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Frida Kahlo (1907-1954) è non solo l’artista messicana più conosciuta dal grande pubblico ma anche una delle pittrici più famose della storia dell’arte. Figlia di un fotografo tedesco e di una messicana di origini indios, nacque affetta da spina bifida, con una gamba meno sviluppata dell’altra.
All’età di 18 anni fu vittima di uno spaventoso incidente che le provocò numerosissime fratture. L’autobus su cui viaggiava si scontrò con un tram, schiantandosi contro un muro. Frida si spezzò la colonna vertebrale in tre punti, nella zona lombare; si ruppe il collo del femore, le costole, l’osso pelvico; la gamba sinistra riportò undici fratture; il piede destro venne schiacciato; il passamano dell’autobus le trafisse l’anca sinistra, entrandole in un fianco e uscendole dalla vagina (non poté mai avere figli, con suo grandissimo dispiacere). Subì, a causa di questo incidente, ben 32 operazioni chirurgiche e fu costretta a rimanere a letto immobile per mesi, con il busto ingessato, anche in più fasi della sua vita.
Fu, questa, una circostanza che incise fortemente sulla maturazione della sua complessa personalità. Da un lato, Frida si chiuse in sé stessa; dall’altro, rafforzò il proprio carattere. D’altro canto, sin da giovane questa donna dimostrò i tratti di un temperamento passionale, ribelle a ogni convenzione, sociale e anche sessuale.
Durante la lunghissima convalescenza, Frida iniziò a dipingere, per colmare il vuoto della solitudine e contrastare la noia. Iniziò ad autoritrarsi: gli autoritratti avrebbero costituito, in effetti, la parte più consistente della sua produzione.
I genitori le regalarono un letto a baldacchino, dotato di uno specchio sul cielo, in modo che la ragazza potesse vedersi. Grazie a quello specchio, Frida poté iniziare quel corpo a corpo con la sua immagine che avrebbe determinato la sua arte e che sarebbe durato per tutta la vita.
Rimessasi in piedi, nonostante i dolori che non l’avrebbero mai più abbandonata, Frida decise di sottoporre le sue prime opere al giudizio del pittore Diego Rivera, che rimase colpito dal talento naturale della giovane e la incoraggiò a continuare. Tra i due nacque una relazione sentimentale che sfociò nel matrimonio, nel 1929 (lui aveva 21 anni più di lei e Frida era la sua terza moglie). Il rapporto fu molto tormentato a causa dei continui tradimenti dell’uomo. Anche Frida decise di tenere aperta quella relazione, concedendosi numerosi rapporti extraconiugali (fu anche l’amante del rivoluzionario russo Lev Trotsky e del poeta André Breton), molti dei quali di natura omosessuale.
Nel 1939, Frida e Diego divorziarono; ma già un anno dopo lui le chiese di sposarlo nuovamente e lei accettò, anche se tra molti dubbi. Avrebbe affermato: «Ho subito due gravi incidenti nella mia vita. Il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera».
Frida sviluppò una poetica artistica fortemente autobiografica e introspettiva, trattando in modo esplicito del rapporto con il suo corpo martoriato. Ella, infatti, rappresentò sé stessa attraverso immagini cariche di simbolismi, talvolta decisamente surreali ma comunque comprensibili. Affrontò i suoi demoni con la pittura, tradusse il dolore in arte, esorcizzò con la pittura la paura della morte (la Pelona, così la chiamava) che ella percepiva sempre accanto a lei, ferma a fissarla. «Dal momento che i miei soggetti sono stati sempre le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita è andata producendo in me, ho di frequente oggettivato tutto questo in immagini di me stessa, che erano la cosa più sincera che io potessi fare per esprimere ciò che sentivo dentro e fuori di me». D’altro canto, secondo Frida, «il dolore è necessario per generare bellezza».
Quando il poeta surrealista André Breton vide le sue opere, definì la Kahlo «una surrealista creatasi con le proprie mani» e organizzò per lei una mostra a Parigi, nel 1939. Frida, tuttavia, non si riconobbe mai in quel movimento che reputava troppo intellettuale. «Pensavano che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà». «La visione di Frida era assai diversa da quella dei surrealisti», scrive la critica d’arte Hayden Herrera. «La sua arte non era il prodotto della disillusa cultura europea alla ricerca di una via d’uscita dai limiti della logica attraverso l’immersione nel subconscio.
