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David e Alfieri: gli eroi della Storia come modelli di virtù
Pittura, letteratura e immaginario giacobino.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Neoclassicismo e Romanticismo – Data: Dicembre 5, 2020 0 commenti 11 minuti
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Il pittore francese Jacques-Louis David (1748-1825), massimo esponente della pittura neoclassica europea, nacque a Parigi. Proveniva da un ambiente borghese colto e benestante (suo padre era un commerciante di ferro) e manifestò precocemente il suo interesse per il disegno. Era un giovane tanto ambizioso quanto tormentato, piuttosto incline alla depressione e angosciato dal timore di non saper raggiungere i suoi obiettivi.

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Nel 1775, oramai ventisettenne (e dopo alcuni tentativi falliti negli anni precedenti), David ottenne l’ambito Prix de Rome, una sorta di borsa di studio che gli consentì di recarsi a Roma per studiare le opere classiche e rinascimentali. Copiò le pitture di Michelangelo, Raffaello, Carracci, Reni, Domenichino, presenti nelle chiese e nei palazzi privati; anche l’arte di Caravaggio colpì molto la sua immaginazione. Durante questi anni romani (1775-80), David abbracciò interamente la poetica classicistica.

In seguito, l’artista ebbe ad affermare: fu come «aver fatto un’operazione di cataratta: compresi che non potevo migliorare la mia maniera, il cui principio era falso, e che dovevo separarmi da tutto ciò che in precedenza avevo creduto essere il bello e il vero».

Jacques-Louis David, Compianto di Andromaca sul corpo di Ettore, 1783. Olio su tela, 2,75 x 2,03 m. Parigi, Musée du Louvre.

La storia come modello di virtù

Tornato a Parigi, Jacques-Louis iniziò a dedicarsi alla pittura di soggetto mitologico e storico. Bisogna notare che già dalla seconda metà del Settecento gli artisti francesi avevano iniziato a trattare temi e argomenti ben diversi da quelli rococò, puntando la loro attenzione sull’esaltazione delle virtù, sugli esempi stoici di integrità e di incorruttibilità d’animo, sui modelli celebrati dell’astinenza e della continenza, sugli episodi di nobile sacrificio e di eroico patriottismo.

Il “morbido divano” era stato sostituito dal “duro letto di morte” e la “femmina seducente” aveva lasciato il posto alla “vedova virtuosa”. David, influenzato dalle teorie neoclassiche, cercò esempi edificanti, tali da costituire pietre di paragone morali per il pubblico contemporaneo, guardando con sempre maggiore convinzione all’antichità. Scelse il mondo classico, insomma, per trarne alte lezioni di virtù.

Altri ambiti storici e geografici consentivano una strettissima identificazione della storia passata con le nuove istanze politiche e sociali. Ma la storia greca e romana rivelava un fascino del tutto eccezionale. Come egregiamente dimostra il suo capolavoro assoluto, Il giuramento degli Orazi, i protagonisti dei quadri di David non sono mai persone comuni ma generali, condottieri, eroi che si erano distinti per il coraggio, lo spirito di sacrificio, l’onestà, la generosità.

Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi, 1784. Olio su tela, 3,30 x 4,25 m. Parigi, Musée du Louvre.

Che poi i personaggi in questione, quelli veri, quelli realmente vissuti nell’antica Grecia o nell’antica Roma, avessero davvero tutte queste qualità contava poco. A David, ai suoi committenti, al pubblico servivano da modello morale: delle loro umane debolezze l’arte non doveva e non poteva interessarsi.

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Non sappiamo quanto i quadri di David siano riusciti ad “educare” il popolo francese: sicuramente, contribuirono ad influenzare la moda del tempo, tanto che gli uomini adottarono le pettinature “alla romana” degli eroi davidiani, le donne abbandonarono le parrucche incipriate per vestirsi “alla greca” e gli ebanisti realizzarono i mobili “all’antica” disegnati da David.

