lo stile di Caravaggio

I dipinti della Cappella Contarelli evidenziano i caratteri del particolare linguaggio pittorico elaborato da Caravaggio: un linguaggio che lo rese celebre allora e lo rende ancora oggi immediatamente riconoscibile. L’artista, abbandonando una secolare tradizione di matrice classicistica, amò immergere le sue figure in una sorta di cupa penombra, capace di creare atmosfere inquiete. Questo particolare effetto era ottenuto grazie a un chiaroscuro molto intenso ma soprattutto con l’uso accorto della luce. Già negli ultimi anni del Cinquecento, infatti, Caravaggio concepì per i suoi soggetti una suggestiva illuminazione di tipo teatrale, immaginando una fonte di luce, esterna all’inquadratura, che squarcia il buio illuminando i soggetti in modo piuttosto violento.

Caravaggio, Martirio di San Matteo, 1599-1600. Particolare.

Le sue figure paiono dunque uscire improvvisamente dal buio della scena, mentre lo sfondo resta praticamente invisibile. È noto che per dipingere i suoi quadri Caravaggio usasse dei modelli che illuminava per mezzo di lanterne ma solo in parte, a “luce radente”. L’artista attribuì a questa luce, presentata come naturale, un valore teologico-mistico.

Le due versioni del San Matteo e l’angelo

Le vicende della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi hanno da sempre costituito un nodo assai complesso nella ricostruzione dell’attività del Caravaggio. Sappiamo che, nel 1602, stipulando un nuovo contratto, Caravaggio si impegnò a dipingere per la cappella un terzo quadro, destinato stavolta all’altare. Il soggetto concordato era quello di San Matteo e l’angelo, in cui l’evangelista doveva mostrarsi intento a scrivere il proprio Vangelo. Esistevano, un tempo, due versioni di questo dipinto, entrambe di mano del Caravaggio. La prima, quella più antica, un tempo conservata a Berlino, è stata purtroppo distrutta durante la Seconda guerra mondiale: ne resta solo una foto in bianco e nero, dalla quale sono state ricavate alcune ricostruzioni.

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1599 o 1602. Già a Berlino, Kaiser Friedrich Museum, distrutto.
Antero Kahila, San Matteo e l’angelo, da Caravaggio, 2008. Olio su tela. Collezione privata.

Secondo una tradizione storiografica basata sulle fonti, Caravaggio rispettò i tempi ma i religiosi, vista l’opera ultimata, la rifiutarono. I giudizi della critica del tempo sono, effettivamente, sprezzanti: Giovanni Baglione asserisce che il quadro «non era a veruno piaciuto», Giovanni Pietro Bellori scrive che Matteo «non aveva decoro né aspetto di Santo stando a sedere con le gambe incavalcate e co’ piedi rozzamente esposti al popolo». L’apostolo, insomma, appariva come un vecchio impacciato e imbarazzato, vestito come il ricoverato di un ospizio e seduto con le gambe e i piedi nudi in primo piano. Il dipinto, dunque, sarebbe stato restituito all’artista, che sappiamo lo rivendette a Vincenzo Giustiniani. Caravaggio, a quanto pare, dovette ridipingere in fretta e furia il San Matteo.

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602. Olio su tela, 2,96 x 1,89 m. Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli.

La seconda versione

Nella seconda versione, che invece fu sicuramente accettata e che si trova ancora oggi al suo posto nella cappella, l’evangelista è rappresentato come un vecchio filosofo vestito da capo a piedi, mentre il messaggero divino, che volteggia sopra di lui, gli ricorda quali sono i concetti principali da tenere a mente. La posa del santo, mostrato inginocchiato sopra una panchetta, appare instabile e precaria: è questa, d’altro canto, la condizione di ogni uomo.

Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1602. Particolare con l’angelo.

Una nuova ipotesi

Alcune legittime osservazioni e nuove ricerche d’archivio hanno tuttavia spinto a ricostruire l’intera vicenda e a formulare una nuova ipotesi. I due quadri, secondo la tradizione, sarebbero stati dipinti a pochi mesi di distanza: eppure, lo stile dei due dipinti appare piuttosto differente e anche le misure del primo San Matteo sono sensibilmente inferiori a quelle del secondo.

Inoltre, il primo San Matteo rispetta le indicazioni del Cardinale Matteo Contarelli (il santo seduto su una sedia, con un libro, che scrive aiutato da un angelo) mentre la seconda versione è aderente al contratto del 1602 (l’angelo che detta, le figure mostrate per intero). Infine, la tanto vituperata immagine della prima versione era una citazione quasi testuale, seppure ribaltata e rielaborata, dell’affresco con Giove e Amore, realizzato da Giulio Romano, su disegno di Raffaello, in un pennacchio della Loggia di Psiche alla Farnesina: un modello di grande autorevolezza che non dovette dispiacere ai committenti.

Giulio Romano (su disegno di Raffaello), Giove e Amore, 1517-18. Affresco. Villa della Farnesina, Loggia di Psiche, pennacchio della volta.

Insomma, la vicenda del rifiuto, così com’è stata raccontata, convince sempre meno. Ecco quindi la nuova ipotesi. Alla data del 1599, nella Cappella Contarelli, l’altare non era stato ancora finito. Ne era stato allestito uno provvisorio, per celebrarvi la messa, con sopra, probabilmente, un quadro altrettanto provvisorio: forse, proprio il primo San Matteo di Caravaggio, la cui esecuzione, quindi, precedette, e non seguì, le due tele laterali. E che pertanto non venne rifiutato, come insinuò il Baglione, ma semplicemente sostituito, con la stipula di un nuovo contratto, dalla seconda versione, quella definitiva e con le giuste misure.

Le due versioni di San Matteo e l’angelo di Caravaggio a confronto.
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