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Dai Compianti del Quattrocento a quelli dei fotografi contemporanei
È l’arte a imitare la vita o è la vita che ricorda l’arte?
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Arte Ieri Oggi – Data: Marzo 15, 2021 0 commenti 6 minuti
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La parola compianto deriva da compiangere (dal latino medievale complangere, ‘piangere con altri’) e può avere due significati: comunemente, quello di cordoglio collettivo, della condivisione del dolore per una perdita comune; in senso più letterario come “pianto”, “lamento”, sempre legato a un lutto. Nell’arte dal medioevo in poi, il compianto è normalmente legato alla morte di Cristo e fa riferimento al momento in cui Gesù venne deposto dalla croce e tutti i presenti (la Madonna, la Maddalena, san Giovanni e altri) piansero sul suo cadavere. È una forma di compianto, inteso come lamento, più intimo, anche quello della sola Madonna che abbraccia il figlio morto, secondo una iconografia nota come Pietà. Compianti contemporanei.

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Niccolò dell’Arca, Compianto del Cristo morto, 1463-90. Terracotta policroma. Bologna, Chiesa di santa Maria della Vita.

Il Compianto di Niccolò dell’Arca

Uno dei più celebri compianti rinascimentali è quello dello scultore Niccolò dell’Arca (1435 ca.-1494), attivo in Emilia e soprattutto a Bologna, dove trascorse buona parte della sua vita. Protagonista di spicco della scultura dell’Italia settentrionale nel XV secolo, si specializzò nella produzione di figure in terracotta e più nello specifico nei Compianti a grandezza naturale. Il suo Compianto del Cristo morto venne scolpito per la Chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna. Il gruppo, che conserva ancora tracce di policromia, è composto da sei personaggi, straziati dal dolore, e dalla figura di Gesù sdraiato al suolo. Tutta la scena è segnata da una straordinaria drammaticità, assai enfatica e teatrale.

Niccolò dell’Arca, Compianto del Cristo morto, 1463-90. Particolare.
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Niccolò dell’Arca, Compianto del Cristo morto, 1463-90. Particolare.

A differenza di altri temi sacri, compianti come questo raccontano momenti di profonda verità, perché attraverso la rappresentazione della morte di Cristo affrontano il tema della morte in sé e dello strazio di chi rimane. Non è un caso che tante immagini fotografiche di compianti contemporanei, apprezzate e premiate a livello internazionale, siano state equiparate proprio a questi soggetti.

Un compianto di Merillon

Uno dei più celebrati compianti fotografici contemporanei è opera del francese Georges Mérillon (1957), autore, pluripremiato, di importanti reportage realizzati in tutto il mondo. La sua foto più famosa è Veglia funebre in Kosovo, che ha vinto il World Press Photo Award nel 1991. La fotografia ritrae Nasimi Elshani, un ragazzo di 28 anni rimasto ucciso in un’imboscata organizzata dalla polizia serba. Mérillon ha scattato la foto in casa del giovane, dove il cadavere era sdraiato sul pavimento. «Non si sentivano parole o discussioni – ricorda il fotografo – solo grida e lacrime. Rimasi lì solo un minuto poi uscii. Ero commosso dalle grida delle sue donne e dalla presenza di un bambino di tre mesi, il figlio della vittima tra le braccia di sua madre, ai piedi del corpo. La gente ci ha ringraziato per la nostra presenza e ci ha chiesto di dire al mondo quello che avevamo visto».

Georges Mérillon, Veglia funebre in Kosovo, 1991. Fotografia.

Un compianto della Frare

Negli stessi anni, grande scalpore suscitò la riproduzione, su manifesti che riempirono le strade italiane, di un altro drammatico compianto: quello del corpo di David Kirby, vittima dell’Aids, appena deceduto dopo essere stato logorato dalla malattia. La foto originaria era stata scattata dalla fotografa statunitense Thérèse Frare (1958). Pubblicata nel 1990 dalla rivista «Life», aveva vinto in quello stesso anno anche il World Press Photo Award.

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Lo scatto, nel suo toccante realismo, era riuscito a dare un volto umano a una malattia fino ad allora socialmente stigmatizzata. Kirby, che nella foto ha la faccia emaciata e le braccia rinsecchite, ed è circondato dal padre, dalla sorella e dalla nipote, venne subito paragonato a un Cristo morto e l’intera scena a un compianto sotto la croce.

Thérèse Frare, Momento finale, 1990. Fotografia.

L’interpretazione di Toscani

Nel 1992, Oliviero Toscani (1942), uno dei principali e discussi fotografi italiani del XX secolo, scelse proprio questa immagine per una importante campagna di sensibilizzazione sulla piaga dell’Aids: colorò la foto e la usò come pubblicità per la Benetton, una nota azienda di moda. Già dal 1982 Toscani collaborava con Luciano Benetton, usando il veicolo della pubblicità per condurre campagne fotografiche a sfondo sociale, affrontando temi importanti come la droga, la violenza sulle donne, il razzismo, l’intolleranza religiosa, l’alcolismo, la pena di morte, e, appunto, l’Aids. Un genere di pubblicità definito shockvertising: termine che unisce la parola shock, ‘trauma’, e la parola advertising, ‘pubblicità’.

All’epoca, molti si scandalizzarono e accusarono Toscani e Benetton di cinismo. Molti giornali rifiutarono di divulgare l’immagine di Kirby morto. Tuttavia, fu la stessa madre del giovane a prendere le difese della Benetton: «David parla più forte ora che è morto, più di quanto lo faceva in vita». La fotografia, in quanto forma d’arte, secondo Toscani deve raccontare e diffondere la verità. «Non faccio fotografie scioccanti. Alcune persone stupide pensano che siano scioccanti, ma io non lo prendo neanche in considerazione. La definizione esatta potrebbe essere allora “provocatoria”. Quando guardo un film io voglio essere provocato. Quando leggo un libro, io voglio essere provocato ma voglio essere provocato in maniera intelligente, io voglio cambiare il mio modo di pensare. La provocazione è strettamente legata all’arte, quindi se io stimolo provocando, sono felice».

Oliviero Toscani, Campagna pubblicitaria per il Gruppo Benetton, 1992.

La Madonna di Betalha

Se i critici e la gente comune, guardando le foto di Mérillon e della Frare, non hanno avuto difficoltà a paragonare i corpi di due sconosciuti ragazzi a quello di Cristo è perché ancora oggi siamo abituati a leggere la realtà anche attraverso l’arte. Succede, così, che una madre musulmana sia stata chiamata Madonna. Zaourar Hocine (1952), fotografo algerino, ha vinto nel 1997 il World Press Photo of the Year con la sua Madonna di Bentalha. Questa foto, scattata nell’ospedale di Zmirli, immortala una donna algerina che piange il massacro della sua famiglia, avvenuto a Bentalha, un villaggio alla periferia di Algeri, per mano di terroristi islamici, e la trasforma in una icona del dolore.

Zaourar Hocine, Madonna di Bentalha, 1997. Fotografia.

Niccolò dell’Arca Pittori del Quattrocento Terracotta


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