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Quello dell’Ultima Cena è un episodio della Passione di Cristo. Si svolse di giovedì sera, poco prima del suo arresto. Ne parlano tutti i Vangeli (Matteo, 26, 26-29; Marco, 14, 12-25; Luca, 22, 15-20; Giovanni, 13, 21-35) e san Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi (11, 23-26). La Prima lettera di Paolo, essendo stata redatta intorno al 59 d.C., è la prima testimonianza di questo evento. In occasione della Pasqua ebraica, Cristo si era riunito con i suoi apostoli in un cenacolo, per consumare la cena e festeggiare quella ricorrenza religiosa. Marco (14, 15), in particolare, racconta che Gesù e i suoi discepoli si riunirono in «una grande sala ammobiliata e pronta» al piano superiore di una casa. Il termine “sala” traduce in lingua corrente la parola coenaculum dell’antico testo latino del Nuovo Testamento. Il Cenacolo di Leonardo.
Nell’edilizia popolare dei paesi mediterranei il coenaculum era un ambiente separato dal corpo di fabbrica della casa, dove s’immagazzinavano le derrate alimentari e, in alcune ricorrenze, si dava ospitalità ad amici, parenti e forestieri. Un’ipotesi accreditata è quella che vede nel padrone del cenacolo il padre o un parente di Marco, il futuro evangelista, che alcuni identificano nel giovinetto che poi sarebbe fuggito durante l’arresto di Gesù. La tavola, secondo la moda dell’epoca, era “a U” e certamente Gesù occupò il posto centrale. Secondo i Vangeli, Pietro, Giovanni e Giuda erano i commensali più vicini a lui. Durante la cena Gesù rivelò agli apostoli che uno di loro lo avrebbe tradito.
Sin dai primi secoli del Cristianesimo, si riconobbe all’episodio dell’Ultima Cena un’importanza particolare, giacché fu in tale contesto che si celebrò la prima eucarestia. Molti artisti si cimentarono con questo soggetto, a partire già dall’età paleocristiana. L’Ultima cena più famosa è tuttavia quella di Leonardo da Vinci (1452-1519), indiscusso maestro della pittura rinascimentale. Fu a Milano, su commissione di Ludovico il Moro, e a partire dal 1495, che Leonardo realizzò questo dipinto, noto come il Cenacolo, su una parete del Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie.
Purtroppo, lo stato di conservazione dell’opera è oggi assai precario. Leonardo, infatti, decise di dipingere a secco sul muro, usando colori a tempera e a olio su una preparazione a gesso. Questa tecnica sperimentale, diversamente dall’affresco tradizionale, consentì all’artista di lavorare con la lentezza e la meticolosità che gli erano necessarie ma il colore, in origine brillantissimo, iniziò presto a cadere. Già nel 1568, Vasari scriveva che il dipinto era diventato «una macchia abbagliata». La causa di tale degrado va identificata con l’umidità della parete, esposta a nord e confinante con le cucine del convento, quindi soggetta a frequenti sbalzi di temperatura e fenomeni di condensa.
Fortunatamente, esistono alcune grandi copie su tela del capolavoro vinciano, eseguite a pochi anni di distanza dall’originale, che possono restituirci in modo abbastanza fedele il vero aspetto di un’opera che a tutti apparve subito rivoluzionaria. La copia più fedele, anche se mancante della parte alta (un terzo superiore del dipinto venne in seguito tagliato), è quella un tempo conservata alla Certosa di Pavia e oggi al Magdalen College di Oxford. Un’altra copia si trova esposta al Museo del Rinascimento del Castello di Ecouen, in Francia. Una terza è conservata a Lugano.
Nel suo Cenacolo, Leonardo inserì la tavolata con il Cristo e i dodici apostoli in una severa struttura architettonica, aperta sul fondo da grandi finestre che si affacciano su un paesaggio chiaro e sereno.
Quest’ambiente prospettico decorato con arazzi appesi (che le copie ci dicono essere a motivi floreali) prolunga illusoriamente lo spazio reale del refettorio. In questo caso, dunque, Leonardo utilizzò la prospettiva brunelleschiana, che gli garantiva un efficace effetto illusionistico. Anche la luce che illumina i personaggi dipinti sembra provenire dalle finestre che si aprono sulla parete sinistra della sala.
