Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
La città di Roma, a cavallo tra XVI e XVII secolo, era una metropoli ricca e popolosa, abitata da cardinali facoltosi e potenti, nobili, uomini di affari ma anche da una variegata moltitudine di popolani, tra cui artigiani, bottegai, mendicanti e gentaglia dalla reputazione poco raccomandabile.
Accanto ai quartieri lussuosi e ai magnifici monumenti medievali e rinascimentali, si dipanava un dedalo di strade strette e sporche, gremite di squallide botteghe e puzzolenti osterie, dove scorrevano fiumi di vino e si scatenavano risse non di rado mortali, provocate da giovinastri sempre pronti a tirar di spada approfittando di ogni pretesto, lecito o strumentale. Alcuni disperati si guadagnavano da vivere barando al gioco; zingare e prostitute, spesso poco più che bambine, si concedevano per pochi spiccioli o derubavano i clienti.
In questo ambiente pericoloso e malfamato si aggirava, compiaciuto, il giovane pittore milanese Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), stabilmente residente a Roma dal 1595. Questo artista, dotato di un talento prodigioso, si era perfettamente integrato in quel contesto sociale di marginalità, così congeniale al suo carattere turbolento e provocatorio. Risiedeva nel quartiere di Campo Marzio, in una stanza piccola e umida, al secondo piano di una costruzione che oggi non esiste più.
Lì abitò fino alla drammatica domenica del 1606, quando dovette fuggire da Roma per aver ucciso Ranuccio Tomassoni. Frequentava i giovani del quartiere. Con loro passava di osteria in osteria, di bisca in bisca e certamente frequentava i numerosi bordelli, vero cuore pulsante dell’economia e della socialità della Città Santa. Spesso si lasciava coinvolgere in zuffe, risse e duelli, non di rado veniva arrestato e passava qualche notte in prigione, in attesa che i suoi importanti protettori, in primis il Cardinale Francesco Maria del Monte o gli esponenti della Famiglia Colonna, intervenissero per favorire il suo rilascio.
Il naturalismo di Caravaggio
Caravaggio si caratterizzò da subito come un pittore magnifico ma controverso. Importò a Roma un nuovo linguaggio figurativo improntato al più radicale naturalismo, quello stesso che aveva acquisito durante la sua formazione lombarda. Animò le sue scene sacre di personaggi apparentemente miseri e sciatti che agivano in ambienti spogli e bui e di figure femminili considerate troppo carnali. Per questo motivo, per secoli è stato identificato con l’idea stessa della trasgressione, del genio sregolato, e la sua pittura è stata giudicata rozzamente realista.
Quando venne chiesto a Caravaggio quali fossero, secondo lui, le qualità di un “valent’huomo”, l’artista rispose: «appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo, che sappi depigner bene et imitar bene le cose naturali». Un bravo pittore, secondo Caravaggio, non doveva solo avere delle buone competenze tecniche ma essere anche capace di imitare dal vero. In realtà, il marcato naturalismo proposto da Caravaggio trovava autorevoli e remote premesse nelle sperimentazioni di Leonardo, che l’artista aveva attentamente studiato a Milano.
Inoltre, ben lungi dall’essere una mera riproduzione del vero, si arricchì di colte e acute citazioni da Raffaello e Michelangelo. Anche per questo, il linguaggio figurativo caravaggesco entusiasmò i colti collezionisti della città papale. Tuttavia, lasciò sconcertati tantissimi altri, poco inclini o preparati per comprendere la profondità della pittura caravaggesca, forse semplicemente invidiosi del suo talento e del suo crescente successo.
Furono soprattutto i critici controriformisti, più ortodossamente legati alla tradizione classica, a giudicare poco dignitose, se non addirittura lascive e immorali, le sue tele popolate di apostoli dall’aspetto umile e dimesso, spettinati e con i piedi sporchi. Inoltre, clero e fedeli s’indignarono non poco di fronte a sante e Madonne il cui aspetto ricordava alcune famose prostitute di Roma, che l’artista frequentava nella sua vita privata, a cui spesso chiedeva di fare da modelle e alle quali – forse con intento deliberatamente provocatorio – sceglieva di non cambiare i connotati, in modo da renderle perfettamente riconoscibili.
