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Il disegno nell’arte e nell’architettura
Una tecnica, uno strumento, una forma espressiva.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Tecniche e materiali per le arti – Data: Marzo 20, 2023 0 commenti 14 minuti
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Il disegno è l’arte di tracciare dei segni su una superficie in modo da creare un’immagine. Il supporto più comune per il disegno è la carta; tuttavia, secondo le necessità, si può disegnare sulla ceramica, sul muro o sulla tela.

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Uri, 38.000-34.000 a.C. Dipinti rupestri. Grotta Chauvet, Francia, Regione Rodano-Alpi.

Il disegno e la pittura

Si possono considerare disegni sul muro già i primi dipinti rupestri, a dimostrazione che l’origine di questa forma d’arte è davvero antichissima. Per lungo tempo la pittura, così come la intendiamo noi oggi, non è esistita, essendo piuttosto sostituita da una forma di disegno per contorni colorato. Nella pittura egizia e cretese, una linea continua, detta di contorno, delimitava la forma di una figura e la rendeva riconoscibile; altre linee tracciavano i particolari interni.

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Una figura ottenuta attraverso un disegno per contorni, colorato o meno, appare priva di volume, sviluppata su un solo piano. Anche gli artisti greci, e soprattutto i ceramografi, furono soliti rappresentare uomini e oggetti usando linee di contorno; tuttavia, a differenza di quelli egizi, essi tentarono di suggerire uno sviluppo delle figure nello spazio. Ad esempio, assottigliarono o inspessirono le linee in modo da sottoporre le figure a un tenue effetto di luce e ombra. Inoltre, fecero ricorso a minuti particolari, capaci di “riempire” i contorni e di suggerire l’impressione della massa.

Pittore dei Niobidi, Cratere a calice, 465-450 a.C. Particolare. Ceramica a figure rosse, altezza 54 cm. Parigi, Musée du Louvre.

Ancora durante il Medioevo, la dimensione del disegno prevalse su quella propriamente pittorica. Nelle miniature e nelle pitture murali altomedievali e romaniche, le immagini sono ridotte a motivi grafici di volumi e chiaroscuri. L’uso frequente e compiaciuto della linea curva e dell’intreccio, l’esaltazione dei contorni marcati, l’uso di colori accesi e fortemente contrastanti, stesi a campiture uniformi, le pose e gli atteggiamenti convenzionali delle figure e, soprattutto, l’assenza della resa spaziale rendono le scene immateriali e innaturali.

Evangelario di Durrow, 680 ca. Particolare di una pagina. Miniatura su pergamena. Dublino, Trinity College Library.
Fuga di San Procolo da Verona, VIII-IX sec. Affresco. Naturno, Bolzano, Chiesa di San Procolo.

Il disegno divenne una forma d’arte pienamente autonoma rispetto alla pittura a partire dal Duecento, quando gli artisti, dovendo lavorare a un quadro o un affresco, eseguivano molti disegni, detti studi, che potevano essere più o meno definiti o chiaroscurati e servivano a ricercare le giuste proporzioni e i giusti rapporti tra le figure.

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I disegni preparatori si realizzavano invece direttamente sulla tavola, la tela o la parete, subito prima della stesura del colore. Iniziò a diffondersi il cosiddetto disegno per volumi, finalizzato a esprimere la terza dimensione attraverso la resa di un modellato ottenuto con un tracciato di linee parallele o incrociate, detto tratteggio, oppure attraverso piani sfumati, ossia il chiaroscuro.

Leonardo, Testa di Leda, 1505 ca. Studio per la Leda col cigno (perduto). Gessetto rosso su carta, 20 x 16 cm. Milano, Castello Sforzesco.
Raffaello, Studio per la Bella Giardiniera, 1507. Penna e inchiostro bruno, tracce di stilo, quadrettato a matita rossa e matita nera. Parigi, Louvre, Dipartimento di Arti Grafiche.
Michelangelo, Studio di nudo per gli Ignudi della Volta della Sistina, 1510-11 ca. Disegno a sanguigna su carta, 27,2 x 19,2 cm. Vienna, Albertina.

