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I crocifissi di Cimabure
Due capolavori di Cimabue.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età gotica – Data: Ottobre 9, 2019 0 commenti 6 minuti
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Cenni di Pepo (1240-1302 ca.), detto Cimabue, uno dei più importanti e ammirati artisti italiani del XIII secolo, fu un celebrato pittore di Madonne con Bambino ma si devono alla sua mano almeno due meravigliosi crocifissi duecenteschi.

Cimabue, Crocifisso di San Domenico, 1270 ca. Tempera su tavola, 3,41 x 2,64 m. Arezzo, Chiesa di San Domenico.

Il Crocifisso di San Domenico

Il primo è il Crocifisso di San Domenico, realizzato ad Arezzo intorno al 1270: un dipinto di livello eccelso, dove i moduli bizantini sono rinvigoriti da una vitalità inedita, perché affrontati con spirito nuovo e con sentimenti intensi. Lo schema iconografico è quello del Christus Patiens e il ricordo delle croci di Giunta Pisano è senza dubbio molto forte; ma il Cristo di Cimabue è davvero grandioso, le sue forme sono più statuarie e danno una maggiore impressione di rilievo. La rappresentazione dell’anatomia, fedele alla tradizione orientale, è ancora schematica, il chiaroscuro è arcaico e metallico ma l’umanità di Gesù è diventata profonda.

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Cimabue, Crocifisso di San Domenico, 1270 ca. Particolare del volto.
Cimabue, Crocifisso di San Domenico, 1270 ca. Particolare del ventre.

Grande rilevo psicologico viene dato anche alle figure dei due dolenti, la Madonna e san Giovanni, mostrati con una mano sulla guancia per esprimere una sofferenza che non si può alleviare con il tempo. È importante ricordare che nell’arte cristiana il linguaggio delle mani ha sempre avuto un’importanza fondamentale. È attraverso le mani, infatti, che i protagonisti delle scene sacre possono comunicare allo spettatore il proprio dolore, sia morale sia fisico, coinvolgendolo e invitandolo a condividere tale sofferenza.

Cimabue, Crocifisso di San Domenico, 1270 ca. Particolare di Maria dolente.
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Cimabue, Crocifisso di San Domenico, 1270 ca. Particolare di San Giovanni Evangelista dolente.

Il Crocifisso di Santa Croce

Nel 1284, Cimabue dipinse un Crocifisso per i francescani di Santa Croce a Firenze. L’opera fu commissionata probabilmente lo stesso anno in cui si progettò la chiesa che l’avrebbe accolta: a quell’epoca era costume, infatti, concepire insieme architettura e arredo liturgico. Era la seconda volta che l’artista realizzava una croce lignea, dopo la prova del 1270.

Cimabue, Crocifisso di Santa Croce, 1284 ca., prima dell’alluvione del 1966. Tempera su tavola, 4,48 x 3,90 m. Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce.

Aveva maturato 14 anni di esperienza e di ricerca, e i risultati sono evidenti. Gesù ha il volto reclinato e gli occhi chiusi; il suo corpo, definito anatomicamente da morbidi passaggi chiaroscurali, è mollemente inarcato lungo il braccio verticale, rispettando, ancora, il tipo consolidato del Christus Patiens. Nonostante le evidenti analogie con la sua prova precedente, osserviamo che il Crocifisso di Santa Croce si pone al traguardo di un faticoso percorso artistico e umano.

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Rispetto all’opera di Arezzo, qui ogni tensione sembra essersi smorzata, come esaurita; il pàthos drammatico ha ceduto il posto a un inquieto e malinconico languore, al composto e silenzioso dolore che accompagna una morte accettata in silenzio e affrontata in solitudine. Il corpo di Cristo è ancora la schematizzazione di un corpo: eppure cominciano ad affiorare dei muscoli sotto la pelle verdastra, che non accompagnano la torsione con un chiaroscuro violento ma si addolciscono sino a ottenere l’effetto di una delicata, incorporea mollezza.

Cimabue, Crocifisso di Santa Croce, prima dell’alluvione del 1966. Particolare del volto e del busto.

Il perizoma, un velo trasparente e increspato di pieghe sottili, copre ben poco di questo corpo, diventato, così, un nudo quasi integrale. Con Cimabue, infatti, il corpo umano (anche se concepito come elegante traduzione del dolore) tornava ad essere l’espressione del divino.

Cimabue, Crocifisso di Santa Croce, prima dell’alluvione del 1966. Particolare del ventre.

L’importanza di quest’opera si deve insomma riconoscere nel suo rinnovato naturalismo. Erano tempi, quelli, in cui le rivoluzioni artistiche si facevano ancora con i piccoli passi. Cimabue non volle mai rinnegare la tradizione inaugurata dagli artisti bizantini; certo è che la forzò, sino ad arrivare a un punto di non ritorno. Non a caso Vasari, che fu sempre un detrattore dell’arte medievale, gli riconobbe di essere stato il primo a discostarsi dalla «scabrosa goffa e ordinaria […] maniera greca» e riconobbe nella sua pittura le remote premesse della nuova stagione rinascimentale. Cimabue arrivò là dove potè, o ritenne giusto arrivare. Sarebbe stato il suo migliore allievo, Giotto, a portare a termine quanto lui aveva iniziato.

La perdita, parziale, di un capolavoro

Durante l’alluvione che si abbatté su Firenze nel 1966, il Crocifisso di Santa Croce fu travolto dalle acque dell’Arno in piena, perdendo vaste zone di colore. Mezzo volto del Cristo, gran parte del suo busto, la sua intera coscia sinistra e quasi tutto il perizoma furono d’un tratto cancellati. I restauratori staccarono dal supporto originario la pellicola pittorica superstite, e dopo adeguati trattamenti ricongiunsero i pezzi. Restava il problema della reintegrazione delle lacune, necessaria per restituire una piena leggibilità dell’immagine.

Di questa tavola, forse la più importante del Duecento italiano, esistevano eccellenti fotografie; i restauratori avrebbero potuto ricostruire fedelmente le parti mancanti, restituendo al dipinto la sua integrità; preferirono, invece, colmare le mancanze con una sorta di colore neutro, ottenuto attraverso l’accostamento di piccoli tratti di pennello, in modo da non lasciare dubbio alcuno sulla paternità dei brani pittorici sopravvissuti. Anche l’alluvione e la conseguente rovina fanno parte, in fondo, della storia di quest’opera, iniziata settecento anni fa nella bottega fiorentina del pittore. Tuttavia, volendo cogliere la poesia e il significato del capolavoro cimabuesco, è giusto servirsi, nei testi, delle immagini che lo riproducono com’era prima della rovina.

Cimabue, Crocifisso di Santa Croce, dopo l’alluvione del 1966.
Cimabue, Crocifisso di Santa Croce, dopo l’alluvione del 1966. Particolare.

Cimabue Il Duecento e Cimabue Tempera


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