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Crocifissioni contemporanee (seconda parte): da Tintoretto a Vedova e Burri
Gli artisti dell’Informale e il tema del sacro.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Novecento: gli anni Cinquanta e Sessanta – Data: Marzo 14, 2021 0 commenti 8 minuti
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Il veneziano Jacopo Robusti (1518-1594), conosciuto come Tintoretto, poiché il padre era appunto un tintore, fu uno dei più importanti pittori del Rinascimento veneto. Elaborò un linguaggio pittorico ad effetto, capace di attrarre l’attenzione del pubblico. Con grande inventiva, organizzò le sue grandi tele come palcoscenici teatrali, disponendo i personaggi lungo prospettive diagonali esasperate e bilanciando le luci con esiti di alta drammaticità. Vasari, che pure lo accusò di essere un cattivo disegnatore e di portare a termine le opere con troppa impazienza, lo definì «il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura», con l’intento di sottolinearne l’originalità. Crocifissioni contemporanee: da Tintoretto a Vedova e Burri.

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La Crocifissione del Tintoretto

Nella sua monumentale Crocifissione, dipinta fra il 1564 e il 1565, Tintoretto concepì un Cristo, magnificamente isolato e circonfuso di luce, crocifisso al centro di un terrapieno quadrato, una sorta di palcoscenico all’aperto posto di sbieco. La sua figura si pone come il fulcro di una scena grandiosa e spettacolare, quasi una rappresentazione teatrale della Passione, intensa e drammatica, rischiarata da una luce visionaria e animata da una folla di personaggi dolenti. Tutto ruota attorno a lui, tutto converge verso di lui. Mentre Gesù è stato già crocifisso, a sinistra un gruppo di soldati è intento a sollevare con delle funi la croce di uno dei due ladroni; a destra, invece, un secondo gruppo scava per preparare il foro che dovrà sostenere la terza croce. Al centro, la Madonna svenuta viene soccorsa da Giovanni, che tuttavia non perde di vista il Maestro, e dalle pie donne.

Tintoretto, Crocifissione, 1564-65. Olio su tela, 5,35 x 2,24 m. Venezia, Scuola di San Rocco.

La Crocifissione (da Tintoretto) di Vedova

Il Novecento è stato un secolo laico e così la sua arte, che raramente e solo in circostanze molto particolari si è spinta alla rappresentazione del sacro. In verità, già nel XIX secolo, vuoi anche per la perdita di potere (spirituale e temporale) e il calo di prestigio della Chiesa di Roma, le opere d’arte sacra si erano radicalmente ridotte di numero. Le Avanguardie ignorarono il tema del sacro. D’altro canto, gli orrori di due guerre mondiali avevano alimentato un pessimismo esistenzialista in cui Dio e la speranza trovarono poco spazio. Ciò non vuol dire che il Novecento avesse rigettato in toto la dimensione spirituale dell’esistenza, anzi: ma l’Infinito cui l’uomo continuò ad aspirare non ebbe più il volto di Cristo. Non mancarono le eccezioni.

Emilio Vedova, Crocifissione (da Tintoretto), 1942. Olio su tela, 81 x 65 cm. Firenze, Museo del Novecento.

Nel 1942, in piena seconda guerra mondiale, un giovane pittore italiano, Emilio Vedova (1919-2006), formatosi sulla pittura dell’Espressionismo europeo e da poco entrato a Milano nel gruppo Corrente (di marcata matrice antifascista), scelse di affrontare il tema della Passione di Cristo. La sua Crocifissione (da Tintoretto), come specifica il titolo, è tratta da quella del pittore cinquecentesco. Vedova era veneziano e quindi conosceva molto bene Tintoretto. Egli era attratto dalla foga esecutiva del maestro rinascimentale, dalla forza e dall’impeto dinamico della sua pittura, dalla sua sconvolta spazialità, piena di ombre squarciate dalla luce, di pause interrotte da movimenti esplosivi; una pittura che giudicava modernissima e, soprattutto, che riconosceva molto affine alla sua indole.

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La rivisitazione della Crocifissione

La rivisitazione della Crocifissione di Tintoretto non è fedele all’originale, ma Vedova non aveva questo obiettivo; a lui interessava solo carpire e trasmettere l’energia guizzante che, nel grande telero del XVI secolo, anima la folla sotto la croce di Cristo. Così, nella versione moderna della Crocifissione le forme si sfaldano e si contorcono, franano prive di controllo verso il centro della composizione, mentre solo la monumentale figura di Gesù, irradiata di luce, si staglia sicura e stabile. Crocifissioni contemporanee: da Tintoretto a Vedova e Burri.

