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Il XVII secolo, con la presenza di pittrici di primissimo livello, come Fede Galizia e Artemisia Gentileschi, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, in qualche modo si “sdoganò” in modo definitivo la figura della donna artista, la quale cominciò ad essere accettata nella società e venne anche frequentemente richiesta negli ambienti che contavano. Nel Settecento, dunque, anche le donne pittrici ebbero l’opportunità di fare una carriera di tutto rispetto. Artiste del settecento.
La pittrice Rosalba Carriera (1675-1757), affermata ritrattista veneziana, fu ammirata e vezzeggiata da prìncipi e collezionisti. Cominciò dipingendo tabacchiere con figure di graziose damine e deliziose miniature su avorio; in seguito, si dedicò alla pittura. Le sue opere a pastello, piacevoli e aggraziate, stilisticamente caratterizzate da un tocco lieve e da una soffice fusione di toni, le fecero guadagnare un successo indiscusso sia in Italia sia all’estero.
Della sua vasta produzione, costantemente caratterizzata da un’impareggiabile finezza, ricordiamo il Ritratto di Anna Katharina Orzelska, del 1739, oggi a Dresda. In questo ritratto, la pittrice seppe rendere magistralmente la nobiltà interiore della donna, indagandone con acume le caratteristiche psicologiche. Allo stesso tempo, curò con precisione ogni particolare, come per esempio i motivi floreali che decorano l’abito, i quali richiamano con evidenza la sua formazione di miniaturista. Artiste del settecento.
Nel 1720, la pittrice fu chiamata a Parigi dal banchiere Pierre Crozat, amico del pittore rococò Jean-Antoine Watteau; in pochi mesi, ella seppe conquistare la città, tradizionalmente diffidente con gli artisti stranieri, tanto da essere ammessa all’unanimità all’Accademia e da ricevere la commissione per un ritratto del re Luigi XV. In seguito, si recò a Modena, dove lavorò per la corte estense; infine, nel 1730, si trasferì presso la corte di Vienna.
Anche Angelica Kauffmann (1741-1807), pittrice svizzera, si specializzò nella ritrattistica, genere in cui, evidentemente, le pittrici riuscirono a trovare più facilmente un proprio spazio. Anche la Kauffmann fu una figlia d’arte, come molte d’altro canto, e fu proprio il padre a curare la sua formazione. La portò in Italia, a Milano in particolare, dove la giovane artista poté studiare la pittura lombarda. La ragazza si spostò quindi a Bologna e Firenze, dove conobbe il classicismo seicentesco dei Carracci, di Reni e del Correggio; visse a Roma e a Napoli dove conobbe letterati e intellettuali, tra cui Anton Raphael Mengs e soprattutto Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), fondamentale teorico del Neoclassicismo, che la pittrice ritrasse.
A Roma, cominciò a cimentarsi nella pittura di storia, studiando il nudo attraverso le sculture classiche e i dipinti rinascimentali. Attraverso queste prove, aderì convintamente al Neoclassicismo, del quale è oggi considerata la più autorevole esponente femminile. Quando Goethe la conobbe, in occasione del suo viaggio in Italia, scrisse che si trattò della «miglior conoscenza» fatta a Roma. «Guardar quadri con lei è assai piacevole; tanto educato è il suo occhio ed estese le sue cognizioni di tecnica pittorica». Artiste del settecento.
A Venezia, la Kauffman divenne amica della moglie dell’ambasciatore inglese John Murray, che la invitò a Londra, dove l’artista si recò dopo aver visitato Parigi. A Londra, dove frequentò artisti del calibro di Fussli e Reynolds, fu non solo apprezzata ma ammirata e rispettata. Fu una delle due donne fondatrici (fra 34 membri) della Royal Academy of Arts. L’Italia, tuttavia, le era rimasta nel cuore. Complice un matrimonio con un veneziano, tornò a vivere nel “Belpaese”, tra Venezia e la sua amata Roma, dove strinse una lunga e solida amicizia con Antonio Canova, celebratissimo scultore neoclassico.
La francese Élisabeth-Louise Vigée Le Brun (1755-1842) fu considerata una delle più grandi ritrattiste del suo tempo. Dotata di un precocissimo talento, ebbe la fortuna di trovare due donne che la sostennero e incoraggiarono: Madame de Verdun, moglie di un grande appaltatore delle imposte, e la Duchessa di Chartres. Iniziò quindi una fortunata carriera, peraltro agevolata dal marito, un importante mercante di quadri. I suoi ritratti delle dame parigine attrassero l’attenzione della regina, Maria Antonietta, che la chiamò a corte e la nominò sua ritrattista ufficiale. Nel 1783, per intercessione di Maria Antonietta, sarebbe stata anche ammessa all’Accademia Reale di Pittura e Scultura. Artiste del settecento.
Il legame tra le due donne divenne, nel tempo, molto stretto. Elisabeth, amica e confidente della regina, curò con dedizione e sensibilità l’immagine pubblica e privata della sovrana. Per lei, nel decennio dal 1778 al 1788, realizzò almeno una trentina di ritratti. Fu per esempio il ministro delle Belle Arti, il conte d’Angevilliers, a chiedere alla Le Brun un ritratto di stato della regina, necessario per ridare credibilità all’immagine di una sovrana poco amata dai francesi e criticata per le sue stravaganze. Artiste del settecento.