Roma era piena di prostitute, la cui presenza era ampiamente tollerata dalla Chiesa: era sufficiente che si attenessero a poche regole di decenza, come frequentare le messe «deputategli a posta» nelle chiese di san Rocco e di sant’Ambrogio e astenersi dall’attività il venerdì, il sabato e naturalmente «nelli giorni di festa». Tre, in particolare, sono le prostitute che Caravaggio votò all’eternità, grazie alla sua pittura: donne altrimenti destinate all’oblio, date le loro misere vite e le morti ingloriose.
Anna Bianchini, detta Annina o anche Annuccia la rossa, è Maria nel Riposo durante la fuga in Egitto, la Maddalena e, forse, anche la Madonna della Morte della Vergine. Fillide Melandroni, donna bellissima e procace, fu dipinta cinque volte, e tra queste come Santa Caterina d’Alessandria e Giuditta. Anna e Fillide si ritrovano insieme nel dipinto Marta e Maria. Infine, Maddalena Antognetti, la bella Lena, è la Madonna dei pellegrini, la Madonna dei palafrenieri e forse la Maddalena in estasi.
A queste si deve aggiungere una quarta cortigiana, Domenica Calvi, detta Menicuccia, che però non siamo riusciti a identificare con sicurezza nei quadri di Caravaggio. Di lei sappiamo che aveva una bella casa e frequentava personaggi di spicco, tra cui il Cardinale d’Este. Un documento descrive Caravaggio intento a scagliare pietre alla sua finestra, per attirare la sua attenzione.
Il nome di Anna Bianchini, senese, compare spesso nei documenti legali dell’epoca. Figlia di cortigiana, Annuccia era a sua volta una prostituta di basso rango, di corporatura minuta, bella e dai capelli castano-rossi e lunghi, che batteva per strada concedendosi a bottegai, macellai e osti. Avviata al mestiere sin dai 12 anni, condusse una vita ai limiti della sopravvivenza e fu continuamente vittima di violenze ed angherie, come attestano i verbali della polizia di quartiere.
A sua volta, era assai incline a spernacchiare, insultare e menar le mani, soprattutto ad azzuffarsi con le sue colleghe e rivali. All’occorrenza, era pronta a usare il coltello. Dai verbali risulta che un testimone la appellò come una «frustata»: far frustare le prostitute e portarle in processione per la città sul dorso di un asino era un deterrente voluto da papa Clemente VIII per imporre la morale pubblica. È assai probabile che Annuccia ne sia stata vittima. Proprio la condizione di miserabile e la bellezza non convenzionale di questa donna conquistarono il cuore e soprattutto gli occhi di Caravaggio.
Giovanni Bellori, biografo dei pittori del Seicento romano, scrisse che Caravaggio, in un quadro oggi alla Doria Pamphilj di Roma, «dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola, con le mani in seno in atto di asciugarsi li capelli, la ritrasse in una camera, ed aggiungendovi in terra un vasello di unguenti, con monili e gemme, la finse per Maddalena». La fanciulla ritratta, effettivamente, è Anna Bianchini, seduta e mostrata dall’alto, con le braccia conserte e il capo reclinato, che tuttavia non si sta asciugando i capelli ma appare dolente, forse a seguito di una delle punizioni pubbliche subite.
La somiglianza con la nota prostituta, il suo abbigliamento e persino l’atteggiamento legittimavano l’interpretazione di Bellori, secondo il quale l’intento dell’artista era fare un ritratto dell’amica, mentendo poi sul soggetto per poter vendere un quadro altrimenti fuori mercato, essendo non solo profano ma anche sconveniente. Ma si tratta di una interpretazione malevola e strumentale, tipica dei detrattori dell’artista, che mal sopportavano la sua tendenza al realismo e il rifiuto di assecondare la tradizione e le indicazioni della Chiesa in fatto di pittura sacra.
