Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
Edgar Degas (1834-1917) nacque a Parigi, da una famiglia di banchieri dell’alta borghesia. Dopo aver rinunciato agli studi di giurisprudenza, s’iscrisse all’atelier di Louis Lamothe, un allievo di Ingres da cui apprese perfettamente la tecnica del disegno; contemporaneamente, seguì i corsi alla Scuola di Belle Arti.
I primi anni della sua carriera furono segnati dallo sforzo, talvolta doloroso, di far venire a patti la sua formazione tradizionalista con le suggestioni della cultura contemporanea. Divenuto amico di Manet, con il quale aveva in comune un’educazione privilegiata, Degas iniziò a frequentare il Café Guerbois dove, dal 1865, entrò in contatto con i futuri impressionisti. Sebbene condividesse con i suoi nuovi amici speranze e delusioni, partecipando alle mostre collettive del gruppo, Degas non volle mai allinearsi completamente alle idee dei compagni.
Il suo soggetto preferito, e per il quale è universalmente conosciuto, fu quello delle ballerine di danza classica. Alle mostre impressioniste, infatti, scelse frequentemente di esporre piccoli quadri che avevano per soggetto il ballo, al punto che presto fu definito “il pittore delle ballerine”. Egli stesso arrivò a lamentarsene: «Mi chiamano il pittore delle ballerine, ma non capiscono che per me la danza è solo un pretesto per dipingere delle strutture in movimento».
L’artista, in genere, rappresentò le sue scene di ballo o di ballerine a lezione di danza da angolature insolite, scegliendo punti di osservazione molto ravvicinati, oppure più alti o più bassi rispetto ai soggetti principali; alcune ragazze sono spesso tagliate dal bordo della tela. Oggi tali dipinti ci appaiono deliziosi, agli spettatori ottocenteschi, invece, risultarono strani e perfino scioccanti.
La diretta e penetrante osservazione del mondo fu sempre un cardine nella pittura di Degas, che di fatto, e soprattutto per la scelta dei temi, percepì la propria arte come realista e non impressionista. In tal senso, egli fu molto più vicino a Manet che non a Monet. Poco incline ai generi pittorici del paesaggio, della natura morta e del ritratto, amò dipingere soprattutto i caffè più popolari di Parigi, frequentati abitualmente da operai, prostitute, artisti e scrittori bohémien.
L’assenzio, del 1876, uno dei grandi capolavori di Degas, affronta il problema dell’alcolismo da assenzio, un forte distillato alcolico noto come Fée Verte, “fata verde”, per il suo caratteristico color clorofilla. Per sprigionare gli aromi dei componenti vegetali, il liquore veniva servito, normalmente, con una zolletta di zucchero e dell’acqua ghiacciata. Lo zucchero, posto sopra il calice, veniva lentamente diluito con l’acqua, fino a quando il superalcolico assumeva un caratteristico aspetto bianco lattiginoso.
L’assenzio era a buon mercato, quindi straordinariamente diffuso, soprattutto presso le classi meno abbienti; ma l’alcol di scarsa qualità utilizzato per la sua distillazione (ad esempio il metanolo) e soprattutto il solfato di rame, usato come additivo per renderne più brillante il suo colore naturale, lo rendevano fortemente tossico, con effetti devastanti per il fisico. L’assenzio era diventato un vero flagello della società ottocentesca (erano dipendenti da assenzio anche molti artisti, tra cui Van Gogh e Toulouse-Lautrec) e difatti nel 1915 la sua vendita sarebbe stata proibita.
Degas espose questo quadro in occasione della seconda mostra impressionista, nel 1876, intitolandolo Dans un café, ossia In un caffè. Il titolo attuale, L’assenzio, è posteriore e risale alla fine del XIX secolo. Il quadro fu realizzato dall’artista presso il caffè parigino della Nouvelle-Athènes in place Pigalle, uno dei punti d’incontro favoriti degli impressionisti. L’opera pone in evidenza la solitudine interiore dei due personaggi: un’esile prostituta e un corpulento e volgare bohémien, seduti una accanto all’altro ma chiusi nel loro isolamento silenzioso.
