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«Ei ci fu donato dal cielo per dar nuova forma all’architettura»: è con queste parole che Vasari, nelle sue Vite, celebra Filippo Brunelleschi (1377-1446) come il primo architetto classicista dell’età moderna. Filippo, detto Pippo dai suoi contemporanei, era figlio di un notaio; crebbe dunque in una famiglia agiata e ricevette una buona istruzione, che comprese sia lo studio delle lettere sia quello della matematica. Brunelleschi, Ghiberti e il Concorso del 1401.
Assecondando il suo interesse per la pittura e il disegno, il padre lo mise a bottega da un orafo, dove imparò a fondere i metalli e a costruire orologi. Anzi, sembra che Filippo abbia pure inventato una sveglia. In seguito, iniziò una dignitosa carriera da scultore e, a 24 anni, decise di partecipare al concorso per la seconda Porta bronzea del Battistero di Firenze, bandito nel 1401 dall’Arte dei Mercanti (la più potente corporazione fiorentina). Fra gli altri sei concorrenti spiccava un giovane e promettente scultore, Lorenzo Ghiberti (1378-1455), che sarebbe poi risultato vincitore e con il quale Filippo si sarebbe scontrato per il resto della vita.
La commissione, composta da 34 membri, stabilì che l’impianto generale dell’opera avrebbe dovuto riprendere il modello della Prima porta del Battistero, realizzata da Andrea Pisano fra il 1330 e il 1336; per questo motivo ai concorrenti fu richiesto di presentare un bassorilievo in bronzo racchiuso in una formella a cornice quadriloba mistilinea.
Il soggetto della prova era il Sacrificio di Isacco, tratto dall’Antico Testamento (Genesi 22, 1-18), dove si narra che, un giorno, Dio decise di mettere alla prova la fedeltà di Abramo e gli ordinò di sacrificargli il figlio Isacco. Abramo ubbidì ma, proprio quando stava per uccidere il ragazzo, fu fermato da un angelo; in segno di ringraziamento, egli poi sacrificò un montone al posto del figlio. Brunelleschi, Ghiberti e il Concorso del 1401.
Le fonti letterarie che riferiscono del concorso sono purtroppo di parte, trattandosi dei Commentari dello stesso Ghiberti e della Vita di Filippo di ser Brunellesco di Antonio Tucci Manetti (1423-1497), allievo e fedele biografo di Brunelleschi. Ghiberti sostiene di essere stato proclamato vincitore all’unanimità; Manetti, invece, afferma che i commissari non raggiunsero un giudizio concorde ed elessero vincitori ex equo Ghiberti e Brunelleschi, affidando poi ad entrambi l’esecuzione della porta. Brunelleschi, però, si oppose a questa decisione compromissoria, reputandola priva di senso, e preferì rinunciare all’incarico piuttosto che collaborare con il collega. Forse non sapremo mai come andarono veramente le cose. Resta il fatto che l’incarico fu assegnato al solo Ghiberti nel 1403.
Per fortuna, le prove di Ghiberti e di Brunelleschi si sono conservate: è dunque possibile confrontarle. Evidenti sono le analogie, perché l’iconografia di questo episodio biblico era da tempo codificata. Sono presenti gli stessi personaggi, ossia il giovane Isacco nudo sull’altare, il padre Abramo, che si accinge ad ucciderlo, l’angelo inviato da Dio per fermarlo, i due accompagnatori di Abramo con l’asino. In entrambe compaiono inoltre le rocce che indicano la natura montuosa del luogo e il montone con le corna impigliate in un cespuglio. Gli artisti usarono tuttavia in modo profondamente diverso gli elementi iconografici a loro disposizione.