Caravaggio non dipinse una prostituta spacciandola poi per Maddalena ma fece esattamente il contrario. La santa, secondo la tradizione, era stata una meretrice pentita e il pittore, invece che raffigurarla come una principessa, la volle mostrare con spirito di verità, e così prese a modello una vera cortigiana. D’altro canto, e questo è il contributo rivoluzionario dell’artista, Maddalena non è qui presentata nella sua condizione di santità ma ancora in quella di peccatrice, al momento del pentimento: perché, sostiene Caravaggio, i santi non nascono tali ma lo diventano per fede e a seguito di una scelta vocazionale. Tutti possono diventare tali, anche e soprattutto gli ultimi, i diseredati, gli abietti, che sono i più amati da Dio.
Ritroviamo Annuccia ritratta in un altro capolavoro giovanile di Caravaggio, il Riposo durante la fuga in Egitto, pure conservato alla Doria Pamphilj di Roma, che illustra un momento, immaginato dal pittore, del viaggio intrapreso dalla Sacra Famiglia per fuggire dalla persecuzione di Erode il Grande, che voleva la morte del Bambino.
Laddove l’iconografia tradizionale dell’episodio evangelico voleva la famiglia in viaggio, con la Madonna assisa sull’asino come una regina in esilio, qui Caravaggio propone una scena tenerissima, con Maria stremata che dorme con il piccolo in braccio e Giuseppe che, sebbene stanchissimo, veglia su di loro e anzi ha la cortesia di reggere lo spartito a un angelo adolescente che li allieta con il suo violino. Se non fosse per la creatura angelica, sembrerebbe l’illustrazione di un qualunque viaggio di una qualunque famiglia. Ma Caravaggio amava combinare la pittura di Storia con la pittura di genere, con grande disappunto degli artisti accademici.
Maria ha nuovamente il volto di Annuccia e anche i suoi bei capelli castano-ramati. Ancora una volta, però, Caravaggio scelse con acume la sua modella: ben lungi dal voler realizzare un quadro rozzo, volle citare il Cantico dei Cantici, libro dell’Antico Testamento, in cui la Sposa (identificata proprio con la Madonna) è descritta con i capelli color porpora e afferma: «io dormo ma il mio cuore veglia».
È stata riconosciuta Annuccia in uno dei quadri più controversi di Caravaggio, quello della Morte della Vergine, in cui si diceva l’artista avesse ritratto una prostituta, una «qualche meretrice sozza degli ortacci», come scrisse il Mancini, con i piedi nudi fino alla caviglia e il ventre dilatato, in quanto morta annegata nel Tevere o addirittura perché gravida. Il Baglione racconta che, siccome «aveva fatto con poco decoro la Madonna gonfia, e con gambe scoperte, fu levata via», e in effetti, il quadro venne calato dall’altare di Santa Maria della Scala, in cui già era stato collocato, e restituito al pittore.
I Carmelitani non erano disposti a fronteggiare quello scandalo. L’orientamento attuale della critica è quello di derubricare la diceria all’ennesimo malevolo pettegolezzo, messo in circolazione dai rivali di Caravaggio che cercavano con ogni mezzo di ostacolare il suo successo e di metterlo in cattiva luce. Il dipinto è ricco di simboli e, a dispetto del credibile contesto da funerale orchestrato, è ben poco realistico: Maria è giovane, è incinta in quanto Madre di Dio, ha il braccio teso per ricordare la Crocifissione del Figlio e il proprio ruolo nel progetto divino di Redenzione. Ella è infatti “Corredentrice” dell’umanità.
Si tratta, insomma, di un quadro dalla squisita e raffinata interpretazione teologica, che tuttavia Caravaggio amò travestire, ancora una volta, da scena di genere. E che si tratti della messa in scena di un altissimo concetto religioso è confermato dal grande drappo rosso collocato in alto a mo’ di sipario teatrale. E Annuccia? Certamente Caravaggio usò dei modelli per dipingere l’opera, come era solito fare, e forse chiamò anche lei, che magari era incinta e magari no, e quasi certamente era ancora viva. Nulla di certo sappiamo a proposito della sorte di Anna Bianchini, ma non c’è davvero motivo per dar credito a quello che sempre più appare come un’improbabile e macabra maldicenza, utile solo a far passare Caravaggio come spregiudicato, blasfemo e anche necrofilo.
bell’articolo. Molto interessante come tutti gli altri.