Gli strumenti del disegno

Per disegnare sono necessari strumenti capaci di lasciare un segno. Nel Medioevo e nel primo Rinascimento erano usati gli stili a punta metallica, precursori delle nostre matite, ossia piccole aste metalliche (di piombo, ottone, argento) terminanti a punta. Gli stili andavano usati su fogli trattati con pigmenti e aggreganti. In pieno Rinascimento fu molto diffusa la sanguigna, assai amata da Michelangelo e Leonardo da Vinci, una sorta di matita ricavata da un tipo di argilla ferrosa e di colore rossastro, detta ematite.

Il disegno a penna prevedeva invece l’uso della penna d’oca, intinta nell’inchiostro; quest’ultimo era ottenuto con nerofumo (polvere di carbone) miscelato a una soluzione di gomma arabica oppure con estratto acquoso di galle di quercia mescolato a soluzioni di sali di ferro. Per il disegno a pennello si utilizzavano pennelli sottilissimi e inchiostri diluiti (dall’inchiostro di china al bistro, al seppia). Il pennello fu ampiamente usato dagli Egizi, dai Cretesi, dai pittori vascolari greci e, in Asia, dai disegnatori cinesi e giapponesi.

Assai diffusa fu anche la tecnica del disegno a carboncino, caratterizzato da segni morbidi e sfumati e da effetti marcatamente pittorici. I carboncini erano ricavati da rametti di salice, carbonizzati dentro contenitori di terracotta.

Pisanello, Due cavalli bardati, 1433-38. Penna e inchiostro bruno, inchiostro grigio e bruno acquerellato su carta, 19,9 x 16,5 cm. Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques.

La sinopia

La sinopia è un disegno preparatorio che precede, direttamente sul muro o sull’arriccio, la stesura di un affresco. Si chiama così perché un tempo si realizzava con un colore ricavato da una particolare terra rossa proveniente da Sinope, sul Mar Nero. Di norma, il pittore stendeva, sulla parete da dipingere, uno strato di intonaco piuttosto ruvido, spesso un centimetro, detto arriccio, ottenuto da calce, acqua e sabbia di fiume a grana grossa. Sull’arriccio eseguiva quindi la sinopia, ossia un disegno preparatorio che poteva essere più o meno elaborato e definito. La sinopia è dunque una sorta di prova generale dell’affresco che consentiva di immaginare il risultato finale e di correggere per tempo eventuali errori.

Sopra l’arriccio, e quindi la sinopia, veniva poi steso un nuovo strato d’intonaco, sottile e molto liscio, destinato a ricevere l’affresco, chiamato intonachino o tonachino. Questo era molto più sottile dell’arriccio e lasciava intravedere la sottostante sinopia, che il pittore ripassava subito a mano libera, talvolta concedendosi dei cambiamenti. Il disegno era coperto un po’ per volta, dall’alto verso il basso; la quantità di intonaco da dipingere era detta “pontata”: in pratica si trattava di una striscia orizzontale che corrispondeva alla lunghezza del ponteggio. Alcune sinopie possono venire alla luce quando l’intonaco dipinto cade o viene staccato.

Jacopo Torriti, Volto del Creatore, sinopia dalla Creazione di Adamo, 1288-90. Assisi, Basilica superiore di San Francesco.

Il cartone

Della sinopia si fece largo uso in Italia fino ai primi anni del Cinquecento; poi le si preferì la tecnica dello spolvero o del graffito tramite il cartone preparatorio, così chiamato perché ottenuto su fogli di carta piuttosto spessi e pesanti. Realizzato delle stesse dimensioni dell’opera da eseguire, il cartone poteva presentare un semplice disegno lineare che si limitava ai soli contorni, oppure una composizione più ricca, chiaroscurata o addirittura colorata. In questo caso era giudicato come una vera e propria opera d’arte e non di rado veniva esposto al pubblico per essere ammirato.

Il cartone poteva essere semplicemente copiato oppure riportato a ricalco sulla superficie dell’opera definitiva. Due erano i sistemi più diffusi. Si poteva appoggiare il cartone sulla tela o sulla parete preventivamente preparata su cui si voleva realizzare il dipinto o l’affresco. Ricalcando i contorni del disegno con una punta rigida, si ottenevano sulla nuova superficie dei solchi appena visibili, chiamati graffiti, che l’artista provvedeva a ricalcare con un pennello. In alternativa, si bucherellavano i contorni del disegno, si appoggiava il cartone alla superficie, si batteva con un sacchetto pieno di polvere di carbone e si otteneva sulla tela o sulla parete un profilo punteggiato, che poi si ricalcava con il pennello. Questa seconda tecnica di riporto, detta “a spolvero”, aveva però il grosso difetto di rovinare il cartone, che alla fine rimaneva sporco di carbone e andava buttato.

