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Gaulli e Pozzo: la percezione dello spazio barocco
L’illusionismo della pittura per mostrare il Paradiso.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Seicento – Data: Febbraio 16, 2023 0 commenti 9 minuti
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La morte di papa Alessandro VII, nel 1667, segnò, a Roma, il declino della committenza papale e la fine di quel regime di esclusivo monopolio esercitato dai pontefici nei confronti degli artisti più affermati. Questa particolare situazione lasciò ampi margini di azione al mecenatismo degli ordini religiosi e in particolare dei gesuiti. Nel 1661, era stato eletto generale della Compagnia di Gesù Padre Giovanni Paolo Oliva (1600-1681).

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Padre Oliva era un appassionato cultore dell’arte, oltre che un buon amico di Gian Lorenzo Bernini, indiscusso maestro dell’arte barocca, il quale aveva realizzato, proprio per i gesuiti, la Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale e seguito molte imprese avviate su iniziativa dell’ordine, con un ruolo di consulente o di supervisore. Come Bernini, anche padre Oliva credeva fermamente nel potere propagandistico delle arti figurative. Un’arte animata dal vitalismo ecumenico poteva esprimere congiuntamente sia le esigenze delle rinnovate potestà temporali della Chiesa, sia le riaffermate verità dottrinali.

La Chiesa del Gesù a Roma. Interno, veduta grandangolare.

Giovan Battista Gaulli nella Chiesa del Gesù

Quando padre Oliva decise di far decorare la Chiesa del Gesù a Roma, fu certamente su consiglio di Bernini che si rivolse al genovese Giovan Battista Gaulli (1639-1709), detto il Baciccia (o anche il Baciccio). Protetto di Bernini, Gaulli si era formato nell’ambito dell’ambiente fiammingo-genovese di Rubens e di Van Dyck. Recatosi a Roma per sfuggire alla peste del 1657, aveva arricchito la sua cultura attraverso le opere di Raffaello, Annibale Carracci e Guido Reni; in un viaggio a Parma nel 1669 aveva poi subìto la suggestione delle cupole di Correggio.

Giovan Battista Gaulli e Antonio Raggi, Volta della Chiesa del Gesù a Roma.
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Giovan Battista Gaulli e Antonio Raggi, Volta della Chiesa del Gesù a Roma.

Il Trionfo del nome di Gesù

Fu tra il 1676 e il 1679 che Gaulli realizzò, per la Chiesa del Gesù a Roma, il Trionfo del nome di Gesù, considerato il suo capolavoro. Si tratta certamente di una delle più ambiziose decorazioni di tutto Barocco romano. Seguendo l’indicazione del bel composto berniniano, Baciccia annullò i confini tra la pittura e la decorazione a stucco, realizzata precedentemente da un altro allievo di Bernini, lo scultore Antonio Raggi (1624-1686), con l’intento di dare al fedele l’illusione che la chiesa si fosse davvero scoperchiata per mostrare uno scorcio di Paradiso: i demoni scuri precipitano dall’alto, traboccando dalla cornice e invadendo lo spazio reale della navata; i beati, sostenuti dalle nuvole, s’innalzano verso Gesù, il cui monogramma (IHS, simbolo anche della Compagnia) risplende emanando una luce abbagliante. Questa luce assume una duplice valenza, atmosferica e simbolica, alludendo all’azione della grazia e all’opera di salvezza del Cristo e della Chiesa.

Giovan Battista Gaulli, Trionfo del nome di Gesù, 1676-79. Affresco. Roma, Chiesa del Gesù.

«È la prima volta che l’ordine esprime i propri ideali non attraverso testi scritti, ma attraverso la pittura che in modo più plateale si presta a ribadire la vittoria trionfalistica della Chiesa cattolica e la lotta all’eresia» (A. Lo Bianco). L’affresco è dunque il risultato di una maturazione artistica ricca e poliedrica e, con la complessità del suo soggetto e la straordinaria articolazione dei motivi formali, si riallaccia direttamente alle fantasmagoriche composizioni di Pietro da Cortona.

Giovan Battista Gaulli, Trionfo del nome di Gesù, 1676-79. Particolare.

Dobbiamo dire che non c’è foto, per quanto ben fatta, che possa rendere l’effetto dal vivo di questo capolavoro: così, se non si entra nella chiesa, non si potrà mai comprendere lo sbigottimento che l’opera suscitò sui contemporanei di Gaulli, quando i ponteggi furono smontati. Le figure sembrano veramente sospese in aria, sovrapposte all’architettura della volta, con un effetto tridimensionale sbalorditivo.

Giovan Battista Gaulli, Trionfo del nome di Gesù, 1676-79. Particolare.

Andrea Pozzo nella Chiesa di Sant’Ignazio

La seconda grande commissione di padre Oliva, ossia la decorazione per la Chiesa di Sant’Ignazio, sempre a Roma, fu invece affidata a un artista gesuita, il trentino padre Andrea Pozzo (1642-1709), pittore, architetto, matematico, scenografo e trattatista. Pozzo fu una delle personalità emergenti del Barocco maturo e la sua pittura esercitò un influsso fondamentale sull’arte del Settecento, in Italia come nei territori tedeschi. Formatosi a Como e a Milano, nel 1665 entrò come fratello laico nella Compagnia di Gesù, per la quale iniziò a lavorare come pittore e ideatore di apparati per cerimonie religiose. Si trasferì a Roma nel 1681.

