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Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), il più importante artista del Seicento europeo in quanto scultore, architetto, pittore, scenografo e urbanista, è anche considerato il padre del Barocco. La sua carriera fu precocissima e subito espressa ai massimi livelli, sin da quando il Cardinale Scipione Borghese (1576-1633), nipote del pontefice regnante Paolo V, nonché uno degli uomini più potenti di Roma, nel 1618 gli commissionò i quattro gruppi scultorei che avrebbero fatto la sua fortuna di artista: le cosiddette Statue Borghese, che ancora oggi si trovano a Roma, nella Galleria Borghese. Si tratta dell’Enea e Anchise, del Ratto di Proserpina, del David e dell’Apollo e Dafne.
Il gruppo con Enea e Anchise fu il primo a cui il giovanissimo artista, appena ventenne, mise mano. Il soggetto è ripreso dal secondo libro dell’Eneide di Virgilio, che racconta della fuga di Enea da Troia in fiamme. Secondo il testo virgiliano, Enea tentò una disperata difesa della propria città durante il terribile incendio provocato dai Greci. Preso atto che la fine di Troia era segnata, egli decise di fuggire, portando con sé il padre Anchise e il figlio Ascanio.
Nell’interpretazione di Bernini, l’eroe virgiliano si è caricato l’anziano genitore sulle spalle, il quale tiene in mano il vaso con le ceneri degli antenati (i Lari Tutelari). Ascanio è invece accanto a lui e porta con sé il sacro fuoco del tempio di Vesta.
Il giovane artista mostrò, sin da questa sua prima prova, un sicuro talento e il possesso di grandi abilità tecniche. La differenza di età dei tre personaggi è resa magistralmente attraverso la resa delle muscolature e delle epidermidi. Attenta e sensibile è anche l’analisi psicologica, dei temperamenti e degli stati d’animo: Anchise, affidatosi completamente al figlio Enea, affronta orgogliosamente la sorte avversa; Enea appare dolentemente rassegnato, il piccolo Ascanio spaventato.
La composizione a spirale del gruppo è ancora legata a vecchie forme manieriste. In questo deve aver avuto un certo peso l’influenza del padre di Gian Lorenzo, Pietro Bernini, a sua volta scultore, con il quale il giovane artista ancora lavorava. Paradossalmente, questo gruppo è considerato il meno riuscito dei quattro, e proprio perché Pietro, artista affermato e di successo, volendo aiutare il figlio di genio ma a suo parere inesperto, di fatto gli impedì di esprimersi completamente.
Il successivo gruppo statuario illustra il Ratto di Proserpina e affronta il mito classico di Plutone, dio degli Inferi. Questi, innamoratosi di Proserpina, figlia di Cerere, dea delle messi e della fertilità, la rapì trascinandola nella sua dimora; Cerere, che ottenne da Giove la liberazione della figlia per soli sei mesi l’anno, volle che la terra rimanesse spoglia mentre Proserpina dimorava negli Inferi.
Bernini scelse di rappresentare il momento in cui il dio, dalla corporatura possente, agguanta la giovane ed esile donna e la solleva in aria per trascinarla con sé. Accanto a lui riconosciamo Cerbero, il feroce cane a tre teste guardiano dell’Ade. Proserpina si dimena e cerca con tutte le sue forze di liberarsi dalla stretta del suo rapitore, ma invano. Urla e piange.
Il gruppo presenta un rivolgimento a torsione, secondo una complessa dinamica che richiede grande virtù nella lavorazione del marmo. Bernini, in quest’opera, dimostrò una padronanza della tecnica scultorea davvero prodigiosa. Le dita di Plutone che affondano nelle carni morbide della giovane, sono fra i dettagli più affascinanti dell’intera storia dell’arte occidentale.
Magistrale è anche la rappresentazione della folta barba e dei riccioli scomposti dei capelli di Plutone, lavorati con il trapano in modo da creare ombre molto profonde.
Al Ratto di Proserpina seguì il David, scolpito tra il 1623 e il 1624. L’eroe biblico è mostrato mentre, ruotato il busto, sta per scagliare la pietra che ucciderà il gigante Golia.
Il suo sguardo concentrato punta l’avversario, che si percepisce non lontano all’orizzonte; la smorfia delle labbra serrate e la fronte corrugata esprimono tutta la sua tensione fisica ed emotiva. Lo spettatore risulta a sua volta emotivamente coinvolto, perché non coglie la frattura tra lo spazio reale e quello fittizio della statua.
Il giovane è come fissato in un brevissimo momento di sosta, nel passaggio repentino fra due movimenti contrapposti: l’estensione del braccio che si prepara a colpire e quello immediatamente successivo del lanciare. È il culmine dell’azione, fissato come in un fotogramma, un’assenza di moto che tuttavia suscita la più viva impressione del moto.
Una soluzione ben diversa da quella del David di Michelangelo che invece è fermo, ponderato come una statua classica. Bernini evitò il confronto diretto con il grande Buonarroti, puntando soprattutto al superamento del modello cinquecentesco.
Egli non volle rappresentare un eroe-simbolo ma un uomo vero, colto nel momento della sua azione. Se il capolavoro michelangiolesco presenta prima di tutto un modello di uomo, mostrato nello splendore della sua bellezza fisica e morale, l’opera di Bernini presenta invece una storia raccontata nel lampo di una istantanea: non propriamente David, insomma, ma la lotta di David contro Golia, che si percepisce presente anche se non è possibile vederlo.
Ancora da un racconto mitologico nacque il quarto capolavoro dell’artista: la vicenda di Apollo e Dafne, di cui abbiamo già trattato. Apollo, colpito da una freccia di Cupido, insegue la ninfa Dafne che al suo tocco viene trasformata in albero di alloro. In questo gruppo, Bernini riuscì a concludere magistralmente il suo percorso di ricerca, raggiungendo la più alta e compiuta espressione della rappresentazione del movimento barocco e mostrando una padronanza della tecnica senza rivali.
Nessuno, dopo gli artisti dell’Ellenismo, era riuscito a trattare il marmo come fece lui, a rappresentare con tanto naturalismo la morbidezza delle carni, la consistenza delle stoffe, la leggerezza dei capelli, la fragilità delle foglie, nessuno aveva saputo limare e trasformare così bene questa materia, fino ad ottenere spessori infinitesimi. Non fu certamente un caso che da quel momento la stella di Bernini iniziò a brillare nel cielo della cultura e dell’arte in Europa, facendogli guadagnare una fama internazionale che nemmeno i grandi del Rinascimento, Leonardo, Raffaello e Michelangelo, avevano raggiunto mentre erano ancora in vita.