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Nel 1960 nacque in Francia il Nouveau Réalisme (‘Nuovo Realismo’), un movimento artistico che ebbe l’intento di recuperare totalmente la realtà nella sua autonomia espressiva più ampia, attraverso l’uso di materiali che caratterizzavano la moderna età tecnologica: oggetti prodotti in serie (nuovi oppure usati), rottami di ferro, tubi compressi, poster lacerati. Tra gli artisti del Nouveau Réalisme ricordiamo Arman, Christo, César e Yves Klein.
Il loro punto di riferimento fu ovviamente il Dadaismo, giacché anche in questo caso l’oggetto comune fu considerato una potenziale opera d’arte. A differenza del Dadaismo, però, il Nouveau Réalisme non mise in discussione l’identità dell’oggetto ma lo accettò in sé stesso, anche quando usato, logoro, rotto; anzi, fu proprio l’oggetto ridotto a spazzatura a diventare emblematico della sua arte.
In questo, condivise la poetica del New Dada americano, affermatosi nella decade precedente. Nelle opere del Nouveau Réalisme possiamo insomma cogliere una esplicita volontà di denuncia, una critica nei confronti della moderna società che tutto tritura e tutto distrugge, schiava della logica del consumo, superficialmente dedita all’usa e getta.
In tale contesto, fu originalissimo anche il contributo offerto da Christo (1935-2020). Questo artista, certamente molto singolare, diede inizio, nel 1958, alla sua produzione più caratteristica, ossia l’impacchettamento di oggetti, in un primo tempo di piccole dimensioni (riviste, bottiglie, barattoli, scatole, bidoni), poi sempre più grandi.
Con la sua singolare procedura artistica, Christo mise in atto le teorie di appropriazione dell’oggetto tipiche del New Dada; tuttavia, egli volle soprattutto rimarcare il valore simbolico che un oggetto assume quando viene nascosto alla vista. Impacchettando gli oggetti in fogli di cellophane o ricoprendoli con grandi teli bianchi, egli volle impedire ogni loro ulteriore contatto con la realtà e la vita.
Così facendo, mise davvero in evidenza ciò che tutti erano soliti vedere ma non guardare, perché sempre di corsa o distratti o indifferenti: il “normale”, addirittura il “banale” si fece improvvisamente manifesto. L’oggetto impacchettato, privato della sua funzione originaria, si caricò, infatti, di significati nuovi e inaspettati.
Tra il 1962 e il 1963, Christo si concentrò sull’impacchettamento di ritratti e di riviste illustrate (Wrapped magazines), usando, in questo caso, involucri semitrasparenti, che lasciano intravedere le immagini di copertina dei rotocalchi.
I volti delle attrici, Claudia Cardinale piuttosto che Marilyn Monroe, risultano appena riconoscibili sotto la plastica giallastra. L’operazione proposta era assai prossima a quella della Pop Art, che proprio in quegli anni stava per esplodere come fenomeno internazionale: le immagini plastificate delle star rimandavano al tema della mercificazione dei personaggi pubblici, i quali vengono “venduti” dai media alla stregua di qualunque merce, e quindi imballati, trasportati e comprati in tutto il mondo.
Christo si spinse, in un secondo tempo, a impacchettare addirittura edifici, monumenti, alberi, parti di paesaggio e isole, con veri e propri interventi di Land Art.
L’espressione Land Art fu coniata nel 1969 per designare l’opera di artisti che, spinti da una nuova ricerca espressiva, intervenivano “sulla” natura e “nella” natura, solitamente su vasta scala. La Land Art non ha voluto portare avanti un’operazione di tipo estetico; al contrario, ha invitato il pubblico a recuperare la sua capacità di relazionarsi con l’ambiente.
Lo scopo dell’artista land non è stato insomma quello di “imitare” la natura, né di emularla, meno che mai di sopraffarla; imprimendo un segno sul territorio, l’artista ha voluto “integrarsi” con la natura. Se un tempo l’artista rappresentava il paesaggio, adesso “entrava” fisicamente nel paesaggio, lo attraversava, lo esplorava e vi imprimeva un segno, il più delle volte effimero, destinato a consumarsi come una scritta sulla spiaggia raggiunta dalla spuma del mare.
Il rifiuto dei mezzi artistici tradizionali non è la sola motivazione a guidare l’opera degli artisti “ecologici”; alle origini di questo movimento si coglie anche una marcata polemica nei confronti del mercato dell’arte, le cui leggi non sono applicabili alle installazioni territoriali (permanenti o effimere), a causa della loro caratteristica principale, la “non mobilità”.
La fruizione degli interventi “ecologici” è affidata, infatti, soprattutto alla fotografia aerea o alla registrazione su video-tape, che, non di rado, riprende anche l’azione dell’artista. Di molte operazioni, però, sono rimaste solo le carte topografiche e geografiche che indicano i luoghi deputati.