Le Sabine

A partire dal 1789, David realizzò alcuni quadri a soggetto storico che riscossero uno straordinario successo. Le Sabine, ad esempio, si ispira alla vicenda del Ratto delle Sabine, di cui si può considerare, per certi versi, l’epilogo. Secondo il racconto di Plutarco e di Tito Livio, dopo il rapimento delle Sabine da parte dei Romani, i padri e i fratelli delle vittime dichiararono guerra a Roma per riprendersi le proprie donne. Ma le Sabine intervennero per impedire quel bagno di sangue. Nel tempo intercorso tra il rapimento e la controffensiva sabina erano infatti nati dei bambini. Si erano formate delle famiglie, dei legami di sangue che la guerra avrebbe spezzato, lasciando orfani e vedove.

Jacques-Louis David, Le Sabine, 1794-99. Olio su tela, 3,85 x 5,22 m. Parigi, Musée du Louvre.

Al centro del dipinto di David si riconosce Ersilia, moglie di Romolo, che spalancando le braccia cerca di impedire lo scontro tra il marito e Tazio, re dei Sabini. Attorno a lei, le altre donne mostrano i bambini nati dall’unione con i Romani. La difesa della famiglia prevaleva sulla vendetta dell’onore ferito. Queste donne non sono diventate mogli e madri per loro scelta, ma tali oramai sono: sentono pertanto l’imperativo morale di preservare quanto è stato costruito.

Jacques-Louis David, Le Sabine, 1794-99. Particolare.
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Jacques-Louis David, Le Sabine, 1794-99. Particolare.

Leonida alle Termopili

Un altro, grande dipinto a soggetto storico realizzato da David è Leonida alle Termopili. L’opera, iniziata intorno al 1800, ma completata molti anni dopo, vede protagonisti il re di Sparta, Leonida, e i suoi trecento fedelissimi soldati che, nel 480 a.C., sacrificarono la propria vita nella celebre battaglia delle Termopili, combattuta per contrastare l’avanzata dei Persiani.

Jacques-Louis David, Leonida alle Termopili, 1800-14. Olio su tela, 3,95 x 5,31 m. Parigi, Musée du Louvre.

Leonida è mostrato al centro, seduto, fermo e deciso, fortemente illuminato da una luce che mette in risalto il fisico scolpito. È completamente nudo, eccezion fatta per l’elmo, lo scudo, la spada e il mantello. Anche gli altri Spartani sono completamente nudi: non è, con tutta evidenza, una ricostruzione storica dell’accaduto: la nudità di quei soldati celebra una bellezza che prima di tutto è dell’anima; la perfezione di quei corpi non è che il riflesso di una grande virtù. D’altro canto, anche negli antichi vasi greci, che David ben conosceva, e nelle sculture classiche gli eroi, come gli dei, erano sempre stati rappresentati così.

Jacques-Louis David, Leonida alle Termopili, 1800-14. Particolare.

In alto a destra, alcuni spartani suonano le trombe per annunciare l’arrivo dei nemici. A sinistra, un soldato incide sulla roccia, con l’impugnatura della propria spada, la frase che recita: “Vai a Sparta e dì che siamo morti per obbedire alle sue leggi”. Accanto a lui, tre compagni, abbracciati fra loro, tendono le braccia e offrono corone di alloro: un’auto-citazione che David si concede, richiamando il suo celebrato Giuramento degli Orazi.

Jacques-Louis David, Leonida alle Termopili, 1800-14. Particolare.
Jacques-Louis David, Leonida alle Termopili, 1800-14. Particolare.

Il tema del dipinto è, insomma, nuovamente quello dell’eroismo: uomini nel fiore degli anni, alcuni perfino adolescenti, nobili d’animo, impavidi e puri non esitano a sacrificare la propria vita per il bene comune.

Jacques-Louis David, Leonida alle Termopili, 1800-14. Particolare.

Il Bruto

I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli fu dipinto da David nel 1789, l’anno della Presa della Bastiglia. Benché commissionato (come Il giuramento degli Orazi) dal re Luigi XVI, nell’ambito del progetto monarchico di moralizzare i costumi sociali, il dipinto divenne una vera e propria icona di arte rivoluzionaria. L’episodio narrato da David fa riferimento a un evento risalente alla fine dell’età monarchica di Roma. Lucio Giunio Bruto, fautore, secondo lo storico latino Tito Livio, della leggendaria cacciata dell’ultimo re di Roma e fondatore della repubblica romana, fece condannare a morte i propri figli, colpevoli di aver cospirato contro lo Stato per il ritorno dei Tarquini.

