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Il pittore parigino Georges Rouault (1871-1958) fu uno dei più interessanti esponenti del gruppo dei Fauves in Francia, la cui pittura è riconducibile al vasto fenomeno europeo dell’Espressionismo. Si formò nella bottega di un restauratore di vetrate. Nel 1891 entrò all’École des Beaux-Arts di Parigi dove divenne l’allievo prediletto del simbolista Gustave Moreau. Qui conobbe e divenne amico di Henri Matisse, con il quale iniziò, appunto, l’avventura del Fauvisme pur mantenendo una posizione un po’ defilata. Gli Ecce Homo di Rouault, icone moderne.
Spinto da un sincero anelito religioso, Rouault coltivò un’arte d’impronta marcatamente espressionista, molto spontanea e istintiva, forse più vicina agli esiti della pittura tedesca che di quella francese, la quale mantenne sempre un certo carattere intellettuale. Rouault rese protagonista delle sue opere un’umanità umiliata e marginale, incarnata da dolenti figure di prostitute, pagliacci, maschere comiche e beffarde. Fu certamente la sua esperienza di pittore di vetrate a guidarlo nell’elaborazione di un peculiare linguaggio pittorico, caratterizzato da composizioni essenziali, contorni neri, spessi e marcati, colori vivaci stesi a campiture piatte e uniformi.
Frequentissima, nei suoi dipinti, è la figura di Cristo, crocifisso o in pietà, vittima sacrificale, simbolo del dolore riscattato dalla fede nella redenzione, che spesso l’artista amò presentare sia come remissivo Ecce Homo coronato di spine sia attraverso l’immagine del suo Sacro Volto, quello che secondo la tradizione restò impresso nel panno della Veronica e che oggi molti riconoscono nell’impronta corporale della Sacra Sindone.
La dolentissima immagine del Cristo oltraggiato, eppure mite e obbediente come agnello condotto al macello, e come tale manifesta testimonianza del dolore nel mondo (sia pure illuminato dalla fede nella resurrezione), questa immagine, dicevamo, fu il tramite per affrontare il tema straziante del mal di vivere e del pessimismo esistenziale: un tema personale e universale insieme, che lo accomunò ad altri pittori del Simbolismo e dell’Espressionismo, da Van Gogh a Munch, da Kirchner a Schiele. Ma nessun artista, tra Otto e Novecento, manifestò, come Rouault, una spiritualità così intensa. Attraverso la sua pittura egli compì “un viaggio nell’inferno, ma con la fede nella redenzione”.
D’altro canto, Rouault è giustamente considerato come uno dei principali pittori di arte sacra del Novecento, colui che più di tutti, e con maggiore talento, volle recuperare la grande iconografia cristiana del passato per riproporla in una nuova chiave interpretativa. I suoi Ecce Homo sono icone contemporanee, che non ricusano il linguaggio figurativo, non si rifugiano nel più rigoroso astrattismo, alla maniera di Malevič e dei successivi informali.
Al contrario, esse rimandano esplicitamente al mai tramontato e dimenticato linguaggio delle icone bizantine, delle quali si presentano come la forma più convinta di evoluzione moderna: vi ritroviamo la stessa calma frontalità, un medesimo rigore compositivo, un’analoga spiritualizzante idealizzazione, una simile funzione devozionale e consolatoria.
L’arte contemporanea non mi appassiona ma questo Cristo dolente nella sua compostezza mi colpisce profondamente
Nel dolore del viso di Cristo spicca l’azzurro dell’aureola, segno di speranza