Nella formella di Ghiberti, personaggi e paesaggio sono inseriti in un quadrato ideale, perfettamente contenuto dalla cornice. Uno sperone roccioso taglia verticalmente la scena e divide Abramo e Isacco dai servi che conversano tranquilli accanto all’asino. Abramo è come sospeso, con il braccio destro levato in una posa elegante, e sembra quasi aspettare l’angelo che arriva volando da destra. Isacco, d’altro canto, pare accettare con eroica consapevolezza quel sacrificio innaturale e, ostentando il suo corpo efebico da statuaria classica, sfida il padre a colpirlo. Persino il montone, in cima alla cresta rocciosa, è placidamente seduto, contribuendo al clima generale di serena e distaccata contemplazione. Brunelleschi, Ghiberti e il Concorso del 1401.
Ghiberti ha certamente voluto proporre un’opera rassicurante nei contenuti, indiscutibilmente raffinata, tecnicamente ineccepibile e astutamente capace di accontentare tutti, i sostenitori della tradizione e i giurati più aggiornati alla nuova cultura umanistica.
Nella sua opera sono pienamente “classici” sia la decorazione dell’altare sia il corpo di Isacco – ispirato probabilmente a un Torso di fauno oggi conservato agli Uffizi – mentre il costume di Abramo, la grazia dei gesti, il gusto della linea ondulata, il piacere dell’effetto decorativo, la ricerca di preziosità rispondono ancora del tutto ai princìpi dell’estetica tardogotica. Inoltre (ed è questo un aspetto da non sottovalutare), con impeccabile padronanza tecnica Ghiberti riuscì a fondere l’intera formella in un solo blocco.
Nella formella di Brunelleschi, invece, un asse orizzontale, posto all’altezza dell’altare, divide la scena in due: Abramo e Isacco sono collocati in alto e i servi con l’asino in basso. Abramo, piegato in avanti e con atteggiamento aggressivo, punta il coltello sul figlio e solleva il mento del ragazzo con il pollice della mano sinistra, pronto ad affondare la lama. Isacco, tuttavia, non ha intenzione alcuna di farsi uccidere e tenta di ribellarsi. L’angelo ha giusto il tempo di sbucare da sinistra e fermare, con un gesto deciso, la mano omicida del vecchio padre. Anche il montone, inquieto, solleva la zampa posteriore destra, nel vano tentativo di liberare le sue corna impigliate nel cespuglio. Brunelleschi, Ghiberti e il Concorso del 1401.
Allo stesso modo di Ghiberti, Brunelleschi guarda all’arte classica: la figura del servo che si toglie una spina dal piede è l’esplicita citazione di una nota scultura ellenistica, il cosiddetto Spinario conservato agli Uffizi.
Ma è chiaro che la sua ricerca punta più in alto. Nella sua opera, egli vuole assegnare all’uomo un ruolo e una dignità che sembravano perduti, riportandolo al centro dell’interesse artistico. Se Ghiberti raffigura l’episodio con pacata compostezza, Filippo rappresenta un dramma agitato, un esempio di fede insieme obbediente e disperato, dando un’interpretazione molto profonda di un episodio biblico duro, per certi versi difficile da comprendere, ossia il sacrificio di un figlio.
Nella formella di Brunelleschi, sull’altare del sacrificio, si intravede una scena figurata. Osservando da vicino riconosciamo una figura di uomo anziano in piedi, un ragazzo inginocchiato al centro e una donna seduta a destra.
Quest’ultima, con tutta evidenza, è la Madonna. Gli altri due parrebbero essere, nuovamente, Abramo e Isacco. Qual è il significato di questo particolare, quasi invisibile a un primo sguardo? Tradizionalmente, c’è una corrispondenza tra la figura di Isacco e quella di Cristo, entrambe vittime sacrificali. La scena è dunque una prefigurazione del sacrificio di Gesù che Abramo “annuncia” idealmente a Maria.
Il vecchio profeta porge alla Madonna un ramo, che simboleggia la posterità: infatti il Cristo discende, secondo il Vangelo di Matteo, proprio dalla sua stirpe. Ecco perché il mantello del patriarca, nella scena principale della formella, “abbraccia” l’arbusto alle sue spalle: non è un errore prospettico di Brunelleschi, come si è a lungo creduto, ma un dettaglio dal profondo significato simbolico che collega l’Antico al Nuovo Testamento.