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L’urbanistica medievale si colloca tra due momenti molto caratterizzati della storia della città: quella romana, segnata dalla rigorosa fissità del modello a scacchiera, e quella rinascimentale, durante la quale, inseguendo l’utopia della città ideale, teorici e architetti elaborarono complessi schemi geometrici difficilmente applicabili.
Confrontata con i modelli romani e rinascimentali, la città medievale può apparire fatalmente disordinata, cresciuta in balia del caso o del capriccio. Così non è.
L’identità della città medievale
La città medievale ebbe una identità molto precisa e trovò la sua specificità proprio nella volontà di legare le sue forme urbane, oggi diremmo la sua struttura urbanistica, prima di tutto ad esigenze concrete, a valori pratici, a valutazioni di opportunità, al rapporto con il territorio: presupposti la cui efficace soddisfazione dava luogo, a posteriori, a risultati giudicati esteticamente appaganti.
La forma della città, insomma, scaturiva dalla vita stessa della città, in un modo così puntuale e coerente che noi, ancora oggi, siamo in grado di leggerlo. Nei secoli precedenti, l’imposizione romana del modello a scacchiera, che non tenne mai conto del sito, della cultura locale, della specifica tradizione, non era stata solo una scelta di ordine pratico ma prima di tutto un atto politico. Costituì l’impronta della romanitas.
Le varianti degli schemi
La città medievale, al contrario, nacque sempre da bisogni specifici, spontanei, tutti particolaristici della cittadinanza stessa, che si raccolse intorno a un castello o a una chiesa madre o a un monastero, o si distribuì lungo una via importante, o si arroccò in difesa su un’altura, o si lasciò avvolgere dall’abbraccio protettivo dell’ansa di un fiume. Sicché a molteplici necessità, a differenti volontà collettive corrisposero altrettanti modelli urbanistici, sconosciuti ai tempi antichi, e che a tali scopi seppero adattarsi.
La città medievale, lungi dall’essere capricciosa, fu dunque assolutamente ragionevole, accettò ogni variante dello schema scelto che sapesse risolvere i problemi pratici, adattò i disegni al territorio e non viceversa. Chi era in qualche modo preposto al disegno della città (gli urbanisti ancora non esistevano) non rifiutò mai l’idea di perfezione in sé, è chiaro, ma prese atto che la realtà è altra cosa, sicché antepose ai princìpi di astrazione tutto ciò che a lui e ai suoi concittadini risultava efficace e concreto, e lo fece con assoluta libertà creativa.
L’estetica della città
I risultati estetici, dicevamo, furono conseguenziali e allo stesso tempo efficacissimi. L’estetica medievale, come quella classica, ebbe un rigoroso senso dell’ordine: ma se gli antichi uniformarono, geometrizzarono, ridussero tutto a norma, spinti da una esasperata esigenza di controllo, per gli uomini del Medioevo “ordinare” significò mettere ogni cosa al suo “giusto” posto, laddove serviva; significò adattare tutto allo scopo.
Insomma, l’estetica medievale, in ogni campo, anche quello urbanistico, non volle prescindere dalle ragioni della pratica, men che mai poté contrastarle. E non venne imposta dalle teorie degli intellettuali o degli artisti di fama e di talento: al contrario, fu condivisa da tutti. Come scriveva sant’Agostino nel De excidio urbis Romae (all’inizio del V secolo), l’essenza della città sta negli uomini, non nelle pietre. Forse è per questo che noi siamo, a distanza di secoli, così affascinati dalla struggente bellezza dei nostri borghi medievali.
La città romanica in Italia
Nel corso dell’XI secolo, grazie a una conquistata autonomia politica basata su un patto associativo tra cittadini, nacquero in Italia i primi comuni, forme di autogoverno cittadino, caratteristiche dell’Italia medievale del Centro-Nord; Milano, Firenze e Siena furono tra i più floridi.
Le città-stato
La fortuna dei comuni fu direttamente connessa alla debolezza dell’impero che, ormai stremato dalla lotta per le investiture con il papato, accordò all’aristocrazia cittadina notevoli concessioni in cambio di un appoggio politico e militare. Fu così che i comuni italiani riuscirono a conquistare e mantenere una straordinaria autonomia, tanto da potersi definire delle vere e proprie città-stato.
