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Negli anni Venti del XX secolo, mentre l’industria americana di Hollywood produceva film destinati al grande pubblico, in Europa alcuni registi, talvolta provenienti dalle fila delle avanguardie artistiche, scelsero di sviluppare una cinematografia di autore con film sperimentali e dai contenuti impegnati. La corazzata Potëmkin
Per esempio, in Russia, nel 1925, il regista Sergej Ėjzenštejn (1898-1948), girò La corazzata Potëmkin, una delle opere più note e influenti del cinema novecentesco.
La storia è ambientata nel 1905 e si basa su eventi storici che provocarono la Rivoluzione russa. Protagonisti del film sono i membri dell’equipaggio della corazzata Potëmkin che, obbligati dai superiori a mangiare carne avariata, si ammutinano. Nel porto di Odessa, i marinai incitano alla rivolta la popolazione ma la severa polizia zarista spara sulla folla massacrando i cittadini inermi, tra cui donne e bambini.
Epica è proprio la scena della strage, che si svolge su una lunga scalinata, con alcune sequenze scioccanti – la morte di una madre, gli occhiali di una donna anziana urlante frantumati da una sciabolata, la carrozzina con un neonato che rotola giù dalle scale – divenute memorabili al punto da influenzare, negli anni successivi, artisti come Francis Bacon.
I marinai delle navi zariste, inviati a bombardare la Potëmkin, si rifiutano di aprire il fuoco contro i loro compagni e danno inizio alla Rivoluzione.
Ugo Fantozzi è un personaggio letterario e cinematografico inventato e interpretato dallo scrittore e attore Paolo Villaggio (1932-2017). Il libro Fantozzi, pubblicato da Villaggio nel ‘71, e Il secondo tragico libro di Fantozzi, del ‘75, ebbero un clamoroso successo internazionale; da questi, il regista Luciano Salce (1922-1989) trasse i primi due film di quella che sarebbe poi diventata una vera e propria saga cinematografica (con esiti, negli anni, artisticamente non sempre felici): Fantozzi nel 1975 e Il secondo tragico Fantozzi nel 1976. Fantozzi incarna magistralmente la figura letteraria dell’inetto, vittima della prepotenza degli altri, incapace di ribellarsi, rassegnato a vivere con una moglie scialba e sciatta (definita dall’autore “un curioso animale domestico”) e una figlia di inusitata bruttezza, vanamente innamorato di una fatua e cinica collega, la Signorina Silvani. Tutti i personaggi appartengono a una piccola borghesia di bassa cultura, parlano un italiano grossolanamente sgrammaticato al punto da apparire surreale (memorabili i congiuntivi “batti”, “dichi”, “facci”, “venghi”) e incarnano l’archetipo dell’italiano medio degli anni Settanta.
Nel film Il secondo tragico Fantozzi, il potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli, fanatico cultore del cinema d’arte, una volta a settimana obbliga dipendenti e famiglie a «terrificanti visioni dei classici del cinema». La sera di un’importante partita di calcio, quando Fantozzi era pronto a godersi il suo sport preferito («Fantozzi aveva un programma formidabile: calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle per la quale andava pazzo, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero»), vengono tutti convocati per l’ennesima visione de La corazzata Kotiomkin (titolo parodiato de La corazzata Potëmkin). Al termine della proiezione, Fantozzi, esasperato, prende la parola: «Per me… La corazzata Kotiomkin… è una cagata pazzesca!». Seguono, racconta la voce fuori campo, novantadue minuti di applausi; gli impiegati, ammutinatisi come i marinai del film russo, prendono in ostaggio il direttore, distruggono davanti ai suoi occhi la pellicola e lo obbligano a vedere per due giorni e due notti consecutive Giovannona coscialunga, L’esorciccio e La polizia s’incazza, prototipi di b-movie anni Settanta. «Fino a che, all’alba del terzo giorno, la polizia si incazzò davvero», disperdendoli con i gas lacrimogeni. «Per compensare, in parte, il professor Riccardelli della perdita irreparabile della sua preziosissima pellicola, gli ammutinati furono condannati a una punizione orrenda da girone dantesco: dovevano far rivivere almeno la sequenza principale del capolavoro distrutto, tutti i sabati pomeriggio, fino all’età pensionabile». Segue una grottesca parodia della celebre scena della scalinata, con particolare attenzione all’inquadratura de “l’occhio della madre” e della carrozzella che precipita dalle scale, con Fantozzi dentro al posto del neonato.
L’irriverente e scanzonato episodio creato da Villaggio e la celebre battuta cult di Fantozzi identificano il rifiuto, da parte del popolo, di una cultura “alta” che una intellighenzia intellettuale e snob pretenderebbe di imporre. Il film La corazzata Potëmkin è diventato, suo malgrado, il simbolo di ogni forma d’arte impegnata e, come tale, spesso percepita difficile, noiosa, perfino incomprensibile, tanto più odiosa agli occhi del grande pubblico quanto più ostentatamente apprezzata da chi si vanta, talvolta mentendo, di capirla e amarla, solo per apparire socialmente e culturalmente adeguato. Una sorte, questa, toccata a tanta arte del Novecento, soprattutto contemporanea. Laddove, è utile ricordarlo, La corazzata Potëmkin è invece un capolavoro. La critica di Villaggio, d’altro canto, non è rivolta al film in sé o all’arte che esso rappresenta, quanto piuttosto all’atteggiamento supponente di una certa élite intellettuale che usa l’arte come strumento per rivendicare una propria, presunta superiorità.