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Il carattere passionale, aggressivo e violento del grande pittore Michelangelo Merisi, detto Caravaggio (1571-1610), non è solo una leggenda creata ad arte dai suoi detrattori. Sappiamo dai documenti che, a Roma, nel 1600 l’artista fu querelato per percosse, che nel 1601 ferì di spada un sergente di Castel Sant’Angelo, nel 1603 fu nuovamente querelato per diffamazione. Le Natività di Caravaggio.
Nel 1604 venne coinvolto in una rissa col garzone dell’Osteria del Moro e subì un arresto per aver preso a sassate delle guardie; del 1605 sono altri disordini e fermi. È bene precisare, tuttavia, che queste turbolenze erano piuttosto normali nella società di allora, così come era comune il duello. E proprio in un duello a otto (quattro contro quattro), disputatosi, come ci raccontano le fonti, dopo una partita a racchetta (il tennis dell’epoca), nel 1606 il pittore ebbe la sventura di uccidere un tale, che i biografi ricordano come un giovane perbene ma che i documenti d’archivio presentano come noto provocatore di risse e sfruttatore della prostituzione.
Accusato di omicidio, condannato a morte, con una taglia sulla sua testa, Caravaggio fu costretto a scappare da Roma. Trasferitosi a Napoli, dove fu accolto con tutti gli onori, nel corso del 1606 Caravaggio dipinse alcuni capolavori, imponendo una svolta naturalista alla pittura locale. Alla metà del 1607, partì per Malta, dove inizialmente fu addirittura accettato come cavaliere. Poi, accusato di un crimine di cui nulla sappiamo (aveva probabilmente partecipato ad una rissa e ferito seriamente un altro cavaliere), Caravaggio finì in carcere. Riuscì tuttavia a fuggire in Sicilia e a rifugiarsi prima a Siracusa e poi, nell’ottobre del 1608, a Messina, città ricca, colta e fiorente, dove lasciò una splendida Natività, anzi, per l’esattezza, una Adorazione dei pastori.
Fu il senato della città di Messina a commissionare a Caravaggio, nel 1609, l’Adorazione dei pastori, conosciuta comunemente come Natività: una pala d’altare destinata all’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Concezione, retta dai Cappuccini. L’artista, che in quel periodo, ricordiamo, era fuggiasco, braccato, senza famiglia e senza patria (Francesco Susinno, autore de Le vite de’ pittori messinesi, lo descrive mentecatto, pazzo, ossessionato dall‘idea di essere ucciso), immaginò una scena umilissima e malinconica.
All’interno di una misera stalla di legno, Maria, esausta per il viaggio e per il parto, sdraiata per terra e priva di forze, stringe a sé il proprio bambino addormentato, tenera, protettiva. San Giuseppe (in primo piano, vestito dallo stesso colore del saio dei committenti) e tre pastori guardano questa tenera coppia adoranti e in preghiera, silenziosi e discreti, come a non voler turbare il sonno del piccolo e il riposo attento della madre.
Maria, immobile e nel contempo vigile, è totalmente dedita a riscaldare col suo corpo quello, indifeso e piccolo, del figlio miracoloso, un bambino che Caravaggio ci sa mostrare così vero, così uguale a tutti gli altri bimbi appena nati. Una creatura tanto umana da non sembrare nemmeno divina, e che la Madonna vuole, allo stesso tempo, proteggere ed esporre alla vista degli altri.
Sul fondo, si distinguono le grandi e rassicuranti sagome del bue e dell’asino. In primo piano, un semplice paniere con il pane e gli strumenti da falegname ricordano l’umiltà di quella famiglia, qualunque eppure così eccezionale.
In Sicilia è conservato un altro dipinto di Caravaggio con il tema del Natale di Cristo: si tratta della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi per l’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Non sappiamo ancora con esattezza quando questo dipinto venne realizzato. Secondo alcuni studiosi, in un passaggio in quella città dell’artista, avvenuto nel 1609, durante il suo soggiorno siciliano. Secondo altri, invece, il dipinto è antecedente: venne realizzato infatti a Roma e spedito a Palermo via mare. In effetti, lo stile e le caratteristiche tecniche della tela sono più vicini ai quadri romani di Caravaggio che non ai suoi capolavori siciliani di Siracusa e Messina, sicché l’opera andrebbe, assai ragionevolmente, retrodatata al 1600 circa.
Come era solito fare, sin dagli anni del soggiorno romano, Caravaggio immagina una scena umile, quotidiana, animata da personaggi emarginati e poveri, tanto simili a quelli reali da lui conosciuti tra i vicoli della città papale, così lontani da quelli autorevoli e nobili richiesti dai dettami della Controriforma cattolica.
La Madonna è veramente una donna comune, una popolana malinconica (è questo, d’altro canto, il tratto distintivo dei dipinti caravaggeschi) che guarda il figlio appena nato e già deposto per terra, prefigurando quel compianto sotto la croce di là da venire ma già lacerante nel suo cuore di madre. Il bue guarda mite e mansueto quel piccolino così apparentemente privo di importanza. Come scrisse il grande Roberto Longhi, storico dell’arte novecentesco dalla fascinosa sensibilità letteraria, un «bambino miserando, abbandonato a terra come un guscio di tellina buttato».
L’asino s’intravede appena sullo sfondo. San Giuseppe, voltato di spalle, si rivolge a un anziano pastore, e dovrebbe a sua volta essere avanti con gli anni, stante la corta capigliatura canuta, benché questo contrasti con il fisico gagliardo e scattante. A sinistra san Lorenzo e a destra san Francesco, ovviamente, non furono presenti all’epoca della nascita di Cristo, ma come presenze misteriose e arcane meditano su quella natività destinata a cambiare le sorti del mondo. In alto, proprio sopra il Bambino, piomba sulla scena un angelo celebrante con il suo cartiglio, concreto e fisico come un pastorello appeso al soffitto e pericolosamente penzolante.
Questo dipinto oggi non è più al suo posto e forse non esiste più. È stato rubato, su commissione mafiosa, la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’altare dell’Oratorio di San Lorenzo in cui era collocato (nella totale assenza di misure di sicurezza) e non è mai più stato trovato. Data la sua importanza, è uno dei dieci capolavori più ricercati dalle polizie di tutto il mondo.
Non conosciamo ancora la sorte del dipinto. A lungo ha prevalso la rassegnazione di una sua perdita definitiva, giacché pare che la tela sia andata sciaguratamente distrutta durante il suo occultamento in una stalla, rosicchiata da topi e maiali. Di recente, ha iniziato a circolare l’ipotesi che l’opera sia invece conservata in Svizzera e questo ha nuovamente alimentato la speranza di un suo futuro ritrovamento.
Nel 2015, è stata realizzata una riproduzione fedelissima del capolavoro perduto; la copia è stata collocata al posto dell’originale, nell’Oratorio palermitano per il quale il dipinto era nato, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È chiaro che una copia non potrà mai compensare la perdita di un originale, ma può comunque restituire al pubblico la bellezza della creazione di un grande artista.
La sparizione del quadro ha ispirato a Leonardo Sciascia il suo ultimo racconto, Una storia semplice. La storia del furto è stata inoltre raccontata nel film, del 2018, Una storia senza nome, di Roberto Andò.
Ottimo… complimenti all’autore
Grazie mille!