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Benedetto Antelami fu il più importante scultore e architetto italiano, fra quelli operanti a cavallo fra il XII e il XIII secolo. Con Wiligelmo, è uno dei pochi artisti romanici di cui ci sia giunto il nome. Di lui non si conosce molto: si sa che nacque intorno alla metà del XII secolo (1150 ca.) e che morì intorno al 1227-30, quasi ottantenne. Persino del cognome, Antelami, non si è sicuri: alcuni studiosi ritengono si tratti di un soprannome, attribuito a Benedetto per la sua appartenenza ai Magistri Antilami, una corporazione di scultori lombardi originaria della Val d’Intelvi (o d’Antelami), presso Como. La Deposizione di Antelami.
Formatosi forse ad Arles, in Provenza, dove gli sono stati attribuiti alcuni capitelli della Chiesa di Saint-Trophime (1100-52), Antelami svolse la sua attività prevalentemente a Parma. In questa città, sono certamente di sua mano due opere firmate tra le più significative della scultura tardo-romanica in Italia: la Deposizione a bassorilievo della Cattedrale, del 1178, e lo stipite del portale del Battistero cittadino, del 1196.
Quest’ultimo edificio fu forse progettato dallo stesso Benedetto, che ne coordinò pure l’intero apparato decorativo (almeno sino al 1216). Grazie al confronto stilistico con le opere autografe, sono state attribuite ad Antelami anche la lunetta con il Giudizio Universale, ancora nel Battistero parmense, il ciclo dei mesi destinato al Duomo di Parma, la facciata e alcune sculture del Duomo di Fidenza e le sculture delle lunette di due portali (quello centrale e quello di sinistra) dell’Abbazia di Sant’Andrea a Vercelli.
Il bassorilievo raffigurante la Deposizione venne realizzato da Antelami nel 1178. È un’opera firmata e datata. Sotto la cornice decorata del pannello corre, infatti, una scritta latina la cui traduzione recita: «Nell’anno 1178 (mese di aprile) uno scultore realizzò (quest’opera); questo scultore fu Benedetto detto Antelami». Un tempo, l’opera era parte di un pulpito quadrangolare, smembrato nel 1556. La lastra fu successivamente murata nel transetto della Cattedrale.
La scena raffigura il momento nel quale il corpo di Cristo viene schiodato e calato dalla croce da Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, due notabili del tribunale ebraico, che invano avevano tentato di difenderlo. Tuttavia, nell’opera compaiono anche elementi iconografici incongrui con l’episodio illustrato: i soldati romani che sorteggiano la veste di Cristo, per esempio, sono presenti nelle scene di Crocifissione, mentre le tre Marie sono personaggi che alludono al tema della Resurrezione. È dunque evidente che Antelami ha qui voluto sintetizzare, in una sola scena, tre momenti fondamentali della Passione di Cristo.
La composizione è dominata dalla croce (rappresentata come Arbor vitae, albero della vita), cui è ancora parzialmente appeso il corpo del Messia che Nicodemo, sulla scala, e Giuseppe d’Arimatea, a sinistra rispetto alla croce, stanno schiodando.
L’arcangelo Gabriele trattiene il braccio destro di Gesù, accompagnandolo dolcemente al volto della Madre.
In alto, a sinistra e a destra, si notano due volti clipeati, che simboleggiano il Sole e la Luna: i due astri alludono allo scorrere del tempo, di cui Cristo è padrone, ma soprattutto richiamano la lotta perenne fra la luce (il Bene) e le tenebre (il Male). Non a caso il Sole sovrasta, a sinistra rispetto alla croce, le figure “positive”: la personificazione della Chiesa cristiana, con il vessillo crociato del trionfo in mano, la Madonna, l’apostolo Giovanni Evangelista, Maria Maddalena, Maria di Cleofa e Maria Salomè. Secondo i Vangeli, furono le tre Marie che si recarono al sepolcro, all’alba della domenica di Pasqua, trovandolo vuoto.
