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Il dipinto del Gioco sul toro è un capolavoro dell’antica civiltà cretese proveniente da un piccolo cortile sul lato est del Palazzo di Cnosso, oggi custodito presso il Museo Archeologico di Iraklion. I molti studi condotti sull’opera, negli ultimi cento anni, non hanno chiarito quando fu realizzato il dipinto.
Alcuni storici, infatti, propendono per una datazione piuttosto antica, 1650 a.C. circa. Essi sostengono che non tutto il palazzo di Cnosso crollò nel terremoto del 1625 a.C. e che il dipinto apparterrebbe al primo, più antico palazzo e sarebbe sopravvissuto al cataclisma. Altri studiosi, invece, propongono una datazione intorno al 1450 a.C. circa.
L’opera costituisce una vivace testimonianza della vita sull’isola. Essa infatti raffigura una taurokatàpsia, il gioco sul toro appunto, uno spettacolo sportivo molto diffuso a Creta: simile, per certi versi, alla nostra corrida ma senza essere cruenta. In base a quello che mostra il dipinto, quando il toro caricava gli acrobati lo afferravano per le corna, compivano un doppio salto mortale sulla sua groppa e infine saltavano a terra, in piedi, alle sue spalle. Era dunque un gioco difficile e molto pericoloso, dove gli atleti dovevano dare prova di coraggio e coordinamento, di forza ed eleganza al tempo stesso. Un simile esercizio era certamente carico di significati simbolici: dominando senza armi la cieca violenza dell’animale, l’uomo celebrava la sua vittoria sulla brutalità della natura.
Il dipinto, realizzato con una tecnica molto simile a quella dell’affresco, fu rinvenuto in condizioni rovinose. Nonostante i pesanti interventi di restauro, questa immagine resta la più significativa dell’arte cretese. Il centro della scena è dominato dal toro e da una figura maschile di acrobata, la cui epidermide presenta il caratteristico colore scuro.
Ai lati, l’equilibrio compositivo è garantito dalla presenza di due ragazze, vestite con il solo perizoma maschile ma riconoscibili dal colore chiaro della pelle. È, questa, una testimonianza davvero interessante del ruolo assunto dalle donne nell’ambito della società cretese: in questo caso, due atlete gareggiavano assieme agli uomini (qualcosa che sarebbe stato impensabile per la successiva civiltà greca).
La figura di sinistra afferra le lunghe corna del toro, come apprestandosi ad iniziare il suo volteggio; la figura di destra, invece, ha le braccia sollevate e le punte dei piedi non ancora posate al suolo, come se stesse atterrando elegantemente dopo aver compiuto il salto.
Con tutta evidenza, le singole posizioni dei tre differenti acrobati vogliono sintetizzare, come in una sequenza cinematografica, i tre momenti fondamentali dell’esibizione. Gli acrobati e il toro, rappresentati senza particolare solennità, esprimono con grande efficacia un vivace effetto di movimento. Tale risultato è raggiunto anche grazie alla composizione del dipinto, nella struttura del quale si può individuare, seguendo le forme delle figure, un articolato sistema di curve. Cerchi, archi, parti di ellissi suggeriscono la resa di valori spaziali e l’idea di forme in rotazione.
Molte sono le analogie con la pittura egizia. Questo dipinto cretese è, infatti, sostanzialmente un disegno colorato: le figure presentano contorni molto marcati, sono prive di chiaroscuri, non proiettano ombre, non agiscono in uno spazio determinato. I volti sono di profilo ma con l’occhio frontale. Toro e atleti galleggiano in un blu uniforme, il quale indica, genericamente, che l’attività ginnica si svolgeva all’aperto. Oltre all’azzurro, i colori presenti sono pochi: il marrone, il bianco, il nero, il giallo e il grigio.
Se le affinità con la pittura egizia sono evidenti, altrettanto può dirsi delle differenze. In Egitto la pittura è totalmente priva della freschezza, della libertà e del senso di movimento che riscontriamo in questo capolavoro cretese. Certo non sarebbe stato pensabile rappresentare tre atleti che volteggiano applicando le regole rigidissime della pittura egizia. D’altro canto, gli Egizi non avrebbero mai riservato così tanta importanza a tre anonimi saltimbanchi. Il toro, che ha le zampe divaricate, appare come sospeso nell’aria: l’artista volle infatti raffigurarlo mentre carica gli atleti. Si noterà facilmente che le sue dimensioni sono sproporzionate rispetto a quelle delle figure umane: un artificio usato per sottolinearne l’importanza.
