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Nel corso della sua lunga e fortunata carriera, lo scultore e architetto Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), incontrastato genio del Barocco italiano, realizzò ben sette fontane: cinque a Roma (Fontana della Barcaccia, Fontana dei Fiumi, Fontana del Moro, Fontana del Tritone, Fontana delle Api), una a Canale Monterano presso Roma (Fontana del Leone) e una a Villa d’Este, a Tivoli (Fontana del Bicchierone).
Il rapporto con il gioco infinito dell’acqua fu uno dei temi più suggestivi dell’arte berniniana: l’acqua è vita, è movimento, è spettacolo, nella sua presenza l’artista coglie uno strumento di meraviglia. A differenza delle fontane architettoniche rinascimentali, quelle di Bernini sono concepite in funzione dell’acqua, protagonista assoluta; sono “macchine” che danno lustro alla città, celebrano il prestigio dei committenti, danno sollievo ai cittadini durante la calura estiva, li allietano con i loro spruzzi e i loro suoni, li stupiscono con le loro invenzioni plastiche e scenografiche.
La Fontana della Barcaccia, realizzata da Pietro e Gian Lorenzo Bernini tra il 1627 e il 1629 in Piazza di Spagna, s’ispira a un tipo di imbarcazione bassa e larga che solcava il Tevere trasportando le botti di vino. A causa dello scarso dislivello fra acquedotto e piazza, che avrebbe permesso solo un basso zampillo, Bernini pensò bene di far “affondare” la barca in una vasca posta leggermente più in basso della quota del suolo.
La Fontana del Tritone fu realizzata nel 1643 in Piazza Barberini, su incarico di papa Urbano VIII, nella piazza aperta di fronte al palazzo che il pontefice si era fatto costruire nel 1625. La fontana è dotata di una vasca mistilinea in travertino, piuttosto bassa, dalla quale emergono quattro mostri marini che a loro volta sollevano con le code una grande conchiglia bivalve aperta, sulla quale sta seduto un Tritone.
Questi, creatura marina fantastica e mitologica, metà uomo metà pesce, suona una conchiglia tortile, o buccina, producendo un altissimo spruzzo che richiama l’idea di un lungo ed energico suono. L’immagine è di suggestione letteraria, ed è ispirata dalle Metamorfosi di Ovidio, dove si legge di un Tritone che suona la sua buccina per annunciare il trionfo degli déi. Tra le code dei delfini sono collocati due stemmi papali con le tre api, simbolo araldico della famiglia Barberini.
La Fontana delle Api è una piccola fontana realizzata da Bernini nel 1644, all’angolo di palazzo Soderini, tra piazza Barberini e via Sistina, e destinata ad uso pubblico e come abbeveratoio per i cavalli. Presenta la forma suggestiva di una conchiglia bivalve aperta, con la parte superiore verticale. Un tempo, la valva inferiore, che funge da vasca, si trovava a livello stradale, a causa della pressione idrica troppo debole. Come la Fontana del Tritone, fu opera di commissione papale e proprio in onore di Maffeo Barberini, ossia di papa Urbano VIII, l’artista scelse di ornarla con tre grandi api, simbolo araldico della famiglia del pontefice.
Lo scorrere dell’acqua dalle bocchette ricorda, tuttavia, anche il ronzio delle api in volo: come nella Fontana del Tritone, quindi, Bernini giocò con l’assonanza, tutta barocca, tra immagine e suono. La fontana venne smontata nel 1880 perché creava intralcio alla viabilità. Nel 1915, fu ricostruita, in parte riutilizzando pezzi originali e in parte creando le copie di quelli perduti, e collocata nell’attuale posizione isolata, all’imbocco di via Veneto da piazza Barberini.
Nel 1644 Urbano VIII morì, e salì al soglio pontificio Innocenzo X Pamphilj, che intese differenziarsi profondamente dal suo predecessore in campo politico-economico come pure in quello artistico. Innocenzo, tra l’altro, detestava Bernini, fosse stato solo per l’amicizia che lo legava a Urbano VIII. Il pontificato Pamphilj segnò dunque una battuta d’arresto nel percorso trionfale dell’artista, i cui privilegi a corte non furono riconfermati; il nuovo pontefice, anzi, evitò in ogni modo di coinvolgerlo nelle imprese papali, preferendogli l’architetto rivale Francesco Borromini.
Tuttavia, fu proprio in quel periodo, nel 1648 per l’esattezza, che l’artista ebbe occasione di realizzare una delle sue fontane più grandiose e spettacolari: la grande Fontana dei Fiumi per Piazza Navona, che Innocenzo, suo malgrado e dopo aver vagliato tutte le proposte dei concorrenti, inclusa quella di Borromini, alla fine gli commissionò, riconoscendo la superiorità del suo modello. Secondo quanto riporta il Baldinucci, il papa affermò che l’unico modo per non affidare incarichi al Bernini era non vedere affatto i suoi progetti.
