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Il Cristo morto di Mantegna
La prospettiva applicata al corpo umano.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età rinascimentale: il Quattrocento – Data: Aprile 11, 2020 9 commenti 6 minuti
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Ritenuta una delle opere più suggestive dell’intero Rinascimento, il Cristo morto venne dipinto dal grande pittore Andrea Mantegna (1431-1506) intorno al 1480, probabilmente per la sua cappella funeraria. Venne infatti trovato dai figli dell’artista nella sua bottega, dopo la morte del maestro, e venduto al cardinale Sigismondo Gonzaga per pagare alcuni debiti. Dopo essere passato (secondo una ricostruzione) per le collezioni del re d’Inghilterra Carlo I, poi del cardinale Mazzarino in Francia e infine per il mercato antiquario, il quadro fu donato nel 1824 alla Pinacoteca di Brera, dove si trova ancora oggi.

Andrea Mantegna, Cristo morto, 1480. Tempera su tela, 68 x 81 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.

Una iconografia inedita

La tela rappresenta il cadavere di Cristo, coperto in parte dal sudario, steso su una lastra di pietra rossastra venata di bianco e con la testa appoggiata su un cuscino. Il punto di vista scelto dall’artista, leggermente rialzato rispetto al piano su cui giace il corpo esamine, ci mostra i piedi di Gesù in primissimo piano, caso unico nella storia della pittura quattrocentesca. La scena si svolge in un ambiente chiuso e buio, probabilmente il sepolcro. A destra si nota un vaso, destinato a contenere l’unguento usato, secondo i Vangeli, per ungere il corpo di Gesù prima della sepoltura.

Andrea Mantegna, Cristo morto, 1480. Particolare con il sudario.
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Andrea Mantegna, Cristo morto, 1480. Particolare con il vaso di unguento.

La lastra di pietra rossa andrebbe dunque identificata con la cosiddetta “pietra dell’unzione”, una preziosa reliquia che, sino al XII secolo, si trovava nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme e che, trasportata a Costantinopoli, andò in seguito smarrita. Sempre a destra, si scorge appena un tratto di pavimento e una porta che introduce in un’altra stanza buia. Le ferite delle mani e dei piedi di Cristo, con la pelle sollevata e la carne viva a vista, sono intenzionalmente esibite e rappresentate con il realismo degno del più abile artista fiammingo.

Andrea Mantegna, Cristo morto, 1480. Particolare con i piedi.
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Andrea Mantegna, Cristo morto, 1480. Particolari con le mani.

Accanto al morto, sulla sinistra, si scorgono i volti della Madonna piangente che si asciuga gli occhi con un fazzoletto e, in primo piano, san Giovanni; la figura sul fondo, seminascosta, è certamente la Maddalena. Anche in questo caso il Mantegna, per esaltare gli aspetti drammatici dell’episodio, insiste nella definizione quasi impietosa dei particolari, soffermandosi sulle rughe della madre anziana, sugli occhi gonfi e rossi, sulle bocche contratte dal dolore o deformate dalle smorfie del pianto.

Andrea Mantegna, Cristo morto, 1480. Particolare con Giovanni, Maria e la Maddalena.

Il dipinto di Brera è il logico traguardo di una serie di esperimenti condotti dall’artista sui corpi visti in scorcio, che vedono un importante precedente nei putti del finto oculo aperto sulla volta della Camera degli Sposi. Occorre osservare che, nonostante a prima vista lo scorcio del corpo appaia prodigioso, Mantegna non volle applicare correttamente le regole della prospettiva. Le figure di profilo inginocchiate sono infatti rappresentate come se fossero viste dalla loro altezza, e presuppongono un orizzonte molto basso. Il corpo di Gesù, invece, presenta un punto di osservazione più alto, che si trova fuori dai margini del dipinto.

Se Mantegna avesse mantenuto anche per il Cristo un punto di vista da ripresa fotografica, i suoi piedi sarebbero apparsi molto più grandi, la testa molto più piccola, il corpo ancora più corto, con le sue parti anatomiche quasi irriconoscibili. Un’applicazione rigorosa della prospettiva albertiana avrebbe dunque comportato una deformazione dell’immagine così accentuata da compromettere la leggibilità dell’opera.