Aderendo alla Land Art, Christo scelse di creare opere su vasta scala, estendendo i suoi “impacchettamenti” a porzioni di territorio. Aiutato dalla moglie Jeanne-Claude (1935-2009), con la quale ha lavorato in coppia per molti anni, nel 1969 Christo ha impacchettato la Costa di Little Bay, presso Sydney in Australia, usando 92.900 metri quadrati di tela e 58 chilometri di spago.
Nel 1972, con un enorme telo arancione di nylon (dello stesso tipo usato per i paracadute) ha occluso un’intera valle del Colorado (l’installazione fu chiamata Valley Curtain) e nel 1976 ha installato in California, a nord di San Francisco, una sorta di nuovo Vallo di Adriano (Running Fence) lungo 40 chilometri: utilizzando 200.000 metri quadrati di stoffa, ha segnato valli, boschi e fiumi con una ininterrotta e interminabile “pennellata” bianca.
Nel 1971, i due hanno avuto l’idea più ardita di tutte: l’impacchettamento del Reichstag di Berlino. Marito e moglie sono riusciti a portare a termine l’impresa solo nel 1995. Trasformare un Palazzo del Parlamento in un gigantesco regalo natalizio non è infatti cosa da poco. Christo e Janne-Claude, tanto per dire, hanno dovuto attendere a lungo per ottenere la necessaria autorizzazione. Non dimentichiamo, poi, che una installazione di questo tipo comporta enormi difficoltà operative, una vera sfida alle proprie capacità fisiche. L’operazione di montaggio e di smontaggio degli enormi teli, di fissaggio dei chilometri di cavi e funi ha richiesto, infatti, abilità acrobatiche e comportato grandi rischi per l’incolumità dei due artisti e dei loro collaboratori.
Negli anni Ottanta, con smisurate strisce rosa di un particolare tessuto galleggiante (fatto di polipropilene) ha recintato, una ad una, ben undici isole situate nella Baia di Biscayne, vicino Miami, in Florida.
Nel 2016 Christo ha fatto molto parlare di sé nel nostro paese: sul lago d’Iseo, in Lombardia, ha installato temporaneamente alcune passerelle galleggianti, ricoperte di telo arancione brillante, che con la loro lunghezza complessiva di 3 chilometri permettevano ai visitatori di raggiungere sponde opposte del lago (oltre all’isolotto di Monte Isola) camminando sulla superficie dell’acqua e potendo godere in questo modo di inusitate visuali del panorama circostante.
Valley Curtain è stata una installazione territoriale, uno stupefacente apparato effimero progettato da Christo e da Jeanne-Claude alla fine del 1970 e realizzato concretamente oltre due anni dopo. Il progetto consisteva nel tendere, per 400 metri di lunghezza, una cortina di tessuto arancione e di occludere la Gap Rifle, una valle delle Montagne Rocciose nel Colorado. L’operazione ha richiesto oltre 23.000 metri quadrati di stoffa da appendere su quattro cavi in acciaio, fissati su ogni pendio alle due estremità della valle a grossi basamenti di cemento, pesanti 200 tonnellate ciascuno.
Valley Curtain è ancora oggi considerato come uno dei lavori più importanti e suggestivi di Christo. La sua realizzazione è stata una vera e propria corsa ad ostacoli segnata da fallimenti e difficoltà di ogni genere. Il pubblico è infatti portato istintivamente a valutare il risultato estetico di tale operazione, che può interessarlo o suscitare in lui perplessità o diffidenza. Ma nel giudicare un’opera di Christo, come quella di molti land artists non si deve mai ignorare il lavoro che ha portato al risultato finale, una sfida che il più delle volte racchiude in sé gran parte del significato generale. Nella Land Art è importante il prodotto, senza dubbio, ma è ancora più importante il processo.
Valley Curtain, per esempio, ha richiesto una lunga e complessa fase preparatoria, necessaria per raccogliere le sovvenzioni da parte di musei, collezionisti, mercanti, e ottenere tutti i permessi. Ha poi richiesto una seconda fase progettuale che ha visto coinvolti geometri, ingegneri, geologi, ecologi. Insomma, fu impiegato più di un anno solo perché l’idea prendesse forma. Christo ha dovuto poi trovare un’industria specializzata che cucisse la cortina, secondo il progetto degli ingegneri.
Infine, il montaggio: durante un primo tentativo, il 10 ottobre 1971, il sipario arancione è stato fatto a brandelli dal vento. Il 10 agosto 1972, il secondo tentativo di appendere il telo è riuscito, ma solo 28 ore dopo la cortina è stata distrutta da una tempesta di sabbia, di fronte allo sguardo imperturbabile del suo autore. Due anni di lavoro e migliaia di dollari per un’opera durata un paio di giorni. Qualunque persona assennata non fatica a considerare tutto questo una follia. Non un artista, le cui idee e attività appartengono al regno della fantasia.
Perplesso … ma “alcuni” interventi sono “significativi”
e quindi “condivisibili”