La sua immaginazione era piuttosto il prodotto del suo temperamento, della sua vita e del luogo; era un modo di scendere a patti con la realtà, non di scavalcarla per accedere a un altro territorio. Il suo simbolismo era quasi sempre autobiografico e relativamente semplice. Sebbene avessero una funzione privata, i dipinti di Frida, esattamente come i murali, intendevano produrre un significato accessibile».
Le due Frida fu dipinto nel 1939, subito dopo il divorzio da Diego Rivera. La Kahlo vi si immagina sdoppiata, come se avesse avuto una gemella cui si tiene per mano. I cuori delle due donne-Frida sono mostrati all’esterno del petto e sono collegati da una vena, tesa tra le due figure come una corda.
L’opera è chiaramente autobiografica: c’è la Frida vestita di bianco e sanguinante, ossia la sposa lasciata dal marito (che l’aveva tradita anche con la sorella), e la Frida in abiti messicani colorati, quella dei primi anni di matrimonio. Il cuore sano della seconda alimenta, attraverso il ricordo dei tempi felici, quello spezzato della prima.
Uno dei dipinti più famosi, tra quelli in cui Frida raffigurò sé stessa, è Autoritratto con collana di spine e colibrì, del 1940. L’artista messicana, vestita di bianco e posta in una posa rigida e frontale, indossa una collana di rami spinosi, che la feriscono propagandosi dal collo fino al petto.
La pittrice ostenta una grande calma e mostra di sopportare il dolore con atteggiamento stoico. Sembra totalmente concentrata su di sé, nonostante volga lo sguardo all’osservatore. Alle sue spalle notiamo una scimmietta e un gatto nero. Sempre al collo, la donna porta appeso un colibrì. Due farfalle viola si posano sui suoi capelli neri. Sullo sfondo, le grandi foglie verdi di una pianta tropicale e due libellule simili a fiori rendono esotica la scena. La scimmietta dovrebbe simboleggiare il figlio tanto desiderato e mai arrivato. Sappiamo che Diego le aveva regalato un animale come questo, perché le facesse compagnia.
Il gatto nero è simbolo del male che la insidiava quotidianamente. Farfalle e libellule simboleggiano la libertà ma anche la precarietà della vita. Il colibrì, chiaramente morto, rende visibile e concreta, al pari delle spine, la costante sofferenza della donna. D’altro canto, la collana richiama la corona di spine di Cristo: ella si presenta dunque come una martire. Il dolore che patisce è certamente fisico, legato ai suoi problemi di salute, ma è anche spirituale: un ennesimo riferimento alla fine del suo amore con Diego.
Non dimentichiamo che, nella tradizione popolare messicana, i colibrì morti erano utilizzati come amuleti per portare fortuna in amore. Qui, tuttavia, il colibrì è nero: è chiaro, dunque, anche questo riferimento all’amore finito, al rapporto fallito. Lo stile dell’opera, così marcatamente naïve, è caratterizzato dall’uso di colori accesi, come sempre nei dipinti di Frida, che a loro volta rendono manifesta la voglia di vivere di questa donna tenace, che mai rinunciò, nemmeno a un passo dalla morte, di celebrare il suo amore per la vita. «Una bomba coi nastrini»: così André Breton definì l’arte di Frida.
Autoritratto con collana di spine, al pari di altri autoritratti, ci mostra il consueto look di Frida, che la rese unica facendola diventare una vera e propria icona. La donna non usava depilarsi il viso, per una libera scelta.
Portava quindi le folte sopracciglia unite (il suo famoso “monociglio”) e anche i baffetti. Anzi, amava rendere ancora più evidenti questi suoi tratti già così accentuati definendo il monociglio con una matita color ebano. Frida intendeva esprimere la libertà di essere sé stessa, senza doversi piegare alle convenzioni e ai canoni estetici, in un’epoca in cui la donna era ancora considerata soprattutto come un oggetto del desiderio sessuale.