Il Cristo morto a Brera. Allestimento curato dal regista cinematografico Ermanno Olmi nel 2013.

Il capolavoro di Mantegna non ebbe un successo immediato: troppo esplicito e radicale il suo realismo, troppo accentuato il pathos che lo pervade. Soprattutto, l’audacissimo scorcio del Cristo impedisce di contemplarne il corpo con le sue esatte proporzioni e questo infastidì non poco i sostenitori del classicismo. Vasari definì questo suo scorciare i corpi dal basso una «invenzione difficile e capricciosa». Fu notevole, invece, l’influenza che il Cristo morto ebbe su alcuni artisti del Cinquecento e soprattutto sui grandi maestri del XVII secolo.

Sodoma, Compianto sul Cristo morto, 1503 circa. Olio su tela. Milano, Collezione privata.
Lelio Orsi, Cristo morto tra la Carità e la Giustizia, 1570-1579 circa. Olio su tela, 48 x 39,5 cm. Modena, Galleria Estense.
Annibale Carracci, Cristo morto e strumenti della Passione, 1583-1585. Olio su tela, 70,7 x 88,8 cm. Stoccarda, Staatsgalerie Stuttgart.
Orazio Borgianni, Compianto sul Cristo morto, 1615 circa. Olio su tela, 55 x 77 cm. Roma, Galleria Spada.

La sua fortuna iconografica si mantenne invariata nel tempo, tanto che perfino certe immagini fotografiche di cadaveri celebri, tra cui quello di Che Guevara, rimandano immediatamente all’opera di Mantegna.

Il cadavere di Che Guevara fotografato da Freddy Alborta, 1967.

Alcuni registi cinematografici hanno deliberatamente citato Mantegna in alcune loro scene. Tra questi, Pier Paolo Pasolini nel suo capolavoro Mamma Roma del 1962, interpretato da una magnifica Anna Magnani, il cui figlio muore tragicamente, legato ad un letto di costrizione nel carcere romano di Regina Coeli. Nella scena di Pasolini il ragazzo è mostrato nella solitudine e nell’abbandono, senza i dolenti al suo fianco: ma la scena finale del film, in cui la madre apprende della morte del figlio e si dispera, è in sé stessa un compianto paragonabile a qualunque capolavoro rinascimentale.

Un fotogramma dal film Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, 1962.
Scena finale dal film Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, 1962.
Un fotogramma dal film Il bacio di Giuda di Paolo Benvenuti, 1988.
Un fotogramma dal film Il ritorno di Andrej Zvjagincev, 2003, vincitore del Leone d’oro alla 60ª Mostra Cinematografica di Venezia.

Andrea Mantegna Pinacoteca di Brera Pittori del Quattrocento Tempera


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  1. Molto interessanti le spiegazioni sia tecniche che storiche. Grazie. Devo dire che ho un particolare rapporto emozionale con questo dipinto che ho visto sia a Brera che alla mostra sul Mantegna. Trovarlo proprio oggi su fb mi ha commosso.

  2. Accurata ed esaustiva spiegazione.
    Io sono un pittore ed ho sempre molto stimato l’opera del Mantegna.
    Il particolare realistico dei piedi in primo piano, poi, sono un’anticipazione di un motivo che introdurrà magistralmente anche Caraggio.
    Vanno tuttavia citati: Tintoretto col suo “Ritrovamento del corpo di San Marco” e Rembrat che utilizzò lo stesso scorcio nella sua: “Lezione di Anatomia del Dottor. Deyman.”
    Inoltre, il fatto che lui ( Mantegna) andasse al di là della mera rappresentazione prospettica del corpo di Cristo, poiché la sua opera sarebbe parsa poco espressiva, poco adatta a far passare il proprio messaggio, ne fa ancor di più un creativo, un artsta di grande valore. Seppe, in breve, piegare l’innovativa tecnica rappresentativa alla propria poetica. Tutto questo ed altro ancora ne fanno un prodigio di bellezza.
    Perciò, complimenti per la lezione.

  3. Anni fa, al liceo, associai la foto di Che Guevara al dipinto del Mantegna, scrivendo: “sacrumfacere” (rendere sacro) erano i tempi belli del 68 più o meno….

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