Nel tempo, i comuni italiani conquistarono anche il territorio circostante, generalmente corrispondente alla diocesi; alcuni riuscirono a sottomettere le città vicine più deboli. In tal modo, ogni comune riuscì a provvedere al proprio approvvigionamento, sia in modo continuativo nei periodi di normalità, sia (in occasione di guerre, carestie, epidemie) ricorrendo al razionamento e al contingentamento delle derrate alimentari. Le alte mura cittadine, i grandi palazzi nobiliari, le ricche case borghesi, le svettanti case-torri, i massicci palazzi pubblici erano efficaci testimonianze architettoniche del potere e del prestigio acquisiti dai comuni.
Sono pochi i centri medievali italiani che hanno conservato il loro aspetto originario. Vale la pena di ricordare la cittadina toscana di San Gimignano, che ci fornisce la testimonianza più suggestiva di città medievale italiana. Non a caso, l’intero borgo medievale di San Gimignano è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1990.
Monteriggioni
Fra le testimonianze più suggestive, non si può non citare il minuscolo borgo fortificato di Monteriggioni, in Toscana, costruito nel XIII secolo dai senesi.
A partire dall’XI secolo, il rifiorire dell’economia, legato anche alla migliorata produttività delle campagne (per il perfezionamento dei sistemi e degli strumenti di coltivazione), un nuovo fervore commerciale e il conseguente incremento demografico favorirono una ritrovata fortuna dei centri urbani, soprattutto di quelli considerati crocevia di scambi e punti di riferimento per i mercati e per le fiere. Non è infatti un caso che il fenomeno urbano nacque e si sviluppò con maggiore rapidità, prima sulla costa e in seguito nell’entroterra, in quei paesi (come l’Italia e le Fiandre) dediti più di altri al commercio.
In Italia, che era terra di antichissima urbanizzazione, non sorsero nuovi centri di una certa rilevanza: l’incremento demografico rinvigorì e ampliò le vecchie città. Invece, praticamente in tutti gli altri territori europei (Spagna, Francia, Germania, Inghilterra), proprio allo scopo di incrementare il commercio, e allo stesso tempo di presidiare il territorio, i sovrani e i signori locali sollecitarono la fondazione di nuove città, alle quali concessero diritti di mercato e franchigie che ne favorirono rapidamente il popolamento. Dobbiamo chiarire che questi centri urbani, nati o sviluppatesi dopo l’anno Mille, non ricalcavano la nostra idea moderna di città.
Nel Basso Medioevo, infatti, essi divennero numerosi ma rimasero piccoli. I centri abitati più grandi e popolosi si trovavano, non a caso, in Italia (Milano, Firenze, Venezia, Genova) e in Francia (Parigi), ma non superavano i 100.000 abitanti. Le altre città dell’Europa settentrionale spesso contavano meno di 3000 abitanti.
Le città gotiche
I secoli XIII e XIV furono segnati da una significativa crescita dell’economia europea, che favorì una straordinaria fioritura dell’attività edilizia e degli interventi urbanistici. Una moltitudine di contadini decise di trasferirsi nei centri urbani, dove si potevano avviare attività artigianali, talvolta molto umili ma in generale meno faticose e più redditizie del lavoro nei campi. Nacque una nuova classe sociale, quella della borghesia, costituita da artigiani, mercanti e banchieri che nel corso dei decenni si arricchirono progressivamente, fino ad accumulare ingenti patrimoni che spesso reinvestirono in beni immobili.
Le città, bacini di raccolta di tali ricchezze, crebbero e si trasformarono, sia per l’iniziativa privata sia per quella pubblica. In queste città così rinnovate, vennero costruiti nuovi edifici, soprattutto palazzi, pubblici e privati, chiese e cattedrali, collocati strategicamente nel tessuto urbano. Nacquero a tale scopo i primi piani urbanistici, come il Regolamento della Piazza del Campo di Siena del 1309, che imponeva la regolarità delle strade cittadine e una certa conformità delle finestre e degli sporti degli edifici che si affacciavano sulla piazza.