La giovane donna è vestita con abiti vistosi e porta un cappellino alla moda sulla testa e delle scarpette con fiocchi bianchi ai piedi. Sul tavolino, di fronte a lei, è posato un calice di assenzio; alla sua destra, nel tavolo accanto, si trova la bottiglia di vetro vuota posata su un vassoio di metallo. Con tutta evidenza, la donna è completamente ubriaca. Lo sguardo perso nel vuoto, l’espressione sofferente, la posizione del busto, leggermente piegato in avanti con le spalle cadenti, suggeriscono all’osservatore il suo profondo stato depressivo e il degrado della sua triste condizione. L’uomo accanto a lei, vestito di abiti scuri, fuma la pipa immerso nei suoi pensieri. Alle spalle dei protagonisti, uno specchio opaco e sporco riflette le loro sagome.
Il senso dell’immagine di Degas ricorda quello dei grandi fotografi. Il taglio fotografico della scena è infatti volutamente ricercato dall’artista che intendeva presentare questo soggetto come una tranche de vie, un pezzo di “vita vissuta” colto come d’improvviso. In primo piano, il pittore lascia il vuoto; sposta i personaggi sul fondo e verso destra e gioca la composizione sulle linee oblique, disegnate dai tavoli, dal bordo dello specchio, dai giornali e dalla sua stessa firma, posta accanto ad un archetto di violino, in primo piano. Alcune parti sono tagliate e restano parzialmente fuori dall’inquadratura, come per esempio la pipa e la mano sinistra del personaggio maschile.
La ragazza, stordita dall’alcol e con lo sguardo perso nel vuoto, colpisce per i lineamenti disfatti e il pallore malsano del viso. Certi particolari del suo abbigliamento appaiono quasi grotteschi: ad esempio, il falso lusso dei fiocchi bianchi sulle scarpe, del volantino di tessuto increspato sul corsetto, del cappellino inclinato sul capo. Ha scritto, magistralmente, Giulio Carlo Argan: «È una umanità smunta e sprecata, ferma nel tempo vuoto dello spazio stagnante: fredda come il marmo dei tavolini mal lavati, logora e stinta come il velluto dei divani, torbida come gli specchi offuscati. Degas sacrifica alla poetica impressionista il suo culto per Ingres, che per nulla al mondo avrebbe preso a modello due tipi umani così comuni e scadenti. Non dipinge per polemica sociale: non giudica, non condanna, non si impietosisce, non ironizza. Gli basta scoprire, obbiettivamente».
Una curiosità: per la scena, che sembra presa dal vivo, fecero da modelli l’attrice di teatro, e modella, Ellen Andrée e il pittore e incisore Marcellin Desboutin. Giacché il dipinto compromise la reputazione dei protagonisti, Degas fu obbligato a precisare pubblicamente che i due non erano alcolisti e avevano semplicemente posato per lui.
Degas non rappresentò solamente la rarefatta atmosfera del balletto e del teatro. Egli, ad esempio, amò dipingere anche il mondo dei café-concerts, più popolare e qualche volta osceno. Per i parigini del 1870, questi locali costituivano ancora una discussa novità; i caffè-concerto, infatti, coniugavano le funzioni del bar e del teatro di varietà e chiunque potesse permettersi il costo di una semplice bibita aveva il diritto di assistere allo spettacolo e godersi le canzoni e le rappresentazioni comiche.
Il pubblico era dunque molto eterogeneo e comprendeva sia il dandy con il cappello a cilindro sia la prostituta vistosamente vestita. I pastelli di Degas dedicati al tema dei caffè-concerto sono audaci e vivaci quanto gli spettacoli stessi. Normalmente, un ammasso in primo piano di teste, volti e cappelli suggerisce la confusione del pubblico. La luce dei lampioni a gas, dei candelieri o fuochi d’artificio risplende sopra e dietro il palcoscenico, costituendo uno spettacolo nello spettacolo. L’illuminazione è distribuita in modo da enfatizzare i gesti o le espressioni dei volti, lasciando intere zone del quadro in ombra. La luce abbagliante del palcoscenico esalta il luccichio dei costumi, accentua la vivacità della scena ed evoca la tensione eccitante dello spettacolo di cabaret.
