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Édouard Manet e i presupposti dell’Impressionismo
L’ispiratore di una rivoluzione pittorica.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Realismo ed Impressionismo – Data: Novembre 6, 2022 1 commento 11 minuti
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Il pittore Édouard Manet (1832-1883) ebbe genitori ricchi e influenti. Il padre era un giudice, la madre era figlia di un diplomatico, nonché figlioccia del re di Svezia. Entrambi sognavano per lui un’autorevole carriera. Quando il figlio manifestò l’intenzione di dedicarsi all’arte, cercarono in ogni modo di fargli cambiare idea; poi, cedendo alle sue insistenze, gli concessero di frequentare per sei anni l’atelier del pittore accademico Thomas Couture, perché almeno si dedicasse alla “bella pittura”.

Édouard Manet, Autoritratto con tavolozza, 1878. Olio su tela, 83 x 67 cm. Greenwich, Connecticut (Usa), Steven A. Cohen Collection.

La vocazione realista

Impegnato ad acquisire una solida tecnica, Manet copiò a lungo le opere dei maestri olandesi e spagnoli esposte al Louvre. Tuttavia, sulla scorta degli esempi del pittore realista Gustave Courbet egli elaborò una propria idea di arte, che concepì legata unicamente alla realtà contemporanea.

Questa vocazione per il Realismo fece di Manet un artista, per certi versi, anomalo. Quando furono esposte le sue prime opere, egli era del tutto sconosciuto, sicché il pubblico, scandalizzato dall’audacia delle sue invenzioni, se lo figurò come un bohémien trasandato, probabilmente alcolizzato e sicuramente dissoluto. Non avrebbe certo immaginato che Manet fosse un gentiluomo colto e raffinato, un parigino elegante, amante della bella vita e dei locali alla moda, abile conversatore, cortese, ironico, adorato dalle donne e ammirato dagli uomini.

Di bell’aspetto, biondo e dalla lunga barba curatissima, l’artista era sempre impeccabilmente vestito. Mai avrebbe rinunciato ai suoi guanti di pelle scamosciata e al suo cappello a cilindro, nemmeno per una semplice passeggiata in campagna. Per certi versi ha dell’incredibile che un signore del genere avesse deciso di dedicarsi alla pittura; ed è ancora più sconcertante che avesse voluto abbracciare la strada della pittura moderna.

Édouard Manet fotografato da Nadar.

Il bevitore di assenzio

A causa dei soggetti scelti per le sue opere e dello stile adottato, l’artista si scontrò per tutta la sua vita con la giuria del Salon, che respinse ripetutamente i suoi quadri giudicandoli volgari e incompleti. Il bevitore di assenzio, fu, per esempio, rifiutato al Salon del 1859. L’opera mostra un noto bohémien che frequentava il quartiere del Louvre, raffigurato in una strada di Parigi, inebetito dall’abuso di assenzio, accasciato contro il muro, con il cappello ammaccato e la bottiglia vuota che rotola via.

Manet aveva quindi scelto di dedicare un quadro a un qualunque alcolizzato che si era abbandonato al vizio, alla miseria, al degrado fisico e morale. L’immagine, impostata prevalentemente su toni scuri (neri, grigi, marroni), è ottenuta con pennellate grasse e spesse, con poca o nessuna attenzione per la resa dei dettagli. Il suo maestro Couture, indignato per la sortita dell’allievo, ruppe con lui ogni rapporto; anzi, affermò che doveva essere stato Manet a fare uso di assenzio per aver dipinto un simile quadro. Non fu tanto la tecnica innovativa del giovane pittore a offenderlo, quanto il soggetto, tratto dall’infima vita di strada della Parigi contemporanea.

Édouard Manet, Il bevitore di assenzio, 1859. Olio su tela, 1,81 x 1,06 m. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptothek.

Musica alle Tuileries

In verità, spesso Manet amò trarre ispirazione anche dalla realtà altolocata in cui viveva. Assiduo frequentatore dei boulevards parigini, dei locali alla moda e di ogni pubblica manifestazione elegante, come tutti i signori, non mancava di recarsi ai concerti bisettimanali tenuti nei giardini del Louvre, abituale occasione di incontro della bella società parigina. Musica alle Tuileries, dipinto nel 1862 ma esposto in una galleria privata nel 1863, è un esempio precoce di pittura di vita moderna en plein air, sia pure ricostruita in atelier.

Il quadro mostra l’autore stesso, rappresentato all’estrema sinistra, assieme a un pubblico di nobili, critici, poeti e artisti, riuniti ai giardini delle Tuileries per ascoltare la musica. Gli uomini indossano eleganti tight e cappelli a cilindro, le signore sono coronate da variopinti cappelli e le bambine portano grandi fiocchi colorati in vita. Quasi tutti sono già seduti sulle loro sedie, attendono che il concerto inizi e chiacchierano con garbo aristocratico.