La Crocifissione contemporanea di Vedova

Vedova tornò sul tema nel 1947, dunque nell’immediato dopoguerra, riproponendo, pur nella lieve variante compositiva, la drammatica vitalità, la forza dirompente della sua prova del 1942.

Emilio Vedova, Crocifissione, 1947. Olio su tela, 33 × 42,7 cm. Cortina d’Ampezzo, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Mario Rimoldi.

Negli anni Cinquanta, il pittore aderì convintamente alla corrente dell’Informale europeo. Abbandonò quindi, in modo definitivo e radicale, la figurazione dei primi anni. Eppure, egli volle tornare al tema della crocifissione, per proporne, nel 1953, una versione audacemente priva di figure. La sua Crocifissione contemporanea ha per sottotitolo “Ciclo della protesta, n.4”. L’opera destò grande scandalo e disappunto, all’epoca, sia per come venne trattato il tema sia per il titolo, deliberatamente provocatorio e giudicato blasfemo. Infatti, nell’opera di Vedova la crocifissione in sé è sparita: ne è rimasto solo il senso. L’artista sembra voler prendere le distanze dalla sacralità del soggetto con l’intento di conferirvi un significato più universale.

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Il contrasto fra il bianco e il nero

Il quadro punta principalmente a esprimere una profonda sofferenza morale. Con la forza dirompente delle sue pennellate, simili a sciabolate violente e rabbiose impresse sulla superficie della tela, l’opera si traduce in una tensione ardente alla giustizia, in un puro anelito di libertà, da intendersi in chiave umana, sociale e politica. Delle sue crocifissioni precedenti, sparite le figure, in questa astratta è rimasta soltanto l’energia, così efficacemente trasmessa dal contrasto dirompente fra il bianco e il nero. Lo spazio figurativo del quadro è diventa to prima di tutto un luogo psicologico ed esistenziale, che accoglie un «urto di verità», per usare le stesse parole di Vedova. «Le mie opere non sono creazioni, ma terremoti», ha detto l’artista. Crocifissioni contemporanee: da Tintoretto a Vedova e Burri.

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Come non riconoscere, in questa violenza espressiva, l’eco della materiale violenza che ha segnato il Novecento e che, a ben riflettere, ha sempre segnato la Storia? Come non cogliere la dolente consapevolezza che sono soprattutto il caos e il male ad agitare la vita dell’uomo? Eppure, possiamo percepire echi di bellezza anche nel tumulto caotico e violento dell’esistenza. E, a bene vedere, in questa Crocifissione astratta, la croce c’è ancora, saldamente al centro della composizione. La linea robusta, salda e netta, del suo palo verticale, piantato sulla chiazza folgorante del rosso-sangue, si percepisce come solido pilastro, e dunque come fonte di salvezza.

Emilio Vedova, Crocifissione contemporanea, 1953. Acrilico su tela, 1,30 x 1,66 m. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

La Crocifissione astratta di Burri

Non solo Vedova ha adottato il tema della crocifissione per dare forma alle ingiustizie e ai soprusi perpetrati dall’uomo contro l’uomo, nel mondo contemporaneo. Con lui, anche Alberto Burri (1915-1995), altro grande maestro dell’Informale, si è addentrato nel difficile percorso di elaborare il simbolo della Croce secondo personalissimi e radicali codici astratti. Nella sua carriera artistica, Burri è sfuggito alle tradizionali categorie di arte e di artista, perché non ha dipinto e non ha scolpito: egli ha invece cucito sacchi, assemblato tavole semicarbonizzate, bruciato plastiche con la fiamma ossidrica. I suoi esiti formali sono assai diversi da quelli di Vedova, ma d’altro canto differenti furono gli intenti della sua arte. Crocifissioni contemporanee: da Tintoretto a Vedova e Burri.

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Mentre le opere di Vedova nacquero come espressione-denuncia del caos e della violenza, quelle di Burri si fecero pura metafora del dolore assoluto e della morte, mostrati con l’immediatezza viscerale che mancherebbe a qualunque fedele riproduzione di un corpo martoriato. Nella sua intensa e dolente Crocifissione. Combustione plastica 64CP3 del 1964, Burri ha voluto far coincidere il supplizio evocato dal titolo con il tormento a cui è stata sottoposta la materia, in una intensa e toccante mescolanza di figurazione e astrazione: la materia violata richiama, nei suoi contorcimenti e negli squarci, la sofferenza del Cristo inchiodato sulla croce e questa, a sua volta, sintetizza e raccoglie l’intera sofferenza dell’umanità. Crocifissioni contemporanee: da Tintoretto a Vedova e Burri.

Alberto Burri, Crocifissione. Combustione plastica 64CP3, 1964. Plastica, acrovinilico, combustione su cellotex, 50 x 35 cm. Firenze, collezione privata.


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