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Il Fauno Barberini, noto anche come Fauno dormiente o Satiro ubriaco, è una delle sculture più celebrate e ammirate dell’Ellenismo greco. L’originale, che risaliva al III secolo a.C., proveniva probabilmente da Pergamo. Quella conservata oggi in Germania è una copia romana di ottima fattura (molti tuttavia sostengono si tratti di un originale greco).
Fu ritrovata, nel 1624, in uno dei fossati di Castel Sant’Angelo (un tempo Mausoleo di Adriano) ed entrò a far parte della collezione del cardinale Francesco Barberini, a cui deve il nome. La statua era gravemente danneggiata: mancavano, infatti, la gamba destra, parti di entrambe le mani e parti della testa; quelle che noi oggi vediamo sono frutto di restauri antichi, antecedenti al XIX secolo.
Siccome lo storico bizantino Procopio narra che, durante l’assedio di Roma del 537, i romani gettarono dal Mausoleo di Adriano sui Goti alcune statue, è stato ipotizzato che anche il Fauno abbia subito questa sorte. Nel 1814, l’opera fu venduta al principe ereditario Ludovico di Baviera (decisione che suscitò la condivisibile indignazione di artisti e letterati, a partire da Antonio Canova) e così, oggi, è la perla della Glyptothek di Monaco.
La statua, in marmo, rappresenta un fauno addormentato sopra una roccia, probabilmente a seguito di una sbornia, in una posa asimmetrica e volutamente sgraziata, con il braccio destro piegato dietro la testa per sostenerla. Un gesto tanto naturale quanto difficile da realizzare con il marmo. Il suo fisico è atletico e la definizione muscolare straordinaria.
Se non fosse per le orecchie a punta e per la coda che sbuca dalla parte posteriore (unitamente alla corona di edera e alla pelle di pantera), sembrerebbe un bellissimo e sfacciato giovanotto, che con fare sfrontato, in una posa impudica, allarga le gambe mostrando i genitali, come ci si può aspettare da un personaggio mitologico come il fauno, dotato di spirito sensuale e disinibito.
Una curiosità: l’opera è stata recentemente reinterpretata dallo scultore contemporaneo Jeff Koons, che l’ha riprodotta integrandola con una delicata sfera di vetro soffiato blu. «Mentre tutte le sculture sono ancorate alle loro narrazioni distinte, derivate dalla storia dell’arte e dalle città suburbane», spiega il critico d’arte Francesco Bonami, «l’apparenza fragile e delicata della palla stabilisce quel senso di equilibrio incerto che esiste tra storia e fantasia, magia e materialità, cultura di massa e bellezza esclusiva».
Splendido nell” abbandono della sua sensualità disinibita.