In questo dipinto, Elisabeth celebrò Maria Antonietta come regina e come madre, ritraendola con un regale abito in velluto rosso, invece che con le consuete vesti di mussolina e i cappelli di paglia. Sul mobile in alto a destra del dipinto si intravede la sua corona; sul lato sinistro si apre la Galleria degli Specchi, cuore del palazzo reale. I figli la circondano amorevolmente e lei si mostra attenta e protettiva.
Bella, libera, ambiziosa, testarda, sicura di sé, molto talentuosa, Elisabeth Le Brun si fece molti nemici a corte, che alimentarono pettegolezzi e maldicenze sul suo conto. Le vennero attribuiti moltissimi amanti; si insinuò che non fosse lei a dipingere ma che incaricasse un pittore maschio di realizzare i quadri che poi si limitava ad attribuirsi. Artiste del settecento.
Il crollo della monarchia causò la rovina anche dell’amata pittrice della regina, che fu costretta alla fuga, travestita da popolana, nel 1789. Viaggiò e visse in Italia, tra Torino, Parma, Modena, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, per poi trasferirsi a Vienna, Londra e San Pietroburgo, sempre ammirata e richiesta da nobili e sovrani. Tornò a vivere a Parigi solo sotto Napoleone, nel 1802. Scrisse un libro di memorie: Viaggio in Italia di una donna artista. I ‘Souvenirs’ di Elisabeth Vigée Le Brun, 1789-1792. Alla sua morte lasciò ben seicento ritratti e duecento paesaggi.
Tra le ritrattiste europee del Settecento, ricordiamo brevemente anche Marie-Gabrielle Capet e Marie-Guillemine Benoist, entrambe francesi. La prima, Marie-Gabrielle Capet (1761-1818),si specializzò nella tecnica del pastello e si fece apprezzare soprattutto per le sue miniature, che produsse nel corso di tutta la sua carriera. È considerata una tipica esponente della pittura tardo-settecentesca, memore dei tramontati fasti rococò e attenta alla nuova sensibilità neoclassica.
Marie-Guillemine Benoist (1768-1826) fu allieva prima di Elisabeth Le Brun e poi di Jacques-Louis David, celebrato maestro della pittura neoclassica francese ed europea. Con lui, si specializzò nella pittura di storia affrontando soggetti mitologici. Alla fine del Settecento, tuttavia, prese le distanze dal maestro per dedicarsi ad una pittura meno condizionata dalle regole che il Neoclassicismo imponeva e orientandosi verso il Romanticismo. Fu nel 1800 che, al Salon di Parigi, presentò un clamoroso capolavoro: il Portait d’une negresse, Ritratto di negra, la splendida immagine di una bellissima donna di colore. Artiste del settecento.
Questo dipinto, realizzato solo sei anni dopo l’abolizione della schiavitù (con una legge a lungo contestata dai proprietari delle piantagioni dei territori oltremare), è considerato una coraggiosa presa di posizione nei confronti dello schiavismo e del razzismo, oltre che una orgogliosa rivendicazione della dignità della donna, di qualunque cultura ed estrazione sociale. Il tema era d’altro canto attualissimo: si consideri che solo nel 1802, Napoleone avrebbe ceduto alle pressioni dei grandi proprietari di piantagioni e la schiavitù sarebbe stata ristabilita.
Insomma, il dipinto era per certi versi progressista e femminista; difatti non fu bene accolto dalla critica e suscitò scandalo per il soggetto affrontato. Tuttavia, moltissimi tra il pubblico, soprattutto i più illuminati, giudicarono l’opera un capolavoro e questo alimentò la fama dell’artista.
La giovane donna, mostrata di tre quarti, è seduta su una poltrona “a medaglione”, rivestita da un tessuto blu, riccamente drappeggiato. La sua posa elegante è quella riservata ai ritratti delle dame dell’alta società e lei guarda dritto verso l’osservatore, rilassata e sicura, senza distogliere o abbassare lo sguardo (come a una donna di colore si conveniva). Anche la veste bianca indossata, stretta in vita da una sottile cintura rossa, è quella di foggia classica allora alla moda. I colori, bianco, rosso e blu, richiamano la bandiera francese. Artiste del settecento.
La parte superiore del vestito è abbassata, in modo da scoprire i seni. Il dipinto è quindi intensamente sensuale. Tuttavia, la bellezza rarefatta del ritratto, debitrice degli insegnamenti del neoclassico David, rimanda l’intera immagine a un contesto puramente idealizzato, memore delle migliori prove rinascimentali di Raffaello, tra cui la Fornarina (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo), che questo capolavoro esplicitamente richiama.
Nonostante lo scandalo scatenato al Salon, la Benoist fu scelta da Napoleone come ritrattista della sua famiglia. Ritrasse Bonaparte come Primo Console, e anche Elisa e Paolina Bonaparte, sorelle di Napoleone. In seguito, fu nominata pittrice ufficiale dell’Impero. Al Salon del 1804, la Benoist ottenne la medaglia d’oro e una pensione governativa. Nello stesso periodo, aprì un atelier riservato solo alle donne.
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Apprezzo le scelte iconografiche. I testi finora letti stimolano il lettore ad approfondire gli argomenti.
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