Leonardo, Cartone per La Vergine e il Bambino con Sant’Anna e San Giovannino, 1501 o 1508. Gessetto nero, biacca e sfumino su carta, 1,41 x 1,01 m. Londra, National Gallery.
Aristotile da Sangallo (attribuito a), Copia del Cartone di Michelangelo per la Battaglia di Càscina, 1542 ca. Olio su pannello, 76,5 x 130 cm. Norfolk (Inghilterra), Collezione Lord Leicester ad Holkham Hall.

Il disegno architettonico

La rappresentazione architettonica è un disegno fi­nalizzato a raffi­gurare un’opera edilizia attraverso una complessa operazione di sintesi, e questo al fi­ne di far conoscere tale monumento o edifi­cio. Rispetto al disegno artistico, quello architettonico è dunque di natura diversa e deve servirsi di strumenti grafi­ci differenti. Il disegno architettonico può essere utilizzato sia per progettare nuove opere architettoniche sia per rappresentare edifi­ci esistenti. Il primo è detto disegno di progetto, il secondo disegno di rilievo e grafi­camente sono molto simili.

Cerchia di Giuliano da Sangallo, Elevazione della navata di una basilica romana in rovina (la Basilica Giulia), 1530-1545 ca. Penna e inchiostro marrone scuro, 24,9 x 24,4 cm. New York, Metropolitan Museum.
Raffaello, Soldato davanti la prigione di San Pietro, primo XVI sec. Disegno. Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi.

Gli schizzi architettonici

Lo schizzo è un disegno piuttosto schematico, a volte perfi­no approssimativo, di un oggetto, eseguito a mano libera. È detto architettonico quando raffi­gura edi­fici o parti di edifici.

Quando si progetta o si riproduce un edificio si è soliti eseguire preventivamente alcuni schizzi di progetto, e questo al fi­ne di fi­ssare rapidamente sulla carta le proprie idee.

Schizzi architettonici di Le Corbusier, primo XX secolo.
Giovanni Michelucci, Disegno per la Chiesa di San Giovanni Battista detta dell’Autostrada, 1960 ca. Firenze, Archivio Fondazione Giovanni Michelucci.

Lo schizzo architettonico, realizzato con maggiore o minore approssimazione, in modo più o meno rapido, consente, prima ancora di entrare nel merito delle soluzioni strutturali, dei rapporti dimensionali, delle soluzioni di dettaglio, di dare una identità, un volto all’architettura che si vuole realizzare. I pochi segni di uno schizzo architettonico, infatti possono evidenziare ed esaltare le idee progettuali dell’autore.

Lo schizzo architettonico è molto praticato anche da chi studia un edificio già costruito. Generazioni di architetti e studiosi di storia dell’arte si sono cimentati nella riproduzione dal vero di particolari, scorci, dettagli costruttivi riguardanti il patrimonio architettonico classico.

Cerchia di Giuliano da Sangallo, prospetto frontale di un tempio romano in rovina, 1530-1545 ca. Penna e inchiostro marrone scuro, 24,9 x 24,4 cm. New York, Metropolitan Museum.

Il rilevamento architettonico

Il rilevamento architettonico o rilievo dell’architettura è la raccolta di tutta una serie di informazioni che consentono di disegnare in scala un edifi­cio, in tutte le sue parti, o un oggetto (solitamente monumentale, per esempio un sarcofago). Normalmente, è legato a campagne di conservazione o restauro di edifi­ci storici. Le fasi di rilievo sono essenzialmente tre: la ricognizione, il rilevamento e la restituzione gra­fica. La ricognizione consiste nella ricerca di informazioni di carattere generale sull’edi­ficio o sull’oggetto, riguardanti la sua storia.