Jacques-Louis David, I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, 1789. Olio su tela, 323 x 422 cm. Parigi, Musée du Louvre.

David immaginò il momento in cui i littori riportano a casa i corpi dei giovani appena giustiziati. Bruto, in ombra, non riesce nemmeno a voltare lo sguardo: eseguito il suo dovere in quanto uomo di Stato, come padre egli è distrutto. Stringe ancora tra le mani, con rabbia disperata, il foglio su cui aveva firmato quella innaturale condanna a morte. D’altro canto, l’austera figura della dea Roma, ossia la scultura presso la quale Bruto è seduto, sta lì a ricordare che l’amor di patria viene prima di ogni altro legame.

La madre dei ragazzi, disperata, abbraccia le figlie più piccole mentre protende un braccio verso i cadaveri che le vengono riconsegnati. Una delle due ragazzine guarda atterrita i corpi dei fratelli, l’altra è invece svenuta per il dolore. Accanto a loro, la cesta abbandonata con i fili e gli attrezzi per il cucito diventa simbolo di una quotidianità interrotta, di una serenità infranta, che mai potrà più essere recuperata.

Jacques-Louis David, I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, 1789. Particolare.

David e Alfieri

Il dipinto di David, la cui scena è concepita come una rappresentazione teatrale, fu direttamente ispirato dalla tragedia Bruto primo (1786-87), composta da Vittorio Alfieri (1749-1803), drammaturgo, poeta e scrittore italiano. Bruto, nell’opera alfieriana, è l’eroe che si assume l’onere di guidare i romani verso la libertà: «In me, Romani, volgete in me pien di ferocia il guardo: dagli occhi miei di libertade ardenti favilla alcuna, che di lei v’infiammi, forse (o ch’io spero) scintillar farovvi».

Ed è anche il padre disperato, vittima del suo stesso rigore morale. Nell’ultimo atto, è inflessibile nel sacrificare i figli colpevoli ma soffre tantissimo: (Bruto) «Farmi del manto è forza agli occhi un velo… ah! Ciò si doni al padre… Ma voi, fissate in lor lo sguardo: eterna, libera sorge or da quel sangue Roma.» (Collatino) «Oh sovrumana forza!» (Valerio) «Il padre, il Dio di Roma, è Bruto…» (Popolo) «È il Dio di Roma…» (Bruto) «Io sono l’uom più infelice, che sia nato mai.».

Jacques-Louis David, I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, 1789. Particolare.

L’immaginario giacobino

La tragedia e il dipinto ebbero, in quegli anni, un successo clamoroso. Da subito, infatti, la Rivoluzione francese nutrì il suo immaginario di suggestioni storicistiche. Fu soprattutto nelle virtuose figure dei repubblicani romani che i giacobini trovarono i più emblematici exempla virtutis da proporre a chi stava combattendo per affermare quella moderna forma di libertà. David venne subito considerato l’artista più adatto a celebrare, attraverso la sua pittura di storia, il nuovo ideale repubblicano.

E a questo medesimo clima culturale partecipò anche Alfieri, nemico della tirannide, deciso libertario (ma non democratico), che divenne (suo malgrado) uno degli autori preferiti dai rivoluzionari di Francia e d’Italia. Alfieri condivise con David la sorte di alimentare, attraverso il recupero etico della classicità, l’immaginario giacobino e repubblicano. E lo fece utilizzando un linguaggio che, pur nella sua specificità letteraria, è accostabile a quello pittorico del grande pittore neoclassico.

Come i dipinti di David, le opere di Alfieri sono agili e scarne, da un punto di vista scenico. I personaggi sono pochi ed essenziali e vengono presentati come figure risolute, destinate alla solitudine delle proprie scelte e a una sorte tragica. I protagonisti delle tragedie alfieriane, uomini e donne, si impongono nel flusso della storia grazie alle proprie idee estreme. Essi sono capaci di una tensione sentimentale spasmodica e tuttavia soffrono: vittime, in fondo, della propria moralità che non ammette compromessi, che si rivela il più alto e autorevole motore della storia ma che segna ineluttabilmente le loro vite.


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