Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
Jacques-Louis David (1748-1825) nacque a Parigi. Proveniva da un ambiente borghese colto e benestante (suo padre era un commerciante di ferro) e manifestò precocemente il suo interesse per il disegno. Giovanissimo, divenne allievo di Giosef Màri Viàn Joseph-Marie Vien (1716-1809), un pittore e incisore dalle raffinate inclinazioni antichizzanti. Nel 1766, David entrò nella Ecòl Ruaiàl des elèv protegè École Royale des Élèves Protégés, dove studiò composizione, anatomia e prospettiva. Era un giovane tanto ambizioso quanto tormentato, piuttosto incline alla depressione e angosciato dal timore di non saper raggiungere i suoi obiettivi.
Nel 1775, oramai ventisettenne (e dopo alcuni tentativi falliti negli anni precedenti), David ottenne l’ambito Prix de Rome, una sorta di borsa di studio che gli consentì di recarsi a Roma, all’epoca centro culturale ancora molto vivo, per studiare e copiare statue antiche e dipinti moderni.
Durante gli anni vissuti nella città papale (1775-80), David abbandonò del tutto gli stilemi rococò, per abbracciare interamente la poetica classicistica; studiò e copiò le opere di Michelangelo, Raffaello, Carracci, Reni, Domenichino, presenti nelle chiese e nei palazzi privati; anche l’arte di Caravaggio colpì molto la sua immaginazione. In seguito, l’artista ebbe ad affermare: fu come «aver fatto un’operazione di cataratta: compresi che non potevo migliorare la mia maniera, il cui principio era falso, e che dovevo separarmi da tutto ciò che in precedenza avevo creduto essere il bello e il vero». Soprattutto, a Roma David entrò in contatto con l’ambiente culturale neoclassico, frequentando artisti, letterati, teorici.
Tornato a Parigi, Jacques-Louis iniziò a dedicarsi alla pittura di soggetto mitologico e storico. Bisogna notare che già dalla seconda metà del Settecento gli artisti francesi avevano iniziato a trattare temi e argomenti ben diversi da quelli rococò, puntando la loro attenzione sull’esaltazione delle virtù, sugli esempi stoici di integrità e di incorruttibilità d’animo, sui modelli celebrati dell’astinenza e della continenza, sugli episodi di nobile sacrificio e di eroico patriottismo. Il “morbido divano” era stato sostituito dal “duro letto di morte” e la “femmina seducente” aveva lasciato il posto alla “vedova virtuosa”.
Nelle sue opere degli anni Ottanta, David fece sfoggio di una grande cultura archeologica: trasse pose e sembianze dalla statuaria classica, curò i particolari dell’abbigliamento studiando ogni testimonianza visiva in suo possesso, ricostruì gli ambienti con una meticolosità da erudito. Influenzato dalle teorie neoclassiche, elaborò composizioni equilibrate, organizzate intorno a un asse centrale e scandite da sequenze di assi orizzontali e verticali che conferiscono un senso di stabilità alle immagini. Scelse il mondo classico anche per trarne alte lezioni di virtù. Adottò, infatti, soggetti storici e mitologici, per affrontare temi dal significato universale, dalla forte tensione spirituale. Anche altri ambiti storici e geografici avrebbero consentito di identificare la storia passata con le istanze politiche e sociali del presente: ma la storia greca e romana rivelava un fascino del tutto eccezionale.
Le opere di David presentavano, insomma, una forte componente ideologica. Gli esempi edificanti da lui scelti dovevano costituire pietre di paragone morali per il pubblico contemporaneo. Attraverso la storia e il mito, l’artista volle esaltare la caducità della fortuna umana, i valori del bene pubblico che superano gli affetti personali, la forza morale maschile che sovrasta la fragilità psicologica femminile.
Nel suo capolavoro assoluto, Il giuramento degli Orazi, è palese l’esaltazione della virtù civica e del sentimento patriottico: gli Orazi giurano, infatti, di versare il loro sangue per la patria.
Non è certo un caso che tutti i protagonisti dei quadri di David non siano mai persone comuni ma generali, condottieri, eroi, persone che si erano distinte per il loro coraggio, lo spirito di sacrificio, l’onestà, la generosità. Che poi i personaggi in questione, quelli veri, quelli realmente vissuti nell’antica Grecia o nell’antica Roma, avessero davvero tutte queste qualità contava poco. A David, ai suoi committenti, al pubblico quegli esempi servivano da modello morale: delle loro umane debolezze l’arte non doveva e non poteva interessarsi.
Non sappiamo quanto i quadri di David siano riusciti ad “educare” il popolo francese: sicuramente, contribuirono ad influenzare la moda del tempo tanto che gli uomini adottarono le pettinature “alla romana” degli eroi davidiani, le donne abbandonarono le parrucche incipriate per vestirsi “alla greca” e gli ebanisti realizzarono i mobili “all’antica” disegnati da David.