Come testimoniano numerose opere, provenienti dalla stessa Creta ma in generale da tutto il Mediterraneo e dal Vicino Oriente, il toro era molto venerato nel mondo antico, perché simbolo di forza e di fecondità. Ricordiamo, a questo proposito, che i Greci avrebbero legato per sempre Creta all’immagine del toro elaborando la famosa leggenda del Minotauro. Secondo il racconto, Minosse, mitico sovrano di Cnosso, ebbe in dono da Poseidone uno splendido toro, dal quale sua moglie Pasifae generò il Minotauro, un mostro con la testa di toro e il corpo umano. Minosse rinchiuse il Minotauro in un labirinto costruito da Dedalo e, per sfamarlo, gli diede ogni anno in pasto 14 giovani ateniesi. Questo fino a quando l’eroe Teseo non riuscì a ucciderlo.
Questo mito trova ampio riscontro in molte opere di ceramografia greca, soprattutto di età arcaica. Si consideri, a solo titolo esemplificativo, la bellissima Kylix attica a figure rosse del Pittore di Kleophrades, risalente al 500-470 a.C. Si tratta di una coppa che illustra alcune delle imprese compiute da Teseo.
Nel tondo centrale, all’interno, troviamo proprio la scena di Teseo che lotta con il Minotauro. Teseo è nudo, con i capelli raccolti dietro la nuca e tenuti da una fascia (detta tenia). Porta a tracolla il fodero della spada. Con il piede, l’eroe greco sta spingendo il mostro a terra, con la mano sinistra gli afferra un polso mentre con la destra è pronto a infilzarlo con la spada.
All’esterno della coppa si trovano altre quattro imprese di Teseo, tra cui la lotta con il toro di Maratona: una ulteriore testimonianza di quanto, nel Mediterraneo antico, il tema del combattimento con il toro fosse amato.
L’origine cretese della taurokatàpsia, illustrata da altre opere minoiche, tra cui bronzetti e avori, è assai probabile.
Difficile stabilire con certezza se si sia trattato di una spettacolare attività sportiva o di un rito religioso. Anche le modalità del suo svolgimento non sono state chiarite dagli studiosi. Senza dubbio, era un gioco difficile e pericoloso, dove gli atleti rischiavano la vita dando prova di coraggio e coordinamento, di forza ed eleganza al tempo stesso. Ma possiamo considerare storicamente attendibile la testimonianza del celebre affresco di Cnosso? Non del tutto. Il gioco era certamente praticato, ma non come ci mostra l’affresco. Già l’archeologo inglese Arthur Evans (1851-1941), scopritore dell’antico Palazzo di Cnosso, nutrì forti dubbi: «Certi aspetti del disegno hanno provocato lo scetticismo di esperti di moderne rappresentazioni di “Rodeo”.
Un veterano di lotte contro i manzi giovani, consultato dal professor Baldwin Brown, era dell’opinione che chiunque abbia un po’ di pratica con questo tipo di sport considererebbe l’impresa di afferrare le corna di un toro come leva per una capriola, assolutamente impossibile, “perché un uomo non può riuscire a riprendere l’equilibrio mentre il toro carica contro di lui”. Inoltre, come egli notò, un toro ha una forza tre volte maggiore di quella di un giovane manzo e quando corre “alza la testa di lato e infila con le corna chiunque gli si pari davanti”. […] Tutto ciò che si può dire è che l’esercizio, come è rappresentato dall’artista minoico, sembra di un tipo dichiarato impossibile dai moderni campioni di questo sport».
Probabilmente, la taurokatàpsia risultava molto simile ai nostri attuali rodei americani. Gli atleti si avvicinavano all’animale su un cavallo, per poi balzargli sopra. Anche il volteggio al cavallo senza maniglie, disciplina olimpica di ginnastica artistica, può essere considerato una sorta di evoluzione di questo antichissimo gioco.
Ancora oggi, d’altro canto, forme moderne di taurokatàpsia vengono praticate nella Francia sud-occidentale, sebbene vengano utilizzate giovani mucche al posto dei tori, con una lunga corda attaccata alle corna. Anche in Spagna, nell’ambito di taurokatàpsie non-violente, le corride de recortes, i recortadores affrontano i tori senza mantellina o spada, a differenza dei toreri. Alcuni si servono di un lungo palo per saltare, come in un salto con l’asta, in groppa all’animale che sta caricando oppure oltre.
Altri affrontano il toro, lo schivano quando questo carica oppure lo superano con un salto mortale. Bisogna considerare che i giovani tori sono molto più piccoli di quello mostrato dall’affresco cretese: questo non li rende, certo, meno pericolosi.
Insomma, è assai probabile che le nostre corride de recortes non solo discendano dalle antichissime taurokatàpsie, quelle realmente praticate e non quelle dipinte, ma che le ripropongano molto fedelmente.