A destra, la Luna sovrasta le figure “negative”. La prima è la personificazione della religione ebraica, contrapposta al cristianesimo, che stringe il proprio vessillo spezzato ed è obbligata a piegare la testa dall’arcangelo Raffaele. Seguono il centurione, alcuni componenti del popolo ebraico e i soldati romani che sorteggiano la veste del condannato.
Tutti i personaggi, allineati in primo piano secondo uno schema ancora bizantino, presentano un’ampia e differenziata casistica di gesti e atteggiamenti ben noti al pubblico medievale e come tali estremamente comunicativi e riconoscibili: le prime due donne a sinistra, per esempio, hanno il braccio destro piegato e appoggiato al corpo, Maddalena e san Giovanni si tengono una mano stretta con l’altra, la Madonna porta al viso la mano del figlio.
Nel panorama della scultura romanica europea, l’opera si distingue per la sapienza e la razionalità della composizione, tutta costruita attraverso l’uso consapevole di assi verticali e orizzontali. Le due direzioni sono fornite dalla croce posta al centro del pannello: il palo suggerisce all’intera scena un ritmo verticale che si propaga ai personaggi allineati alla destra e alla sinistra del Redentore. I bracci della croce, invece, determinano una spinta orizzontale che, attraverso le ali degli arcangeli Gabriele e Raffaele, si conclude nei volti del Sole e della Luna, posti alle due estremità. La croce crea una spartizione evidentemente simbolica, perché divide i credenti dai non credenti, dunque i buoni dai malvagi, mentre tutte le figure sono idealmente collegate fra di loro e con il centro.
Il rischio di un’eccessiva monotonia strutturale della scena è scongiurato dall’introduzione di alcuni assi obliqui reciprocamente bilanciati: quello del busto di Cristo, la cui inclinazione è ripresa dalle teste di Giuseppe, di Nicodemo e della Sinagoga, quelli paralleli dei due notabili che depongono il corpo e infine quelli delle braccia di Gesù, di Giuseppe, di Nicodemo e dell’arcangelo Raffaele.
La rappresentazione ricercata della scena testimonia la conoscenza e il legame di Antelami con la cultura internazionale, in particolar modo con la scultura francese, da cui il maestro poté assimilare alcuni motivi iconografici, stilistici e compositivi: le tipologie dei volti e dei panneggi, nonché il motivo decorativo delle vesti a forellini triangolari, si ritrovano spesso nelle opere d’Oltralpe, soprattutto in quelle provenzali.
L’angelo che piega in avanti la testa alla Sinagoga, costringendola a rendere omaggio al Cristo, è un soggetto che si può ammirare anche in una Deposizione della Chiesa di Saint Gilles, presso Arles. Sono altrettanto espliciti i richiami alla cultura classica (le teste clipeate del Sole e della Luna, le armature del centurione, i motivi ornamentali della cornice).
L’attenzione con la quale Antelami (come anche Wiligelmo, peraltro) guardò ai modelli dell’arte classica è un dato inconfutabile. Tuttavia, è necessario osservare che questa relazione con l’antico non portò a una vera e propria forma di classicismo. Gli artisti romanici si sentivano, come scrisse nel XII secolo il filosofo Bernardo di Chartres, «nani seduti sulle spalle dei giganti»: essi erano dunque ben coscienti del valore formale dell’arte classica.
Lo attesta anche un passo dell’autobiografia dell’abate Gilberto di Nogent (1053-1124) in cui si lodano le proporzioni di un idolo pagano, per il resto considerato come opera di nessun valore; ma gli interessi primari di pittori e scultori erano diretti altrove. Agli artisti romanici interessava ricavare, dall’arte classica, il codice essenziale di un ideale di nobiltà, compostezza e serenità: solo marginalmente essi considerarono il repertorio classico come un serbatoio di forme capaci di riprodurre fedelmente le apparenze naturali.
Grazie, ho apprezzato e capito meglio questa meravigliosa opera
Professore La ringrazio molto per le sue lezioni, anch’io ho fatto il Liceo Scientifico Enrico Fermi di Ragusa dal 1962 al 1967 e ora, in pensione, ho ripreso la mia grande passione per la Storia dell’Arte