Édouard Manet, Musica alle Tuileries, 1862. Olio su tela, 76 x 118 cm. Londra, National Gallery.
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Le premesse di una rivoluzione

Il dipinto, nonostante il soggetto elegante, irritò ugualmente il pubblico, a causa del linguaggio pittorico adottato dall’artista. I contrasti cromatici apparivano troppo stridenti, le forme poco definite; mancavano gli sfumati, i morbidi chiaroscuri della tradizione. Inoltre, considerando l’argomento affrontato, il quadro appariva decisamente troppo grande. I concerti all’aperto erano stati un soggetto abituale per gli artisti del XVIII secolo ma, per dipingere quest’opera, Manet (ispirato da Courbet) aveva adottato gli stessi mezzi espressivi della grande pittura di storia: e questo non poteva essere tollerato. «Il grande delitto di Manet non è tanto quello di dipingere la vita moderna, quanto di dipingerla a grandezza naturale», scrisse un critico del tempo, Jules Marthold.

Nel 1862, morì il padre del pittore. Manet ereditò un grosso capitale che gli consentì di vivere agiatamente per tutto il resto della vita. È un particolare biografico di non poco conto: l’agiatezza economica lo incoraggiò a sperimentare senza preoccuparsi di dover guadagnare dalla propria arte. Anche gli artisti, per vivere, hanno bisogno di soldi, soprattutto se devono mantenere una famiglia. Chi non ha problemi di stipendio può permettersi le sperimentazioni più azzardate, correndo il rischio di non vendere nulla di quanto produce.

Le déjeuner sur l’herbe

Il 1863 segnò profondamente la carriera di Manet: quell’anno egli presentò, al Salon, Le déjeuner sur l’herbe, ‘La colazione sull’erba’, poi esposto al Salon des Refusés. L’opera scandalizzò terribilmente il pubblico e la critica, non solo per il suo soggetto, un gruppo di quattro persone, tra cui una donna nuda, seduta e affiancata da due uomini completamente vestiti, ma anche per la tecnica pittorica adottata, che forniva indicazioni solo sommarie nella descrizione delle forme e dei particolari del fondo. In particolare, Manet scelse di definire la profondità non attraverso la prospettiva tradizionale ma suggerendola tramite una semplice giustapposizione di macchie di colore diverso. Questa tecnica rivoluzionaria avrebbe aperto la strada del successivo movimento impressionista, di cui non a caso Manet è considerato un precursore.

Édouard Manet, La colazione sull’erba, 1863. Olio su tela, 2,08 x 2,64 m. Parigi, Musée d’Orsay.
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L’Olympia

Anche l’Olympia, dipinto lo stesso anno ma esposto al Salon del 1865, suscitò scandalo. L’opera presenta una prostituta completamente nuda, sdraiata sopra il suo letto disfatto, che si rivolge all’osservatore con espressione sfrontata. Il quadro, che la critica del tempo giudicò osceno, era una deliberata provocazione: sebbene i bordelli costituissero una realtà conosciuta da tutti, nessun artista aveva mai osato dipingere una prostituta nella posa della Venere di Urbino di Tiziano.

Édouard Manet, Olympia, 1863. Olio su tela, 1,3 x 1,9 m. Parigi, Musée d’Orsay.
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L’incontro con gli impressionisti

Manet fu oggettivamente un provocatore; tuttavia, e questo per certi versi può apparire contraddittorio, visse con sofferenza il confronto perdente con i colleghi accademici, la generale incomprensione della critica e il mancato riconoscimento del pubblico. Voleva essere ribelle ma sperava di essere ammirato. Per questo si decise ad allacciare un rapporto più stretto con altri artisti che a quell’epoca erano oggetto di critiche violente: i futuri impressionisti.

Nel 1863 conobbe Degas, stringendo con lui una duratura amicizia. Anche Degas, che era pressappoco suo coetaneo, cercava già da qualche anno, ma invano, di farsi accettare sia dal pubblico sia dalla giuria del Salon. Nel 1866 Manet scoprì che al Salon esponeva un pittore con il nome quasi uguale al suo e che il pubblico li confondeva: si trattava di Monet. Irritato, volle conoscerlo. L’incontro avvenne qualche mese dopo, in un bar. Monet si presentò con Renoir, Manet con Degas. Da allora, i quattro iniziarono a frequentarsi regolarmente.

Édouard Manet, Gare Saint-Lazare, 1873. Olio su tela, 93,3 x 111,5 cm. Washington, National Gallery of Art.
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La fase impressionista

Nel 1870, sollecitato da Monet, Manet iniziò a dipingere ad olio all’aria aperta.  Notiamo che, rispetto alle sue opere precedenti, nei nuovi dipinti Manet presenta colori molto più chiari e trasparenti, distribuiti con pennellate più leggere. Alcuni elementi di un linguaggio più propriamente impressionista emersero tuttavia a partire dal 1874; nell’estate di quell’anno, infatti, Manet trascorse molto tempo in compagnia di Monet e Renoir ad Argenteuil. Sono frutto dell’influenza dei più giovani artisti sia la tecnica adottata sia la scelta, sempre più frequente, di soggetti urbani. È quindi lecito parlare di una fase impressionista della pittura di Manet, anche se questo non fa di lui un impressionista a pieno titolo. L’amicizia e la condivisione di alcune idee non gli fecero cambiare posizione rispetto all’attività del gruppo, che non lo convinse mai completamente.