Dopo la Rivoluzione francese (1789) e con la fondazione della Repubblica francese (1792), David assunse un ruolo politico e artistico di primo piano. Fu membro della Convenzione, l’assemblea costituente e legislativa insediatasi a Parigi dopo lo scoppio della Rivoluzione, e già come tale esercitò una certa influenza; fu, inoltre, l’uomo di fiducia e il portavoce del governo rivoluzionario in tutte le questioni relative all’arte. In Francia, dopo Le Brun (direttore dell’Accademia sotto Luigi XIV), nessun artista era stato così potente. Da lui dipesero la propaganda artistica, l’organizzazione degli eventi solenni e delle grandi feste, l’Accademia con tutte le sue funzioni, l’intero complesso dei musei, l’organizzazione di tutte le mostre d’arte.
La grande tela con Il giuramento della Pallacorda, rimasta incompiuta, gli richiese la difficile orchestrazione di un gran numero di figure ma riuscì a conciliare due elementi discordanti: l’esemplarità metaforica dell’evento e i dettagli di cronaca che dovevano consentire al pubblico di riconoscersi. Suo capolavoro indiscusso è La morte di Marat. Rappresentando Marat assassinato nella propria vasca da bagno, come se fosse un martire moderno, David realizzò una sorta di “Pietà laica”, un’icona rivoluzionaria, un esempio esaltante e universale di come si può morire per le proprie convinzioni. Il braccio destro dell’uomo, abbandonato al di fuori della vasca, richiama quello del Cristo morto della Pietà Vaticana di Michelangelo.
La concezione artistica di David rispose anche agli scopi politici del consolato e dell’Impero. Divenuto primo pittore di Napoleone, l’artista iniziò a cimentarsi con il problema del grande quadro celebrativo e con quello del ritratto ufficiale. Il ritratto di Bonaparte al Gran San Bernardo mostra il generale come un eroe che affronta impavido il freddo e il pericolo e già anticipa l’immagine dell’uomo romantico, impaziente di agire, teso e fremente come il suo destriero.
Allo stesso modo, il soggetto dell’Incoronazione di Napoleone non è tratto dalla storia passata ma da un evento contemporaneo: non serve da insegnamento e incitamento per i moderni ma vuole celebrare la gloria di un imperatore quasi sacralizzato. Il grandissimo dipinto – quasi 10 metri di base – raffigura fedelmente i tanti invitati alla cerimonia. I nuovi colori della tavolozza davidiana, sempre più caldi e vivaci, qui ricercano effetti grandiosi e sottolineano la fastosità dell’evento.
Alla caduta di Napoleone, David scelse l’esilio volontario a Bruxelles, dove spirò nel 1825. Si rifiutò, infatti, di scrivere quella richiesta di perdono al nuovo re di Francia che forse gli avrebbe consentito il ritorno, ma che avrebbe tradito la sua fede politica. Negli ultimi anni di vita, dipinse Marte disarmato da Venere e le Grazie concentrandosi sul tema della bellezza ideale e della perfezione fisica. Dopo la morte, il cuore dell’artista fu trasportato da Bruxelles a Parigi.
La pittura dell’età napoleonica, pur presentandosi di fatto come un’evoluzione del Neoclassicismo settecentesco, si distinse profondamente da quest’ultimo per una diversa ispirazione. Napoleone decise di allestire un degno scenario al proprio trionfo, elaborando l’immagine di un‘organica, coerente e unitaria “civiltà” neoclassica; l’antichità, prima specchio delle più alte virtù morali, venne dunque rievocata con intento celebrativo.
Alla pittura di storia, ancora il genere artistico più “nobile”, fu espressamente richiesto di celebrare le gesta di Napoleone, eroe moderno, enfatizzate con tono epico. Il francese Antoine-Jean Gros (si pronuncia Antuàn-Giàn Grò; 1771- 1835) e il milanese Andrea Appiani (1754-1817) posero la loro pittura al servizio dell’imperatore, glorificato e presentato come un nuovo salvatore, cristiano e pagano a un tempo.
Jean-Auguste-Dominique Ingres (si pronuncia GiànOgùst-Dominìk Engr; 1780-1867) fu l’ultimo grande interprete del Neoclassicismo francese. Il suo Napoleone in trono rappresenta l’imperatore come un divino protettore della Francia, chiuso nella sua rigida posa frontale, ieratico e irraggiungibile. La pittura di Ingres fu tuttavia molto incentrata sulla bellezza della donna. Il tema del nudo femminile visto di schiena fu molto caro all’artista, che lo ripropose in diverse tele.
La bagnante di Valpinçon, del 1808, mostra una donna seduta mentre si appresta a calarsi in una vasca. La sua figura, pudica e vista di spalle, è molto sensuale. La grande odalisca, dipinta nel 1814, è invece la donna di un harem, sensualmente adagiata su un letto. L’opera scandalizzò la critica, per il corpo molle e sensuale della donna il cui busto appare troppo lungo. Ingres, infatti, non si attenne mai scrupolosamente alle regole definite dell’accademia neoclassica, né ricercò effetti volumetrici, attribuendo maggiore importanza ai valori lineari e di superficie. Questa sua regola gli attirò non pochi dissensi.
La pittura accademica continuò a raccogliere il consenso di pubblico e critica per tutto l’Ottocento. Incuranti dei rivolgimenti sociali e culturali del loro tempo, gli artisti accademici continuarono a celebrare, con una tecnica impeccabile, l’antica Grecia, l’antica Roma e i loro eroi, regolarmente armati di corazze e di grandi elmi. Proprio questi vistosi copricapi costarono ai loro autori l’appellativo di Pompiers, ‘pompieri’.