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La figura di Gesù appeso sulla croce comparve per la prima volta nel V secolo, ai tempi di papa Sisto III, sulla porta lignea della Chiesa di Santa Sabina a Roma, affermandosi rapidamente sia nelle pitture murali d’Occidente sia in area bizantina. Fu in Toscana che, a partire dal XII secolo, si diffuse l’uso di far pendere nelle chiese, sull’altare del presbiterio, una croce di legno dipinta, che permetteva ai fedeli di stabilire un contatto privilegiato con la divinità. A quell’epoca, la forma dei crocifissi lignei dipinti era piuttosto complessa, perché alla croce vera e propria erano innestati piccoli pannelli rettangolari che presentavano altre figure legate alla Passione di Gesù. Crocifissi gotici
Nella parte in basso del palo verticale si trovava il piede o soppedaneo (ma anche “piè di croce”); ai lati del palo c’erano gli scomparti (con le figure della Vergine e di san Giovanni Evangelista e scene della Passione); in cima, la cimasa (che talvolta accoglieva la figura di Dio Padre o di Cristo risorto); infine, alle due estremità del braccio orizzontale, i terminali o capicroce (che potevano ospitare i simboli degli Evangelisti o altre figure sacre).
Nei crocifissi del XII secolo, Gesù è mostrato in posa rigida e frontale, con i piedi affiancati (i chiodi sono infatti quattro, uno per arto) e con gli occhi ben aperti, secondo l’iconografia del Christus Triumphans, cioè trionfante sulla morte, derivata da avori di epoca carolingia e assai diffusa nell’area centro-italiana. La regalità del Redentore, mostrato eretto e ancora vivo, non è intaccata dai segni del dolore e delle sevizie subìte.
L’esempio più antico tra quelli che si sono conservati è il Crocifisso del Maestro Guglielmo, artista attivo a Pisa nel XII secolo. L’opera (in gran parte ridipinta all’inizio del XIV secolo) fu realizzata su tavola sagomata in legno di castagno e risale al 1138. Gli occhi di Gesù sono aperti; la testa, sollevata, è priva di corona di spine e circondata da un’aureola gemmata.
Le braccia di Cristo non sostengono il peso del corpo e sono parallele al suolo. Il capocroce sinistro ospita il volto del profeta Geremia e i simboli degli evangelisti Matteo e Marco (l’angelo e il leone). Il capocroce destro ospita il volto del profeta Isaia e i simboli degli evangelisti Giovanni e Luca (l’aquila e il bue). Il corpo di Gesù è mostrato privo di ferite, fatta eccezione per la piaga del costato (che, tuttavia, sappiamo essere stata provocata solo dopo la morte di Cristo e non mentre era ancora in vita). Nello scomparto laterale sinistro è presentata Maria addolorata, vestita di rosso con un manto blu.
La Vergine indica con la mano il Figlio, secondo l’iconografia bizantina della Madonna Odigitria, “Colei che indica la strada”. Lo scomparto laterale destro ospita, invece, san Giovanni Evangelista accompagnato da una pia donna, probabilmente la Maddalena. Sotto la Madonna si trovano tre episodi della Passione: Bacio di Giuda, Flagellazione e Negazione di Pietro, Pie donne al sepolcro. Sotto Giovanni si trovano altri tre episodi della Passione: Salita al Calvario, Deposizione dalla croce, Deposizione nel sepolcro. Nella cimasa è raffigurata la scena dell’Ascensione. In alto, Cristo appare all’interno di una mandorla di luce; in basso, la Madonna e gli apostoli pregano con le braccia aperte. Nello spazio sottostante è riportato il titulus crucis in latino: Iesus Nazarenus Rex Iudeorum.