Chiesa di Sant’Ignazio, Roma. Interno. Veduta verso l’abside e la cupola dipinta in prospettiva.
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Andrea Pozzo, Prospettiva dipinta della cupola, 1685 ca. Affresco. Roma, Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola.

Nella Chiesa di Sant’Ignazio, Pozzo affrescò l’immagine di una cupola in prospettiva, dallo straordinario effetto tridimensionale, inoltre, decorò l’abside, la tribuna e la volta, quest’ultima con il Trionfo di Sant’Ignazio dipinto tra il 1688 e il 1694. L’iconografia e lo stile altisonante dell’opera traducono in maniera esemplare il programma gesuitico ed evidenziano l’intento propagandistico della commissione.

Roma, Chiesa di Sant’Ignazio. Interno, veduta zenitale verso la volta.

Le personificazioni dei quattro continenti allora conosciuti, dipinte nei pennacchi, alludono infatti alla diffusione mondiale dell’ordine, sorto per svolgere attività di predicazione e per difendere, nell’assoluta obbedienza al pontefice, i princìpi controriformistici. In questo affresco, a differenza che nel Trionfo del nome di Gesù di Gaulli, una complessa partitura di colonne e arconi dipinti crea un profondo spazio illusorio, il quale prolunga quello reale dell’edificio, ottenendo la massima resa illusionistica. La chiesa, virtualmente scoperchiata, si apre su un cielo chiarissimo che accoglie il santo in gloria.

Andrea Pozzo, Trionfo di Sant’Ignazio, 1688-94. Affresco. Roma, Chiesa di Sant’Ignazio.

L’uso di architetture inesistenti, che si collegano idealmente a quelle reali, rappresenta peraltro una costante del repertorio di Pozzo, che pubblicò anche un trattato a riguardo: Perspectiva pictorum et architectorum (1693-1702), destinato a diventare un testo fondamentale per gli scenografi e i pittori prospettici del Settecento. Nel 1704 padre Pozzo si trasferì a Vienna, dove trasformò e decorò la Chiesa dell’Università e affrescò il salone di Palazzo Liechtenstein con il Trionfo di Ercole (1704-8).

Andrea Pozzo, Trionfo di Sant’Ignazio, 1688-94. Affresco. Roma, Chiesa di Sant’Ignazio.

La percezione dello spazio barocco

Il grande affresco di Pietro da Cortona nel salone di Palazzo Barberini, con il Trionfo della Divina Provvidenza, aveva sancito il superamento dell’illusionismo prospettico rinascimentale e affermato una nuova concezione spaziale e decorativa. Trasfigurando le volte dei palazzi e le cupole delle chiese, infatti, la pittura ambì a suggerire l’illusione di spazi aperti e infiniti, estesi oltre i limiti materiali dell’architettura reale.

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Anche l’illusionismo prospettico rinascimentale, in verità, prolungava lo spazio reale nello spazio virtuale del quadro: si pensi solo ai capolavori di Masaccio, di Piero della Francesca, di Antonello da Messina; ma lo faceva applicando alla visione le leggi della geometria euclidea e soprattutto stabilendo un sistema proporzionale fondato sull’uomo, “misura di tutte le cose”. Si tratta di una differenza essenziale.

Andrea Pozzo, Trionfo di Sant’Ignazio, 1688-94. Particolare con l’America.

Nella pittura prospettica barocca, definita “cortonista” (perché proprio il Cortona ne era stato il precursore), l’uomo si perde nell’infinità dell’universo. Il principio umanistico dell’antropocentrismo era stato messo duramente in discussione dalle scoperte astronomiche del secolo. In particolare, la fine della concezione geocentrica del cosmo costrinse l’uomo a prendere coscienza di essere parte di un universo regolato da leggi eterne, che la mente umana non poteva controllare. All’inizio del secolo, il presentimento dell’infinito e la consapevolezza del relativismo generarono inquietudine e smarrimento, come dimostra il naturalismo caravaggesco. Ma dopo il 1630, l’arte barocca accettò l’idea di un universo incommensurabile e, affermando il primato dell’immaginazione sull’intelletto, cercò di renderla credibile.

Andrea Pozzo, Trionfo di Sant’Ignazio, 1688-94. Veduta angolare.

L’infinita continuità spaziale, cioè la rappresentazione di uno spazio fantastico, centrifugo e turbinante, tradusse in termini visivi la nuova concezione del mondo e della natura, di cui gli artisti celebrarono lo spettacolo esaltante. Questa volontà artistica di superare e modificare i limiti dell’ambiente reale, “sfondando” pareti, cupole, catini absidali e moltiplicando gli spazi illusionisticamente, avrebbe creato, nel corso del Seicento e per buona parte del Settecento, un vero e proprio genere pittorico chiamato quadraturismo, nell’ambito del quale si affermarono artisti altamente specializzati. Il quadraturismo, in particolare, prevedeva una pittura di finte architetture in prospettiva, con statue e decorazioni a stucco illusorie, che talvolta svaniscono in uno sfondo naturalistico, come il cielo o un paesaggio.

Andrea Pozzo, Trionfo di Sant’Ignazio, 1688-94. Particolare.
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Andrea Pozzo, Trionfo di Sant’Ignazio, 1688-94. Particolare.


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