La fontana fu realizzata al centro di Piazza Navona, in sostituzione di una semplice vasca quadrata destinata all’abbeveraggio dei cavalli. L’idea fondante che la caratterizza è quella del grande plinto roccioso, eretto dentro una grande vasca ellittica e dalle cui fessure sgorga l’acqua. Agli angoli del plinto si agitano quattro poderose figure maschili che rappresentano altrettanti fiumi, il Danubio, il Nilo, il Gange e il Rio de la Plata, simboli dei continenti allora conosciuti.
Concepita in un momento di disagio per la Chiesa cattolica, poco dopo la pace di Westfalia che aveva sancito definitivamente la tolleranza nei confronti di tutte le confessioni religiose all’interno dell’impero, l’opera intendeva celebrare i trionfi del cattolicesimo nel mondo, dall’India alle Americhe.
Bernini non fu l’esecutore materiale della fontana, come spesso accadeva con le sue opere, ma solo l’ideatore. Lo scoglio centrale (del 1648) è infatti opera di Giovan Maria Franchi, il Nilo venne scolpito da Giacomo Antonio Fancelli e il Danubio da Antonio Raggi, entrambi nel 1650, mentre il Gange fu realizzato da Claude Poussin nel 1651, così come il Rio de la Plata da Francesco Baratta. Questi non riuscirono a terminare l’opera in tempo per l’anno santo del 1650: i lavori furono portati a termine solo l’anno dopo la chiusura del Giubileo.
In questa fontana, piante e animali si ricollegano ai continenti rappresentati. Ad esempio, il cavallo al galoppo accanto al Danubio rimanda alle pianure danubiane, il coccodrillo ricorda le lontane Americhe, il leone richiama le praterie africane. Bisogna dire che il coccodrillo ha un aspetto assai curioso, ma probabilmente né il Bernini né Francesco Baratta avevano mai visto una riproduzione di questo animale e quindi dovettero lavorare di fantasia.
Il Nilo si copre il volto con un panneggio, giacché le sue sorgenti all’epoca non erano state ancora scoperte. Ma la tradizione popolare vuole che Bernini avesse voluto fare dispetto al rivale Borromini, autore della prospiciente Chiesa di Sant’Agnese in Agone, coprendo gli occhi del fiume che si rifiutava di guardarla, tanto era brutta. Così, anche il Rio della Plata alzerebbe il braccio per difendersi dall’eventuale crollo del campanile borrominiano. Ma questa leggenda è del tutto priva di fondamento, giacché la costruzione della chiesa è posteriore a quella della fontana.
Nella Fontana dei Fiumi, incastonato nella roccia del basamento, fra speroni sporgenti e grotte comunicanti, si innalza, sfidando le leggi della statica, un magnifico obelisco egizio (in realtà di epoca romana) ritrovato nel Circo di Massenzio e chiamato Obelisco Agonale, ora sovrastato dalla colomba dello Spirito Santo. È già difficile innalzare un obelisco: posizionarlo e tenerlo in equilibrio sopra il vuoto appare a dir poco temerario. Era l’ennesimo prodigio della tecnica, l’ennesima trovata di grande suggestione.
In realtà, l’obelisco è assolutamente stabile, perché viene a essere sostenuto (di fatto) da quattro “piedi” inclinati, ma l’artificio è tutt’altro che chiaro. Tale soluzione sembra l’applicazione del paradosso letterario «è del vero più bella la menzogna», un tipico esempio di “controstatica” barocca, cioè la negazione delle leggi fisiche della stabilità: un altro strumento essenziale della meraviglia berniniana.
La biografia del Bernini è sempre ricca di aneddoti e di colpi di scena. D’altro canto, come ha scritto Franco Borsi, uno dei più autorevoli studiosi novecenteschi del Barocco italiano, Bernini «possiede naturaliter una vivacità di aggressione e di persuasione, riflesso di una coerenza di forma mentis che rende l’attività artistica, anzi la vita dell’artista, ben prima delle moderne avanguardie, una continua performance. Come nell’opera d’arte ciò che conta è la scelta, la concentrazione del gesto, l’efficacia di una idea sola, così la vita si compie non attraverso un tessuto quotidiano di tempi e di azioni ma si coagula in momenti, e i momenti in “detti” e gesti».
Pare, per esempio, che per assicurarsi la commissione della realizzazione della fontana l’artista cercò l’alleanza di Donna Olimpia Maidalchini, potentissima cognata del pontefice, capace di esercitare una grande influenza sul papa, alla quale Bernini regalò un modello in argento dell’opera, alto ben un metro e mezzo.
