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Rogier Van der Weyden (1399 ca.-1464), considerato uno dei più grandi maestri della pittura fiamminga, continuò l’opera del suo conterraneo Jan Van Eyck con straordinario vigore; tuttavia, la mancanza di firma e di data nei dipinti che gli sono stati attribuiti ha reso piuttosto problematica la ricostruzione della sua carriera. Nato a Tournai, si trasferì in seguito a Bruxelles; qui, nel 1435, è documentato come “pittore ufficiale” della corte e qui svolse la propria attività per molti anni, sino al suo trasferimento in Italia, dove soggiornò per alcuni mesi tra il 1449 e il 1450.
Visitò Roma, Milano, Mantova, Firenze, Napoli e Ferrara, città in cui conobbe e frequentò alcuni colleghi italiani. Ovunque la sua pittura fu molto apprezzata, soprattutto presso la corte ferrarese di Lionello d’Este, che non a caso era il principale committente dell’artista tardogotico Pisanello. Tornato a Bruxelles, vi morì nel 1464.
Rogier Van der Weyden imparò da Van Eyck la cura minuziosa nella resa dei particolari e lo studio degli effetti luministici; tuttavia, a differenza del maestro, nei suoi dipinti riservò una maggiore importanza alla presenza umana, sacrificando talvolta gli sfondi paesaggistici o architettonici.
Per esempio, la sua opera più nota, la Deposizione, oggi al Prado, presenta un gruppo di dieci personaggi raccolti all’interno di una nicchia poco profonda, affollati in una condizione spaziale che appare claustrofobica e che li contiene a stento. L’esile ed esangue corpo del Cristo è posto al centro della composizione, in diagonale, con le braccia aperte che rimandano al tema della Passione e della sua morte in croce: il braccio disteso verso il basso, detto anche “braccio della morte”, rende visibile e concreto l’abbandono del corpo ormai privo di vita.
La posizione di Gesù è replicata da quella della Vergine svenuta, che il figlio sembra quasi sfiorare con il braccio destro rilasciato. Questa particolare scelta iconografica serve a indicare la compartecipazione della Vergine al sacrificio del Messia e dunque all’atto stesso della redenzione.
Le figure dei dolenti, assiepate intorno al Redentore, esprimono il proprio strazio con gesti eloquenti: la donna a sinistra, ad esempio, si copre il volto con le mani, come a voler nascondere alla vista la dolorosa realtà.
La Maddalena, a destra, intreccia le mani spingendo i gomiti verso l’esterno con una posa piuttosto comune nella pittura nordica, che vuole comunicare un dolore acutissimo e disperato, impossibile da sopportare.
Tutti i dettagli sono segnati da un realismo estremo e testimoniano un alto livello di padronanza della tecnica. Tuttavia, le figure umane appaiono molto differenti da quelle che venivano dipinte in ambito italiano, come per esempio da Masaccio o da Piero della Francesca. Il corpo fiammingo resta pur sempre un “corpo gotico” e come tale è un poco stilizzato, lungo e magro, acerbo e asessuato: le evidenti affinità storiche e i frequenti punti di contatto con la cultura italiana non furono mai sufficienti a indirizzare la pittura delle Fiandre verso un’evoluzione stilistica di stampo classico.
pittore formidabile ne sono profondamente affascinata
Commento dell’opera chiaro e ben descritto
Anche le foto dei particolari sono splendide
Grazie dell’esperienza
Grazie a Lei per l’apprezzamento.
dipinto straordinario, insuperabile.
Gradirei ricevere altre immagini molto dettagliate visto che lo sto copiando.
Grazie.