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Gustave Courbet (1819-1877), indiscusso caposcuola del Realismo francese dell’Ottocento, fu un artista provocatore, anticlericale e rivoluzionario. Fu anche, e soprattutto, un cultore del corpo femminile. Un quinto della sua produzione pittorica è consacrato alla donna: quasi per duecento volte, infatti, l’artista dipinse un soggetto femminile, nudo o vestito, senza privilegiare contadine o prostitute, borghesi o duchesse. La vita affettiva dell’artista fu, d’altro canto, piuttosto movimentata: Courbet amò frequentare servette e donne di facili costumi, ruppe bruscamente i suoi rapporti sentimentali, rifiutò di sposare una donna da cui ebbe un figlio, che peraltro non volle mai riconoscere.
In compenso, fu legato da un affetto viscerale alle sue quattro sorelle, che gli trasmisero la passione per la musica e il canto e lo circondarono di un affetto che l’artista ricambiò ritraendole in numerose opere. Se da un lato disprezzò l’intelligenza della donna, Courbet fu irresistibilmente attratto dalla sua emotività e dalla sua prorompente carnalità.
Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta l’artista produsse una serie di tele raffiguranti nudi femminili che destarono, uno dietro l’altro, lo sdegno del pubblico e della critica. Il quadro con Le bagnanti, presentato al Salon del 1853, si attirò, addirittura, un commento sarcastico dell’imperatrice, che paragonò la robusta modella a una giumenta, ossia a una robusta cavalla da soma: «questa contadina nuda, è anche lei di razza percheron?» sussurrò passando davanti al quadro di Courbet. Napoleone III, invece, ordinò di far frustare simbolicamente l’opera, per punirla del suo eccesso di realismo.
Come mai tanto scandalo? L’immagine, di per sé, non è affatto oscena: due donne si apprestano a fare un bagno; una è ancora completamente vestita e l’altra, vista di schiena, si è solo parzialmente denudata. Ma il punto è proprio questo: si trattava di due donne vere, due contadinotte, nemmeno belle. La figura spogliata ostenta forme assai morbide e cellulitiche, mancando della più elementare forma di idealizzazione. Almeno si fosse trattato di due dee o anche solo di due ninfe. Guardare quelle due popolane che si stavano spogliando, invece, imbarazzò i visitatori del Salon.
Courbet ne era cosciente; d’altro canto, secondo lui, ricercare la perfezione classica non aveva proprio senso: le donne vere non sono come quelle che raffiguravano gli accademici e la bellezza ideale non esiste. Dipingere fanciulle un po’ in sovrappeso ma reali e concrete era l’omaggio più sincero che l’arte potesse fare alla bellezza e alla sensualità femminili.
Le sue donne nude riuscirono a creare scompiglio anche quando non assunsero pose licenziose, non furono ammiccanti e non agirono in ambienti equivoci, come nel caso de La sorgente. In questo quadro, la donna è vista di spalle e si appresta a bagnarsi in un torrente. Il contesto è bucolico, la figura potrebbe richiamare quella di una ninfa dei boschi. Inoltre, la sua posa e il suo profilo fanno tornare alla mente i capolavori neoclassici di Ingres. Ma comprendiamo a un primo sguardo di non avere di fronte una ninfa e neppure una figura ideale. Il suo corpo vero, non privo di inestetismi, rimanda a una nudità concreta, reale, e pertanto, a quella data, fatalmente percepita come oscena, o addirittura pornografica.
C’è da dire che in molte occasioni Courbet si spinse ben oltre la semplice provocazione. Alcuni suoi dipinti, come Donna con pappagallo e Il sonno, entrambi del 1866, affrontano il tema dell’eros in modo assai esplicito. In questo caso si trattò di un vero e proprio attacco al cuore dell’ipocrisia borghese, di quel perbenismo che l’artista detestava così tanto. Nello stesso anno, Courbet dipinse la sua opera più provocante e voyeuristica: L’origine del mondo, un dipinto di natura erotica concepito per la fruizione intima e privata del suo committente, rimasto a lungo interdetto al grande pubblico.