I cronisti dell’epoca riferiscono di uno scherzo che Bernini orchestrò ai danni del pontefice. Il 12 giugno del 1651, giorno dell’inaugurazione dell’opera, l’artista fece trovare al papa e al suo seguito la fontana asciutta. A cerimonia conclusa, mentre il pontefice se ne stava andando, Bernini diede l’ordine di attivare la fontana, che improvvisamente iniziò a zampillare. Il papa tornò indietro in tutta fretta per riprendere la cerimonia, con grande soddisfazione di tutti. Il papa fu divertito da questo colpo di teatro e pare abbia detto all’artista: «Cavalier Bernini, con questa vostra piacevolezza ci avete accresciuto di dieci anni di vita!».
La Fontana dei Fiumi non è l’unica a ornare la grandiosa Piazza Navona. Alle estremità del grande spazio aperto si trovano, infatti, altre due fontane: la Fontana del Nettuno e la Fontana del Moro, quest’ultima opera del Bernini.
La Fontana del Nettuno, un tempo nota anche come Fontana dei Calderari perché adiacente alle botteghe dei fabbricanti di catini e vasi di rame, era stata realizzata nel 1575-76 da Giacomo della Porta, su incarico di Gregorio XIII e non aveva l’aspetto attuale. Inizialmente consisteva, infatti, in una semplice vasca dal profilo mistilineo. Bernini intervenne aggiungendo una seconda vasca, più grande e con lo stesso disegno mistilineo, che conteneva la precedente. Fu solo nel 1878 che vennero aggiunte le statue che ancora oggi la ornano, realizzate dagli scultori Antonio della Bitta e Gregorio Zappalà. Fu realizzata dal della Bitta, in particolare, la statua del Nettuno che oggi dà il nome alla fontana.
Anche la vasca della Fontana del Moro, che si trova nell’altro lato della piazza, quello meridionale, dove si trova Palazzo Pamphilj, era stata disegnata e realizzata dal Della Porta. Era ornata di mostri marini, da un drago e da un’aquila e presentava agli angoli quattro tritoni con la buccina. L’acqua zampillava al centro della fontana, da finti scogli. In occasione della realizzazione della Fontana dei Fiumi, papa Innocenzo X chiese al Bernini di ampliarla ed integrarla, per dare maggiore lustro al palazzo di famiglia appena ultimato, dove abitava Donna Olimpia, cognata del pontefice.
Inizialmente, Bernini sostituì gli scogli al centro con tre delfini che sorreggevano una lumaca, da cui zampillava l’acqua. Ma questa soluzione venne considerata poco autorevole. L’artista creò allora una figura di uomo (in realtà un muscoloso tritone) che tiene tra le gambe un delfino, dalla cui bocca fuoriesce un getto d’acqua. Giacché i tratti somatici di questo personaggio richiamavano vagamente quelli di un uomo di colore, la fontana venne detta «del Moro». Bernini aggiunse anche la seconda vasca, come nel caso dell’altra fontana a Nord.
Appartengono al catalogo del Bernini anche altre due fontane “minori”. La prima, detta Fontana del Leone, si trova a Canale Monterano, presso Roma. Incaricato dalla famiglia Altieri della sistemazione del Palazzo Baronale, Bernini creò una fontana sfruttando e integrando le fondamenta rocciose su cui era posta la struttura; lui che tanto amava creare basamenti rocciosi, questa volta poté sfruttare delle rocce vere. Proprio sopra la fontana, collocò la scultura di un leone che scuote la roccia per farne scaturire l’acqua.
Villa d’Este è una meravigliosa villa rinascimentale che si trova alle porte di Roma, a Tivoli. Fu commissionata dal cardinale Ippolito d’Este, che aveva ricevuto in dono da papa Giulio III diversi territori in quella zona. Fu inaugurata nel 1572, e negli anni vi lavorarono artisti di altissimo livello, tra cui il Bernini. Il meraviglioso giardino della villa e il viale che conduce all’edificio sono arricchiti da cento fontane, una delle quali, detta Fontana del Bicchierone, fu realizzata dal Bernini, sotto la loggia di Pandora, su commissione del cardinale Rinaldo d’Este, tra il 1660 e il 1661.
La fontana è composta da un grande bicchiere a calice dentellato, collocato dentro una conchiglia. Dal “bicchierone” un tempo zampillava un alto getto d’acqua, successivamente ridimensionato dallo stesso Bernini perché disturbava la vista dalla loggia retrostante. A differenza di altre opere berniniane, questa fontana fu realizzata con materiali poveri, ossia mattoni, malta e stucco, dunque senza l’impiego del travertino, e poi rivestita di pietre e marmi antichi.
Grazie
Grazie x questi capolavori.
La Storia di da merito.