Mostrando estremo interesse per ogni aspetto della vita contemporanea, Degas rappresentò anche il quotidiano delle classi inferiori, concentrandosi sull’attività delle lavandaie o delle stiratrici. Nel dipingere queste popolane, l’artista focalizzò sempre la sua attenzione sulla pesantezza del loro lavoro e sulla semplicità dei loro abiti; allo stesso tempo, tuttavia, riuscì a creare composizioni accurate e monumentali, immerse in quella particolare luce “a chiazze” divenuta tipica dei paesaggi impressionisti. Assai famoso è il dipinto Le stiratrici, del 1884, una delle quattordici opere che Degas dedicò a questo soggetto.
Probabilmente realizzato sulla base di un materiale fotografico, il quadro mostra una scena ambientata in un’umile lavanderia, che vede due stiratrici impegnate nel loro duro lavoro. Una delle due impugna una bottiglia di vino e sbadiglia sguaiatamente, accompagnando con la mano il movimento della testa. La seconda è invece concentrata sul proprio lavoro, con le braccia ben tese sul ferro da stiro in modo da aumentare la pressione esercitata dal corpo sullo strumento. Una ciotola piena d’acqua per inumidire il bucato da stirare, la biancheria sullo sfondo stesa ad asciugare, una stufa per riscaldare il povero ambiente completano la scena. L’opera non ebbe successo: in particolare, lo sbadiglio non trattenuto della donna stanca per il faticoso stirare irritò il pubblico più del soggetto stesso.
Degas si pose spesso controcorrente, all’interno di un movimento che propugnava l’immediatezza della realizzazione, privilegiando il lavoro in atelier. Esaminati ai raggi x, alcuni dei suoi capolavori rivelano anche dei pentimenti. Egli fu sempre tormentato dall’esigenza di conciliare nella sua pittura il pressante bisogno di modernità con un profondo rispetto per gli artisti del passato. Totalmente contrario alla spontaneità e all’immediatezza su cui gli altri impressionisti tanto insistevano, preferì spostare sul valore degli oggetti osservati da vicino l’attenzione che i suoi amici dedicavano al colore, alla luce e all’atmosfera.
Percepì la realtà che lo circondava in modo assai diverso da Renoir, Pissarro o Monet: il suo sguardo non abbracciava il mondo, lo esaminava. Egli maturò faticosamente l’acutezza con cui sapeva indagare la società contemporanea, sviluppando ogni volta l’analisi attenta del soggetto prescelto con studi, bozzetti, disegni e schizzi. Tutti i suoi dipinti, e gran parte dei pastelli e delle incisioni, furono preceduti da un grosso lavoro preliminare. «Non c’è stata mai arte meno spontanea della mia», affermò una volta l’artista. «Quello che faccio è il risultato di riflessioni e studi sui grandi maestri. Dell’ispirazione, della spontaneità, del temperamento, io non so nulla».
Il sostanziale realismo dell’opera di Degas, analogo a quello di Manet, può essere ricondotto all’opera letteraria dello scrittore Émile Zola (1840-1902) che di Degas, come d’altro canto di Manet, fu amico ed estimatore. Zola, letterato naturalista, fu autore di un ciclo di venti romanzi intitolato I Rougon-Macquart. Storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero e pubblicato tra il 1871 e il 1893. L’intento, ambizioso, di Zola era quello di offrire con i suoi racconti uno spaccato fedele della società ottocentesca francese, quella del cosiddetto Secondo Impero.
Di questi romanzi fa anche parte Nanà, del 1880, a cui Manet dedicò uno dei suoi dipinti. Protagonisti di queste opere letterarie sono gli esponenti dei ceti sociali più disagiati, le cui vite sono raccontate dallo scrittore senza patetismi e atteggiamenti sentimentalistici, ma con rigore e obiettività. È indubbia ed evidente l’affinità fra le opere pittoriche di Degas e le pagine di Zola. D’altro canto, lo scrittore confessò all’artista di essersi spesso ispirato ai suoi dipinti. Ad esempio, la critica ha spesso accostato L’assenzio a L’Ammazzatoio di Zola, la cui protagonista, Gervasia, è una lavandaia alcolizzata.
Veramente eccezionale leggerti.
Grazie di cuore, Gabriella