Questa fase comprende anche la realizzazione di alcuni schizzi (disegni a mano libera eseguiti dal vero), come approccio di studio dell’edi­ficio stesso. Disegnare dal vero richiede un’attenzione tutta particolare da destinare all’insieme e ai dettagli, ai rapporti proporzionali e al contesto, alla struttura e ai singoli elementi architettonici e decorativi. Il rilevamento consiste nella misurazione dell’edi­fico o dell’oggetto. Questo tipo di rilievo, detto diretto, e che può essere preceduto da una serie di schizzi, è il più antico e da molti è ancora considerato il più attendibile, giacché consente di analizzare da vicino i dettagli con maggiore accuratezza.

Cerchia di Giuliano da Sangallo, tempio Anfiprostilo (Vitruvio, libro 3, capitolo 2, n. 4), 1530-1545 ca. Penna e inchiostro marrone scuro, 15 x 26,5 cm. New York, Metropolitan Museum.

La restituzione grafica

La restituzione grafi­ca consiste nel tradurre tutte le informazioni raccolte in disegni (piante, prospetti, sezioni, dettagli) che rappresentano l’edifi­cio stesso o l’oggetto. Tale restituzione può essere effettuata manualmente, con i tradizionali strumenti di disegno, riprodotta a stampa oppure, in tempi moderni, computerizzata. I disegni di rilievo sono riportati in scala, vengono indicate le misure complessive e quelle di dettaglio, spesso si forniscono informazioni relative ai materiali costruttivi, ai colori, alle eventuali situazioni di degrado (fessurazioni, lacune, precedenti interventi di restauro).

Di norma è bene che la restituzione grafi­ca di un disegno di rilevamento, anche quando realizzata manualmente e non al computer, non sia troppo ricca né appesantita da molti dettagli e ombreggiature. In alcuni casi, tuttavia, l’architetto rilevatore può decidere di realizzare anche uno o più disegni che restituiscano più realisticamente l’immagine dell’edi­ficio, adottando opportune tecniche gra­fiche e chiaroscurali. Non di rado, tramite l’ausilio di un computer, vengono sovrapposte al disegno di rilievo immagini fotogra­fiche dell’edi­ficio stesso, opportunamente adattate.

Restituzione prospettica settecentesca di Piazza San Pietro a Roma del Bernini. Incisione di Giovan Battista Piranesi, da Illustrazioni delle Antichità Romane, 1748.
Restituzione assonometrica moderna della Piazza del Campidoglio a Roma di Michelangelo.

Il disegno di progetto

I disegni di progetto sono finalizzati alla progettazione di un edificio e sono costituiti da planimetrie, piante, sezioni, prospetti e particolari architettonici, e hanno il compito di fornire tutte le informazioni necessarie alla materiale costruzione dell’edificio medesimo. Alcuni forniscono informazioni generali sull’aspetto complessivo dell’opera e sui suoi rapporti con l’ambiente circostante; altri consentono di analizzare il progetto nei particolari, giacché forniscono precise informazioni sulle forme e sulle dimensioni, grazie all’adozione di adeguate scale di rappresentazione.

Questi disegni sono lo strumento attraverso il quale l’architetto progettista o l’ingegnere comunicano con i fruitori, il direttore di cantiere e gli operai. A tale scopo, non devono avere caratteri artistici, se non in casi eccezionali, e mantenere un carattere scientifi­co e oggettivo. Per questo, il disegnatore (architetto o ingegnere) fa sempre ricorso a codici rigorosi che discendono dalle normative grafiche e dalle regole proiettive della geometria descrittiva. Per presentare l’articolazione volumetrica e spaziale di un edificio, per esempio, egli è solito adottare l’assonometria e la prospettiva. Invece, rappresenta in proiezione ortogonale la forma della costruzione, il sistema strutturale e i particolari architettonici. I disegni sono inoltre realizzati con segni grafi­ci netti, adottano simboli codi­ficati e sono integrati da misure e utili informazioni.

Giovanni Michelucci, Disegno di progetto per la Chiesa di San Giovanni Battista detta dell’Autostrada, 1960 ca. Firenze, Archivio Fondazione Giovanni Michelucci.
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Giovanni Michelucci, Giardino degli Incontri. Disegno di progetto con prospettiva interna per la Chiesa di San Giovanni Battista detta dell’Autostrada, 1960 ca. Firenze, Archivio Fondazione Giovanni Michelucci.
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Frank Lloyd Wright, Casa Kaufmann (Casa sulla cascata) a Bear Run (Pennsylvania), 1936. Restituzione prospettica.


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