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Ritenuta una delle opere più suggestive dell’intero Rinascimento, il Cristo morto venne dipinto dal grande pittore Andrea Mantegna (1431-1506) intorno al 1480, probabilmente per la sua cappella funeraria. Venne infatti trovato dai figli dell’artista nella sua bottega, dopo la morte del maestro, e venduto al cardinale Sigismondo Gonzaga per pagare alcuni debiti. Dopo essere passato (secondo una ricostruzione) per le collezioni del re d’Inghilterra Carlo I, poi del cardinale Mazzarino in Francia e infine per il mercato antiquario, il quadro fu donato nel 1824 alla Pinacoteca di Brera, dove si trova ancora oggi.
La tela rappresenta il cadavere di Cristo, coperto in parte dal sudario, steso su una lastra di pietra rossastra venata di bianco e con la testa appoggiata su un cuscino. Il punto di vista scelto dall’artista, leggermente rialzato rispetto al piano su cui giace il corpo esamine, ci mostra i piedi di Gesù in primissimo piano, caso unico nella storia della pittura quattrocentesca. La scena si svolge in un ambiente chiuso e buio, probabilmente il sepolcro. A destra si nota un vaso, destinato a contenere l’unguento usato, secondo i Vangeli, per ungere il corpo di Gesù prima della sepoltura.
La lastra di pietra rossa andrebbe dunque identificata con la cosiddetta “pietra dell’unzione”, una preziosa reliquia che, sino al XII secolo, si trovava nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme e che, trasportata a Costantinopoli, andò in seguito smarrita. Sempre a destra, si scorge appena un tratto di pavimento e una porta che introduce in un’altra stanza buia. Le ferite delle mani e dei piedi di Cristo, con la pelle sollevata e la carne viva a vista, sono intenzionalmente esibite e rappresentate con il realismo degno del più abile artista fiammingo.
Accanto al morto, sulla sinistra, si scorgono i volti della Madonna piangente che si asciuga gli occhi con un fazzoletto e, in primo piano, san Giovanni; la figura sul fondo, seminascosta, è certamente la Maddalena. Anche in questo caso il Mantegna, per esaltare gli aspetti drammatici dell’episodio, insiste nella definizione quasi impietosa dei particolari, soffermandosi sulle rughe della madre anziana, sugli occhi gonfi e rossi, sulle bocche contratte dal dolore o deformate dalle smorfie del pianto.
Il dipinto di Brera è il logico traguardo di una serie di esperimenti condotti dall’artista sui corpi visti in scorcio, che vedono un importante precedente nei putti del finto oculo aperto sulla volta della Camera degli Sposi. Occorre osservare che, nonostante a prima vista lo scorcio del corpo appaia prodigioso, Mantegna non volle applicare correttamente le regole della prospettiva. Le figure di profilo inginocchiate sono infatti rappresentate come se fossero viste dalla loro altezza, e presuppongono un orizzonte molto basso. Il corpo di Gesù, invece, presenta un punto di osservazione più alto, che si trova fuori dai margini del dipinto.
Se Mantegna avesse mantenuto anche per il Cristo un punto di vista da ripresa fotografica, i suoi piedi sarebbero apparsi molto più grandi, la testa molto più piccola, il corpo ancora più corto, con le sue parti anatomiche quasi irriconoscibili. Un’applicazione rigorosa della prospettiva albertiana avrebbe dunque comportato una deformazione dell’immagine così accentuata da compromettere la leggibilità dell’opera.
Il capolavoro di Mantegna non ebbe un successo immediato: troppo esplicito e radicale il suo realismo, troppo accentuato il pathos che lo pervade. Soprattutto, l’audacissimo scorcio del Cristo impedisce di contemplarne il corpo con le sue esatte proporzioni e questo infastidì non poco i sostenitori del classicismo. Vasari definì questo suo scorciare i corpi dal basso una «invenzione difficile e capricciosa». Fu notevole, invece, l’influenza che il Cristo morto ebbe su alcuni artisti del Cinquecento e soprattutto sui grandi maestri del XVII secolo.
La sua fortuna iconografica si mantenne invariata nel tempo, tanto che perfino certe immagini fotografiche di cadaveri celebri, tra cui quello di Che Guevara, rimandano immediatamente all’opera di Mantegna.
Alcuni registi cinematografici hanno deliberatamente citato Mantegna in alcune loro scene. Tra questi, Pier Paolo Pasolini nel suo capolavoro Mamma Roma del 1962, interpretato da una magnifica Anna Magnani, il cui figlio muore tragicamente, legato ad un letto di costrizione nel carcere romano di Regina Coeli. Nella scena di Pasolini il ragazzo è mostrato nella solitudine e nell’abbandono, senza i dolenti al suo fianco: ma la scena finale del film, in cui la madre apprende della morte del figlio e si dispera, è in sé stessa un compianto paragonabile a qualunque capolavoro rinascimentale.
Andrea Mantegna Pinacoteca di Brera Pittori del Quattrocento Tempera
Lettura esauriente e affascinante
Grazie, sono contento che lei apprezzi il mio lavoro!
Solo voi avete l’intelligenza per ricostruire così chiaramente la declinazione in varie forme di un modello così singolare in poche righe di articolo. Che dire… bravi!
Grazie, sono davvero molto grato per questo suo complimento!
Molto interessanti le spiegazioni sia tecniche che storiche. Grazie. Devo dire che ho un particolare rapporto emozionale con questo dipinto che ho visto sia a Brera che alla mostra sul Mantegna. Trovarlo proprio oggi su fb mi ha commosso.
Accurata ed esaustiva spiegazione.
Io sono un pittore ed ho sempre molto stimato l’opera del Mantegna.
Il particolare realistico dei piedi in primo piano, poi, sono un’anticipazione di un motivo che introdurrà magistralmente anche Caraggio.
Vanno tuttavia citati: Tintoretto col suo “Ritrovamento del corpo di San Marco” e Rembrat che utilizzò lo stesso scorcio nella sua: “Lezione di Anatomia del Dottor. Deyman.”
Inoltre, il fatto che lui ( Mantegna) andasse al di là della mera rappresentazione prospettica del corpo di Cristo, poiché la sua opera sarebbe parsa poco espressiva, poco adatta a far passare il proprio messaggio, ne fa ancor di più un creativo, un artsta di grande valore. Seppe, in breve, piegare l’innovativa tecnica rappresentativa alla propria poetica. Tutto questo ed altro ancora ne fanno un prodigio di bellezza.
Perciò, complimenti per la lezione.
Grazie per l’apprezzamento. Non ho ritenuto opportuno citare Tintoretto e Rembrandt, che peraltro hanno operato molto dopo, data la natura dell’articolo.
Anni fa, al liceo, associai la foto di Che Guevara al dipinto del Mantegna, scrivendo: “sacrumfacere” (rendere sacro) erano i tempi belli del 68 più o meno….
Grazie