Un discorso analogo si può fare per la sua acconciatura, i vistosi gioielli e l’abbigliamento. I neri e lunghi capelli di Frida erano sempre acconciati in modo vistoso e decorati con fiori o foulard. Gli abiti della Kahlo, coloratissimi e dotati di grandi gonnelloni e ricchi ricami, erano ispirati alle tradizioni messicane precolombiane e volevano affermare l’identità culturale dell’artista, legatissima alle proprie radici. In particolare, Frida si ispirava al tehuana, il costume delle donne di Tehuantepec, protagoniste di una società matriarcale in cui le donne comandavano i mercati locali ed erano famose per il coraggio con cui deridevano gli uomini. Una esplicita provocazione all’imperante maschilismo, in un paese in cui le donne dovevano sottomettersi, obbedire al marito e dedicarsi alla famiglia.
Non dimentichiamo che Frida fu una vera e propria rivoluzionaria: amava sostituire la sua data di nascita, il 1907, con quella del 1910, anno della Rivoluzione Messicana in cui tanto credeva. Nel 1952 scrisse: «Spero, con la mia pittura, di essere degna del popolo cui appartengo e delle idee che mi danno forza. Voglio che il mio lavoro sia un contributo alla lotta del popolo per la pace e la libertà. Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. È in quel fuoco che sono nata, pronta all’impeto della rivolta fino al momento di vedere il giorno. Il giorno era cocente. Mi ha infiammato per il resto della mia vita. Da bambina, crepitavo. Da adulta, ero una fiamma».
Un’altra opera molto provocatoria di Frida fu Autoritratto con i capelli tagliati, dipinto nel 1940. La donna si ritrae vestita con abiti maschili di taglia abbondante, che nascondono le forme del corpo, e con i capelli cortissimi. L’artista tiene ancora le forbici in mano e guarda direttamente l’osservatore, come a volerlo sfidare a riconoscerla ancora come donna.
I suoi lunghi capelli tagliati sono sparsi sul suolo. In cima al dipinto si leggono le parole di una canzone popolare messicana, che dice: “Guarda, se ti amavo era a causa dei tuoi capelli. Ora che sei senza capelli, non ti amo più”. Un ennesimo schiaffo agli imperanti stereotipi che volevano le donne soggiogate a una certa idea di bellezza femminile e riconoscevano proprio ai capelli una fortissima carica seduttiva. Frida, in questa sua costante ricerca sul tema del doppio (doppi autoritratti, doppia sessualità, convivenza di maschile e femminile) non era nuova a mostrarsi in versione maschile, anche nella vita: sono conservate delle foto in cui, giovanissima con la sua famiglia, ella posa vestita da uomo.
Emblematico della produzione di Frida è l’Autoritratto con colonna rotta, del 1944. L’artista dipinse questo quadro quando la sua salute peggiorò e fu costretta a portare un busto di gesso per mantenere la colonna vertebrale in posizione eretta.
Si ritrae seminuda, con il corpo aperto (ma tenuto insieme da un corsetto di metallo), in modo da mostrare, al suo interno, una colonna ionica spezzata in vari punti: un chiaro riferimento al suo apparato scheletrico compromesso. Anche l’arido paesaggio sullo sfondo è solcato da profonde spaccature, che lo aprono come ferite. Frida sta piangendo, mentre numerosi chiodi di varie misure sono piantati nella sua carne. Il riferimento iconografico è alla figura di San Sebastiano, morto crivellato dalle frecce.
Frida, da comunista militante, non era credente (e appoggiava le posizioni anticlericali della maggioranza degli intellettuali messicani), eppure faceva spesso riferimento all’iconografia cristiana. Ella infatti riteneva che la rappresentazione dei martiri, comunque assai familiare agli occhi di qualunque osservatore occidentale, potesse, anche in chiave laica, richiamare con efficacia il tema del dolore, della sofferenza fisica e spirituale. Ella si presenta come una martire, resa tale non dal sacrificio nel nome di Cristo, ma dalla sua condizione di donna ed essere umano che pativa le traversie della vita. «Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, fintanto che potrò dipingere».
Nell’agosto del 1953, per un’infezione esitata in gangrena, a Frida venne amputata la gamba destra. Morì di embolia l’anno dopo. Venne cremata e le sue ceneri sono oggi conservate nella celebre Casa Azul, la Casa blu, oggi sede del Museo Frida Kahlo. Le sue ultime parole, scritte nel diario, furono: «Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più».