Sul tavolo, i piatti di peltro, i bicchieri di vetro colmi di vino, gli alimenti, la tovaglia ricamata dimostrano quanto Leonardo avesse studiato con attenzione le opere d’arte fiamminga circolanti a Milano in quegli anni.
La figura di Cristo domina al centro della composizione; inserito in una struttura piramidale e solennemente isolato, il Messia china la testa in avanti, mentre indica il pane e il vino dell’eucarestia e annuncia il prossimo tradimento da parte di uno dei suoi.
Le sue braccia sono distese: una mano è rivolta verso l’alto, quasi a mostrare il palmo che presto sarà trafitto dai chiodi, in un gesto di dolente ma consapevole accettazione; l’altra mano si impone sulla tavola e sembra esprimere una profonda tensione partecipativa. Questi gesti, ampi e calmi, contrastano con quelli concitati degli apostoli che, disposti in gruppi di tre, mostrano apertamente le proprie differenti reazioni.
A differenza dei pittori quattrocenteschi, Leonardo scelse di rappresentare Giuda non isolato dall’altra parte della tavola ma confuso fra tutti, in modo da rendere più drammatico il reciproco interrogarsi degli altri undici. Questo particolare potrebbe essere stato suggerito dai domenicani giacché quest’ordine religioso dava grande importanza al principio del libero arbitrio e poco accettava l’idea che Giuda fosse in qualche modo predestinato a tradire il suo maestro. È stato anche osservato che l’artista derivò la composizione di questo dipinto direttamente dal Vangelo di Giovanni e non da quello di Marco, come di solito facevano i suoi colleghi. Manca infatti il calice dell’eucarestia, che Giovanni non cita. Secondo il quarto evangelista, dopo l’annuncio del tradimento, Gesù si limitò a dire: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Giovanni, 13, 34).
Il Cenacolo affronta un tema molto caro a Leonardo: quello dei «moti dell’anima», per usare una sua efficace espressione, ossia la manifestazione dei sentimenti. Si tratta di una complessa commistione di emozioni, rappresentata soprattutto attraverso i gesti delle mani e le espressioni dei volti; tuttavia, il dipinto è nel suo insieme calibratissimo, la scena è assolutamente organica e coerente. Gli atteggiamenti degli apostoli sono infatti legati da precise corrispondenze e creano una sorta di dialogo multiplo che rompe lo schema oramai consolidato del soggetto, liberandolo dalla sua tradizionale rigidità.
A sinistra, Bartolomeo si spinge in avanti con il busto e appoggia le mani al tavolo, come chi è intento ad ascoltare. Giacomo Minore appoggia la sua mano sinistra sulla spalla di Pietro, per attirare la sua attenzione. Andrea alza le mani mostrando i palmi, in un gesto di meraviglia e di spavento.
Pietro si protende di scatto verso Giovanni, per chiedere conferma di quello che ha appena sentito, e con la mano destra afferra un coltello, prefigurando il gesto impulsivo con cui, poche ore dopo, ferirà un soldato nel vano tentativo di difendere Cristo. Giovanni ha il tipico atteggiamento del dolente, lo stesso che assumerà sotto la croce, mentre Giuda (il quinto da sinistra, quello sovrapposto a Pietro), sentendosi scoperto, afferra il sacchetto con i trenta denari e si ritrae spaventato.
Alla sinistra di Gesù, Tommaso alza l’indice al cielo con atteggiamento dubbioso, tipico della sua indole; Giacomo Maggiore spalanca le braccia manifestando tutto il suo orrore. Filippo, al contrario, rivolge le mani verso di sé, dichiarando la sua innocenza.
Infine, il gruppo all’estrema destra sembra discutere sull’identità del traditore: sono Matteo, Taddeo e Simone, i quali esprimono con gesti assai espliciti dubbio, sgomento e indignazione.
Descrizione chiara e appassionata.
Grazie, mi fa molto piacere.
Essenziale, precisa e coinvolgente. Grazie
Grazie a lei per l’apprezzamento 🙂
Grazie ! Bellissimo sunto chiaro ed essenziale nella descrizione dei moti dell’ animo .