Édouard Manet, Ritratto di Émile Zola (Portrait d’Émile Zola), 1868. Olio su tela, 1,46 x 1,14 m. Parigi, Musée d’Orsay.

Risale al 1877 un nuovo soggetto sulla prostituzione: una raffigurazione di Nanà, protagonista dell’omonimo romanzo dello scrittore, e suo amico, Émile Zola, mostrata in compagnia di un cliente.

Édouard Manet, Nanà, 1877. Olio su tela, 1,54 x 1,15 m. Amburgo, Kunsthalle.

Il bar delle Folies-Bergère

È del 1881-82 Il bar delle Folies-Bergère, uno degli ultimi quadri di Manet. Una barista dall’espressione assente si trova dietro un bancone carico di bottiglie. Alle sue spalle, il grande specchio riflette la gente seduta ai tavolini del locale. Un effetto prospettico deliberatamente falso ci permette di vedere nello specchio allo stesso tempo la donna e un uomo che sta per rivolgerle la parola.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Olio su tela, 96 x 130 cm. Londra, Courtauld Institute Galleries.
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La morte prematura

Nell’autunno del 1882, Manet fu colpito da una paralisi che poi degenerò in cancrena. Poco prima di morire, con il consueto spirito provocatorio, l’artista apostrofò l’influente critico di «Le Figaro», Albert Wollf: «Non mi dispiacerebbe leggere finalmente, mentre sono ancora vivo, il meraviglioso articolo che mi dedicherete non appena sarò morto». In verità, Wollf non fu così generoso con il pittore scomparso: «Morire a cinquant’anni, lasciando due opere eccellenti che meritano di essere ammesse tra le espressioni dell’arte francese, è per un artista gloria sufficiente». Non sapremo mai quali “opere eccellenti” di Manet, secondo il critico, erano degne di entrare al Louvre. Tuttavia, è chiaro che anche Wollf aveva ampiamente sottovalutato la sua arte.

Édouard Manet, Il balcone, 1868-69. Olio su tela, 1,70 x 1,24 m. Parigi, Musée d’Orsay.

Manet precursore dell’Impressionismo

Tradizionalmente, Manet è considerato il precursore e l’ispiratore della stagione impressionista, anzi, è stato definito il “padre dell’Impressionismo”. Senza dubbio lo fu, perché i futuri pittori impressionisti lo considerarono antesignano della modernità, lo elessero a loro ideale maestro e, almeno inizialmente, scelsero i suoi dipinti come modelli. È dunque impossibile parlare di Impressionismo prescindendo da Manet; tuttavia, sarebbe scorretto definire propriamente impressionista questo pittore, che non volle mai esserlo considerandosi, nella sostanza, un realista.

Édouard Manet, Colazione nell’atelier, 1868. Olio su tela, 1,18 x 1,53 m. Monaco, Neue Pinakothek.

Vero è che Manet non condivise mai, con Courbet, né l’estrazione sociale né la cultura né la preparazione e neppure certi estremismi politici di stampo socialista; è però innegabile che la sua pittura presenta ancora quella verve polemica, quel gusto per la provocazione e quella spiccata volontà di denuncia (dell’ipocrisia borghese, soprattutto) che sarebbero poi diventati estranei al futuro Impressionismo. Manet fu un amico sincero degli impressionisti, di Monet e Degas soprattutto, ma non volle mai completamente integrarsi con il loro gruppo. Quando questi decisero di organizzare la loro prima mostra, egli non si fece coinvolgere nel progetto e nemmeno volle partecipare alle loro successive esposizioni. «Il Salon è il vero campo di battaglia. È lì che si ha la misura delle cose», dichiarò. Dal suo punto di vista, il Salon restava comunque, nel bene e nel male, l’arena dove un artista doveva affrontare il giudizio del pubblico.

Édouard Manet, La prugna, 1877. Olio su tela, 73,6 x 50,2 cm. Washington, National Gallery of Art.


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  1. il realismo comporta un confronto con la tecnica fotografica. mi chiedo se un pittore come Manet abbia mai pensato di fare fotografie o le abbia usate per realizzare alcuni dei suoi dipinti. oppure consapevole della superiorità tecnica del mezzo fotografico in termini di accuratezza della rappresentazione della realtà e della maggiore velocità di esecuzione, abbia scelto la pittura per il puro piacere della pennellata e per sfidare la realtà stessa che in un dipinto non è così implacabile come la vede l’occhio umano che poi con la fotografia diventa occhio tecnico, sempre più oggettivo ma meno poetico.

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