Le mura urbane
Per contenere e proteggere i nuovi ampliamenti urbani dagli attacchi esterni si innalzarono nuove cinte murarie, più grandi e più fortificate, ricche di torri e aperte da grandi porte. D’altro canto, l’elemento che più di ogni altro definì la città romanica fu proprio la cinta di mura. Le piccole città erano circondate più che altro da terrapieni ma quelle più grandi e importanti vantavano muraglie poderose dai profili merlati, spesso intervallate da torri e bastioni, che costituivano motivo di vanto e orgoglio per tutti i cittadini.
Purtroppo, quasi tutte le mura delle città europee sono state abbattute nel tempo. Fa eccezione la spagnola Ávila, in Castiglia, sorta in un territorio insidiato dagli Arabi. Alcuni piccoli borghi italiani, come quello di Monteriggioni, presentano invece la loro antica cinta muraria ancora intatta.
Le mura di Firenze
Alcune città presentavano perfino più mura concentriche. Emblematico il caso di Firenze. In questa città, le prime mura romane erano durate quasi un millennio; a seguito della sua crescita demografica esponenziale, in soli 400 anni, a intervalli sempre più brevi, furono innalzate nuove mura: dalla cerchia carolingia (870) si passò a quella matildina (1078), poi alla cinta comunale (1172) e, appena cent’anni dopo, alla seconda cinta comunale (1284), detta cinta di Arnolfo. Quest’ultima era davvero colossale: alta sei metri e lunga otto chilometri e mezzo, era dotata di 63 torri e dodici porte monumentali. Purtroppo, queste mura grandiose, sopravvissute fino al XIX secolo, vennero abbattute per realizzare i viali di circonvallazione, quando Firenze divenne (per pochi anni) capitale d’Italia. Alcune porte cittadine, rimaste isolate, restano a testimoniarne l’antico splendore.
Le strade e le piazze cittadine
Le mura delle città medievali erano infatti aperte da porte (almeno due o quattro), che la sera venivano chiuse, sicché si doveva stare attenti ad arrivare per tempo. Oltrepassata la porta, il cittadino si inoltrava nel dedalo di strade strette e tortuose, raramente selciate (e quindi spesso fangose). Le strade erano invase dagli sporti delle case (quegli ambienti, solitamente in legno, che aggettavano dalla parete di un palazzo o di una abitazione) e dai banconi delle botteghe; le cortine compatte degli edifici lasciavano scorgere, in alto, solo un sottile lembo di cielo.
Tali strade si aprivano, talvolta inaspettatamente, sulle piazze, grandi o piccole, talvolta dotate di fontane, altre volte dominate dalle masse vertiginose delle chiese o da quelle austere dei palazzi comunali. Proprio le piazze, già cuori pulsanti delle città romaniche (in quanto centri di attività commerciali, politiche e religiose), accrebbero il proprio ruolo, diventando i luoghi di aggregazione sociale per eccellenza. Davanti ai nuovi complessi creati dagli ordini religiosi, per esempio, si aprirono nuove, grandi piazze, destinate alla predicazione, all’assistenza, alle feste, come nel caso di Piazza Santa Croce e Piazza Santa Maria Novella a Firenze.
La piazza maggiore, vero fulcro dell’intero centro abitato, era normalmente circondata dai palazzi più belli e prestigiosi, dove abitavano i notabili della città. Qui si riuniva la cittadinanza in assemblea, qui si tenevano i mercati settimanali e le fiere.
Vivere la città
Piazze e strade brulicavano di gente, che ostacolava il traffico cittadino dei carri, delle carrozze e dei cavalieri. D’altro canto, sia i palazzi gentilizi e le case-torri sia le comuni abitazioni, normalmente piccole e anguste, non erano mai particolarmente confortevoli e invitanti; uomini, donne, vecchi e bambini preferivano, quando potevano, uscire, per fare qualche spesa, chiacchierare, giocare, incontrare gli amici, seguire una processione dietro la statua del santo patrono, ascoltare un predicatore ambulante, applaudire un saltimbanco oppure assistere al più crudele spettacolo che la cultura di quei tempi sapeva offrire: la tortura o l’esecuzione pubblica di un condannato a morte.