Dai primi del Duecento, al Christus Triumphans si sostituì il nuovo tipo del Christus Patiens (dal latino patiens-entis, participio presente di pati, che significa sia «soffrire» sia «sopportare»): dunque “paziente”, in quanto soffre e anche perché accetta il suo sacrificio. Questa nuova immagine del Redentore, più concreta e più occidentale, ha certamente la capacità, e la finalità, di sollecitare nel fedele un sentimento di dolente partecipazione. E senza dubbio non fu estranea all’affermazione di questa iconografia la crescente diffusione del pensiero francescano, fondato sull’umana immedesimazione di san Francesco con la Passione di Cristo. Crocifissi gotici
Nel Crocifisso di San Gimignano di Coppo di Marcovaldo, databile al 1264, Cristo è mostrato con gli occhi chiusi e la testa lievemente reclinata. In quest’opera, il pittore (di cui abbiamo poche notizie biografiche, comprese tra il 1260 e il 1276) scelse di non allontanarsi troppo dalla tradizione. Altri artisti, invece, preferirono raffigurare il Christus Patiens in maniera più intensamente espressiva, con il corpo inarcato verso la sua destra nello spasimo della sofferenza, gli occhi serrati, il capo reclinato sulla spalla destra, il fianco squarciato con un fiotto di sangue che sgorga dalla ferita. Tra questi, soprattutto, Giunta Pisano. Crocifissi gotici
L’affermazione del Christus Patiens si deve infatti a Giunta Capitini, detto Giunta Pisano, il più autorevole pittore di metà Duecento. Originario di Pisa, non ha lasciato molte notizie della propria biografia; la sua attività, accertata tra il 1229 e il 1254, si divise tra l’Umbria e la Toscana. Sappiamo che nel 1236 Giunta si trovava ad Assisi, dove dipinse un crocifisso per la Basilica di San Francesco, poi andato perduto. Gli sono state attribuite con certezza altre tre croci: il Crocifisso di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, il Crocifisso di San Ranierino a Pisa e il Crocifisso di San Domenico a Bologna.
In quest’ultimo, databile al 1254, Pisano elaborò un’immagine drammatica e ideale del Cristo agonizzante. Il corpo è teso nel dolore della morte e disegna col busto una lieve curva. La plasticità dell’anatomia è ottenuta attraverso convenzioni grafiche; i disegni dell’addome, del torace, delle fasce muscolari delle braccia e delle gambe, rafforzati lungo i contorni, sono intensamente chiaroscurati. I muscoli addominali, in particolare, presentano la tipica soluzione figurativa “tripartita”, ossia divisa in tre parti. Il volto del Redentore è inclinato sulla spalla destra, gli occhi sono chiusi, la bocca tesa in una smorfia di dolore.
Si noti come, per dare maggiore risalto alla figura del Cristo, Giunta scelse di lasciare liberi da immagini gli scomparti e di trasferire nei due capicroce le figure della Vergine e di san Giovanni dolenti. A sinistra, la Vergine porta una mano al volto mentre con la destra indica il Figlio. A destra, san Giovanni Evangelista tiene in mano il suo Vangelo. La cimasa, che riporta il titulus crucis, era un tempo conclusa da un tondo, oggi perduto.
I crocifissi di Giunta Pisano avrebbero fatto da modello ai capolavori di Cimabue, celebrato pittore duecentesco nonché maestro di Giotto.
Giunta Pisano Il Duecento e Cimabue Maestro Guglielmo Tempera
Grazie!
Mi fa molto piacere che l’articolo sia di Suo gradimento.
buongiorno e complimenti!
Mi permetto di suggerire un’ipotesi di lavoro; perché’ non pubblica un libro afferente i crocifissi medioevali?
Questo libro, oltre ad avere successo, coprirà un vuoto presente nella storia dell’arte italiana.
Grazie per il suo apprezzamento. Certamente è un progetto interessante che non mancherò di valutare. Tuttavia nelle mie diverse storie dell’arte ho ampiamente trattato questo argomento, insieme a tutti gli altri. Può vedere l’elenco delle mie pubblicazioni seguendo il link http://www.artesvelata.it/pubblicazioni-giuseppe-nifosi/ Nel caso avesse altri suggerimenti mi faccia sapere. Grazie ancora
Stupendo articolo, grazie