Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
In Italia, durante il Ventennio fascista, alcuni architetti scelsero di collaborare con il potere e di realizzare opere gradite al regime, senza trascurare l’esigenza di modernità. Tra questi, Giuseppe Terragni (1904-1943), autore di una delle opere più significative del Razionalismo italiano: la Casa del Fascio di Como.
Costruito tra il 1932 e il 1936 per ospitare la sezione locale del Partito Nazionale Fascista, l’edificio fu poi utilizzato dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, dal 1945 fino al 1957, quando diventò la sede del Comando Provinciale di Como della Guardia di Finanza.
L’edificio ha la forma di un grande parallelepipedo: presenta una pianta quadrata con il lato di 33,2 metri, mentre la sua altezza è l’esatta metà del lato di base. Il palazzo ha dunque il volume di un mezzo cubo. Le vaste superfici delle sue facciate, alte quattro piani, sono tuttavia concepite in modo da farlo apparire estremamente leggero, come se si trattasse di una grande scatola forata.
I quattro prospetti, sebbene disegnati partendo da una rigorosa maglia modulare, sono tutti diversi e presentano un gioco di superfici chiuse e di grandi aperture, poste in rigoroso rapporto proporzionale fra loro. La Casa del Fascio presenta, infatti, la prerogativa della “trasparenza”. Come spiega lo stesso Terragni nella sua relazione illustrativa, il progetto vuole dare forma alle parole di Mussolini, che aveva definito il fascismo come «una casa di vetro».
Il prospetto principale presenta, a destra, il grande rettangolo verticale di una superficie muraria compatta, che fa da contrappunto ai 20 rettangoli “vuoti” degli ingressi porticati e delle logge. Il rigore geometrico dell’intero edificio, di evidente ascendenza classica, è continuamente vivacizzato, in ogni facciata, da un elegante gioco di dissimmetrie, che scongiurano l’effetto di una eccessiva rigidità.
Grazie alle sue diverse facciate, il parallelepipedo, secondo le parole di Terragni, presenta una sorta di «asimmetria dinamica», tutta giocata sulle superfici di facciata che tuttavia costruiscono il volume. Oggi l’edificio si presenta completamente bianco e questo rende ancora più geometrico e astratto il suo aspetto. Il progetto originario dell’architetto, però, prevedeva una decorazione a pannelli smaltati, realizzati da Marcello Nizzoli e mai collocati in sede (oggi presso il Museo Civico di Como).
All’interno, la Casa del Fascio è scavata da un grande atrio a doppia altezza, ossia alto due piani, chiuso da una copertura in vetrocemento, che lascia passare la luce e lo trasforma in una vera e propria piazza coperta. La presenza di quest’atrio, in origine utilizzato come Salone delle adunate, ricorda la tipologia tradizionale della “casa a corte”, che Terragni ha preso evidentemente a modello per questo suo progetto.
L’architetto curò ogni minimo particolare, anche gli elementi di arredo. Le decorazioni presentano caratteri di monumentalità. L’intonaco che ricopre le pareti, oggi bianco ma un tempo verde pastello, è infatti accostato al marmo di Trani, al marmo Nero del Belgio e al marmo Giallo Adriatico. L’atrio dava accesso al Sacrario dei martiri fascisti, poi dedicato ai caduti delle Fiamme Gialle.
Vi si affacciano sia lo scalone, che porta ai piani superiori, sia i ballatoi distributivi del primo piano, dove un tempo si trovavano la Sala del Direttorio, gli uffici della Segreteria politica e l’ufficio del Segretario politico. Il secondo e il terzo piano, che ricalcano l’impianto distributivo del primo, si affacciano sulla copertura del Salone delle Adunate, che quindi è utilizzabile come terrazza-cavedio. Un tempo ospitavano locali usati come uffici amministrativi, l’archivio e l’alloggio del custode.
La Casa del Fascio è indubbiamente uno degli esempi più convinti e convincenti di architettura moderna in Italia. Lo testimoniano i materiali adottati da Terragni, tra cui l’acciaio, il vetro e il vetrocemento. L’architetto, a tal proposito, fu esplicito: «sono i primi passi verso la casa di vetro. Noi adoriamo il vetro. […] Il vetro rivela ciò che è, non può nascondere, è sinonimo della chiarità, è l’unico materiale fratello della luce, dell’aria, dello spazio».
«È per questo che vogliamo costruire la città di vetro. […] Dare luce, godere luce. Non respingere questo dono perfetto della natura». «Le due grandi rivoluzioni dell’architettura: vetro e acciaio. Due materiali che non hanno bisogno di retorica; e nemmeno di antiretorica». In questo senso, richiamandosi così scopertamente al lavoro di Gropius e di Le Corbusier, il linguaggio architettonico di Terragni si configurò come internazionale. Tuttavia, essendo l’architetto legato al regime fascista, si poneva il problema di un necessario richiamo alla tradizione nazionale.
Per questo, l’architetto ricorse alla poetica dei materiali, e in particolare al fascino evocativo del marmo, che garantiva un antiretorico richiamo all’antico, essendo stato il più amato nell’età classica e poi in quella rinascimentale. Nella Casa del Fascio, il marmo è ampiamente utilizzato all’interno ma anche all’esterno, in luogo dell’intonaco tanto caro ai maestri europei del Movimento Moderno.
Terragni, tuttavia, evitò accortamente l’uso enfatico e citazionista che del marmo sarebbe stato fatto, ad esempio, nel Colosseo Quadrato dell’E42. Dichiarò, infatti, di aver adottato il marmo come materiale di rivestimento esterno, «senza nessun aggetto», solo per la sua straordinaria capacità di resistenza agli agenti atmosferici, pur creando, ugualmente, una superficie neutra, un puro schermo che può diventare, all’occorrenza, un telone da proiezione.
«Questo rivestimento non va inteso come un fatto decorativistico, ma come una necessità pratica, e come un “problema risolto”. L’Italia, ricchissima di pietre naturali […] è nella fortunata situazione di poter fornire ai suoi architetti moderni la soluzione conveniente […] del problema delle grandi, nude pareti che la rigorosa esegesi della moderna architettura pretende nelle nostre costruzioni». Una risposta accorta a chi lo accusava di essere troppo esterofilo. Terragni, evitando di cadere nella trappola ideologica e propagandistica dell’architettura di regime, adottò un elemento emblematico dell’antichità, anzi per eccellenza della “romanità”, per trasformarlo in un materiale moderno, anzi contemporaneo.
Riflessione aurea, sincera, sintetica nel dire tutto con pochissime parole.
Si. Forte. Architettura è luce.
Enzo